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Parliamo di un caso di malasanità che ha condotto alla morte di una paziente per emorragia dovuta ad una lesione non suturata derivata da parto cesareo.

Il caso è giunto fino alla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 7667 del 13 dicembre 2017, ha condannato due medici per cooperazione in omicidio colposo.

 

 

  • I fatti per cui i medici sono stati incriminati
  • L’assistente ritiene di aver solo eseguito gli ordini del capo equipe
  • La Corte di Cassazione da torto al medico
  • Il medico non può confidare nell’esperienza del collega
  • Il caso della cooperazione multidisciplinare

 

 

I fatti per cui i medici sono stati incriminati

M.G. e C.C. venivano tratti a giudizio davanti al Tribunale Penale di Matera perchè, in cooperazione tra loro, quali medici in servizio presso il Reparto di Ostetricia e Ginecologia del Presidio Ospedaliero Unificato di (OMISSIS), per colpa consistita in negligenza, imprudenza e/o imperizia, nonchè per colpa specifica consistita nella violazione delle leges artis, cagionavano la morte di P.R., deceduta a causa di una emorragia intraddominale originata da una lesione non suturata del segmento inferiore destro della parete uterina, conseguente al parto cesareo cui era stata sottoposta dal dott. C. che l’aveva in cura, con l’assistenza del dott. M., medico di guardia presso l’ospedale.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Matera assolveva M.G., per non aver commesso il fatto, mentre dichiarava C.C. colpevole del reato ascrittogli e lo condannava alla pena di anni uno di reclusione.

Secondo il Tribunale la scelta del dott. M. di richiedere l’intervento del collega C. doveva ritenersi corretta in quanto questi “meglio di chiunque altro, poteva valutare la situazione di emergenza in atto e decidere se e come intervenire“.

A seguito di gravame ritualmente proposto dal pubblico ministero, dalle parti civili e da C.C., la Corte d’Appello di Potenza, con sentenza resa in data 03.11.2016, in parziale riforma della pronuncia impugnata, ribaltando il verdetto assolutorio, ha condannato M.G. alla pena di anni uno di reclusione confermando la condanna già emessa nei confronti di C.C..

Entrambi gli imputati ricorrono alla Corte di Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Potenza, ma in questo articolo analizziamo solo la posizione del medico di guardia M.G..

 

L’assistente ritiene di aver solo eseguito gli ordini del capo equipe

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Potenza ricorrono per cassazione entrambi gli imputati, con distinti atti di impugnazione:

nel ricorso proposto da M.G. si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione rilevandosi che la Corte di appello si sarebbe allineata acriticamente ai motivi di appello del pubblico ministero, stravolgendo il quadro probatorio emerso a seguito dell’istruttoria espletata ed ignorando le argomentazioni difensive.

Nella condotta del dott. M. non potrebbe, infatti, ravvisarsi alcuna violazione delle leges artis essendosi egli, quale secondo operatore, limitato a fare ciò che gli era stato ordinato, nel rispetto di leggi, regolamenti nonchè delle linee guida in materia. Il dott. M., invero solo alle ore 3,00/3,10 e non alle 2,21, come erroneamente riportato nella pronuncia impugnata, aveva controllato in reparto la paziente che era tranquilla, cosciente, orientata e collaborativa. Solo alle successive ore 3:30, aveva trovato la paziente in squilibrio totale ed opportunamente aveva richiesto l’intervento dell’anestesista rianimatore. In quel momento, trovandosi la paziente in una situazione di instabilità non era possibile intervenire, sicchè aveva provveduto a contattare il dott. C., che aveva in cura la paziente, aveva eseguito il taglio cesareo e aveva poi ritenuto di non procedere ad intervento chirurgico.

A fronte di tale decisione del capo equipe ed unico responsabile dell’intervento chirurgico, il dott. M., in quanto semplice assistente e medico meno esperto, non avrebbe in alcun modo potuto interferire, come confermato anche dagli altri medici dell’ospedale esaminati nel corso del dibattimento.

Si osserva, inoltre, nel ricorso che lo stesso consulente tecnico del pubblico ministero aveva confermato che, una volta intervenuto il medico più anziano, nulla avrebbe potuto fare il M. sussistendo una responsabilità di anzianità e di primario.

Si conclude pertanto che la condotta del ricorrente deve ritenersi scevra da profili di colpa potendosi ricondurre l’evento lesivo al comportamento del C. che aveva dato origine ad una situazione di pericolo eseguendo il parto cesareo anzichè quello naturale e si era poi rifiutato di procedere all’isterectomia, mentre il dott. M. non aveva le cognizioni tecniche per intervenire in un caso così complesso.

 

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La Corte di Cassazione da torto al medico

La Corte di Cassazione respinge il ricorso del dott. M, escludendo che potesse esimersi da responsabilità sul presupposto che il C. avesse più anzianità di servizio o che avesse seguito la paziente durante la gravidanza o, ancora, che non le avesse praticato il parto naturale anzichè il taglio cesareo, in quanto entrambi i sanitari avevano la stessa specializzazione in ostetricia e ginecologia e pertanto egli sarebbe stato ben in grado di rendersi conto della gravità ed urgenza della situazione.

Il dott. M. non poteva fare acriticamente affidamento sulla correttezza della condotta professionale del C. in quanto egli stesso avrebbe dovuto valutare il caso della P. e disporre, durante il considerevole lasso di tempo in cui ne era stato l’esclusivo garante, l’intervento salvifico sollecitato anche dall’anestesista di cui lo stesso dott. M. aveva richiesto l’urgente intervento a causa delle gravi condizioni della paziente.

Eseguendo tempestivamente l’isterectomia – che si imponeva con assoluta urgenza e che, nello specifico, non comportava apprezzabili rischi per la salute della P. – egli ne avrebbe impedito la morte.

Inoltre, è stata ravvisata nella condotta del dott. M. uno specifico errore diagnostico consistito nel non aver riconosciuto fin dal momento in cui si era registrata una sensibile diminuzione dei globuli rossi, dell’emoglobina e dell’ematocrito, gli indici dell’emorragia in atto, in quanto detti parametri erano sintomatici di una notevole perdita di sangue Già in quella fase pertanto, come rilevato dagli esperti, si sarebbe dovuto optare per la soluzione chirurgica o, quanto meno, per una TAC d’urgenza che avrebbe certamente consentito di individuare la perdita, sicchè l’omissione di tali adempimenti ha integrato un preciso errore terapeutico con conseguente responsabilità dell’imputato per l’evento lesivo derivatone.

Il dott. M. era, di fatto, succeduto al C. fin dal momento in cui questi aveva lasciato l’ospedale ed aveva contestualmente assunto nei confronti della paziente la medesima posizione di garanzia del collega di guisa che, essendo sicuramente in possesso delle necessarie cognizioni tecniche, doveva adottare le cure necessarie.

 

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Il medico non può confidare nell’esperienza del collega

La Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare, con riferimento ad un caso del tutto simile a quello in esame, che in tema di causalità, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione.

Conseguentemente, qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento.

Nel caso che stiamo trattando, è stato escluso che il dott. M., sol perchè meno anziano, possa pretendere esonero dalla penale responsabilità per essersi fidato acriticamente della condotta professionale del collega, che avrebbe dovuto essere ben in grado di valutare, e, se del caso, contrastare, considerata la assoluta gravità delle condizioni in cui versava la paziente.

A tale riguardo giova anche ricordare il principio enunciato dalla Corte di Cassazione con riferimento alla figura dell’assistente ospedaliero, ma del tutto pertinente anche al caso in esame, secondo cui l’assistente ospedaliero collabora con il primario e con gli aiuti nei loro compiti, deve seguire le direttive organizzative dei superiori, ha la responsabilità degli ammalati a lui affidati e provvede direttamente nei casi di urgenza. Egli, nella qualità di collaboratore del primario e degli aiuti, non è tenuto, nella cura dei malati, ad un pedissequo ed acritico atteggiamento di sudditanza verso gli altri sanitari perchè, qualora ravvisi elementi di sospetto percepiti o percepibili con la necessaria diligenza e perizia, ha il dovere di segnalarli e di esprimere il proprio dissenso e, solo a fronte di tale condotta, potrà rimanere esente da responsabilità se il superiore gerarchico non ritenga di condividere il suo atteggiamento.

 

Il caso della cooperazione multidisciplinare

Qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorchè non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico.

Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.

Nè può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poichè allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità.

Ciò, tuttavia, si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l’abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata.

 

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2 Comments

  1. Nic ha detto:
    02/04/2023 alle 09:07

    Soliti casi all’italiana. Per fortuna che si risolvono

    Rispondi
    • Avv. Nicola Barsotti ha detto:
      03/04/2023 alle 09:06

      Abbiamo trattato di un caso grave, per fortuna non capita spesso.

      Rispondi

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