
Differenza tra negligenza, imprudenza e imperizia medica
26/10/2023
Responsabilità infermieristica e risarcimento danni
30/10/2023Il Tribunale di Cosenza sez. II, con sentenza n. 1284 del 20 luglio 2020, ha riconosciuto il risarcimento dei danni ad un bambino (ormai ragazzo all’epoca della sentenza) nato con “tetraparesi spastica ed insufficienza mentale in esiti di encefalopatia perinatale” per colpa attribuibile al personale medico-sanitario che ha assistito al parto ed ha ritardato il taglio cesareo.
Il risarcimento è stato riconosciuto anche alla madre del bambino che, per colpa medico-sanitaria, aveva riportato una “depressione maggiore di tipo grave cronicizzata e di natura reattiva con ansia somatizzata, ritiro sociale e sintomi da DPTS”.
Indice
- La ricostruzione dei fatti da parte della madre
- La perizia svolta in corso di causa da ragione alla madre
- Il Tribunale riconosce al figlio il danno biologico
- Il Tribunale riconosce al figlio anche il danno patrimoniale
- Alla madre è riconosciuto il danno psichico
- Affidati ad avvocaticollegati.it se hai subito danni da parto
La ricostruzione dei fatti da parte della madre
Il Tribunale di Cosenza riferisce nella sentenza in commento che la madre che ha agito in causa, sia in proprio che in nome e per conto del figlio disabile, ha fornito prova del peggioramento delle condizioni di salute del bimbo che portava in grembo al momento del suo ricovero presso l'ospedale di Cosenza avvenuto alle ore 16.15 del 22.05.1994 (si trattava di una gravidanza regolare, giunta alla 29esima settimana e 3 giorni) quando, a seguito di visita medica (la donna si era portata in ospedale avendo “perdite ematiche e dolore in sede sovra pubico”), il nascituro presentava, infatti, battito cardiaco regolare mentre il mattino seguente (la notte e' trascorsa senza altro intervento sulla donna se non la somministrazione di fleboclisi), all'esame obiettivo praticato, il feto risultava avere battito cardiaco decelerato, tanto da determinare i sanitari ad eseguire parto cesareo d'urgenza all'esito del quale il neonato risultava tuttavia affetto da “asfissia grave, ittero (exanguino trasfuso), infezione alle vie urinarie, displasia broncopolmonare di primo grado, leucomalacia periventricolare cistica, broncopolmonite”.
Fornita la prova del peggioramento delle condizioni di salute del nascituro, la donna ne ha addebitato la responsabilita' ai medici che lo hanno avuto in cura a Cosenza che, secondo il suo assunto, avrebbero tenuto una condotta imperita e negligente per non avere praticato nell'immediatezza del ricovero della paziente un intervento di taglio cesareo ed avere cosi' cagionato al bambino, con la loro condotta attendistica (il parto cesareo e' stato eseguito solo il mattino successivo, alle ore 10.30, dopo circa 20 ore dal ricovero), i gravissimi danni cerebrali e fisici sfociati nella finale diagnosi di tetraparesi spastica e disartria grave che lo ha reso del tutto dipendente da terze persone per lo svolgimento di ogni attivita' della sua vita quotidiana.
La perizia svolta in corso di causa da ragione alla madre
I due periti nominati in corso di causa hanno infatti verificato che, quello che ormai è diventato un ragazzo, presentatosi su sedia a rotelle, e' finanche impossibilitato a maneggiare oggetti con gli arti superiori; che egli presenta una profonda astenia, grave deflessione umorale e notevoli difficolta' masticatorie per relativo deficit, con problematiche anche alla deglutizione.
Le condizioni obiettive di totale invalidita' del ragazzo, accertate dai due periti, risultano peraltro documentate per tabulas attraverso la produzione di certificazioni sanitarie e del verbale di accertamento della Commissione Medica di Prima Istanza che ha riconosciuto in capo al giovane una condizione di invalidita' al 100%.
Entrambi i CTU nominati dal Tribunale hanno ricondotto le gravi lesioni patite dal predetto alla condotta negligente dei medici dell'ospedale di Cosenza, ove la madre erae' stata ricoverata.
I CTU hanno in particolare evidenziato come i medici che hanno preso in carico la gestante non hanno effettuato visite specialistiche ginecologiche ne' esami ecografici nell'immediatezza del ricovero (avvenuto alle ore 16.15 del 22.05.1994) e nemmeno nelle ore successive, pur in presenza di una diagnosi di ingresso che tali esami imponeva (perdite ematiche e dolore in sede sovra pubica), risultando dalla cartella clinica che solo il mattino seguente, alle ore 10.20, tali esami sono stati eseguiti.
E solo allora, quindi, con un ritardo di ben 18 ore, hanno potuto riscontrare una situazione di sofferenza fetale che li ha infine indotti a praticare con urgenza il cesareo.
Nella condotta attendistica erroneamente tenuta dai medici risiede dunque la loro negligenza atteso che un intervento piu' tempestivo, avrebbe evitato al feto ore di sofferenza intrauterina scongiurando le gravissime lesioni subite, tanto piu' che le cure praticate nel reparto di neonatologia successivamente alla nascita del bambino sono state giudicate dal perito del tutto corrette tanto da consentirne la sopravvivenza pur se nato alla 29esima settimana di gestazione.
I periti del Tribunale hanno inoltre evidenziato che non solo non risulta essere stato effettuato un monitoraggio utile ed appropriato inerente alle condizioni peculiari del feto prematuro ma che non e' stata nemmeno effettuata la somministrazione di corticosteroidi preventiva per indurre la maturazione polmonare.
Ha infatti evidenziato il CTU che i provvedimenti da espletare con tempestivita' avrebbero dovuto riguardare sia il monitoraggio costante ed assiduo in sala travaglio subito dopo il ricovero, come previsto dalle linee guida all'epoca vigenti, sia il provvedimento terapeutico induttivo preventivo della maturazione polmonare mediante l'utilizzazione di farmaci corticosteroidei sulla gestante, oltre alla effettuazione del taglio cesareo immediato ai primi segnali dell'effettivo distacco placentare essendo i sanitari consapevoli trattarsi di soggetto con placenta previa e presentazione podalica.
La mancata somministrazione farmacologica di ausilio al processo di maturazione polmonare fetale ha determinato un aggravamento della perfusione ossigenatoria, contribuendo ad aggravare le conseguenze dell'intervenuta ipossia.
Il Tribunale riconosce al figlio il danno biologico
Alla luce delle conclusioni dei due periti, che il Tribunale pienamente condivide essendo state trasfuse in elaborati logici e coerentemente motivati, la convenuta Regione Calabria va condannata al risarcimento dei danni subiti dal giovane in quanto obbligata sostanziale per la ex ASL n. 4.
Cio' posto, quanto alla determinazione del danno biologico patito dal ragazzo, si rileva che entrambi i periti nominati in corso di causa sono pervenuti alla conclusione che la condotta negligente dei sanitari, come prima individuata e descritta, ha determinato postumi permanenti consistenti in “tetraparesi spastica ed insufficienza mentale in esiti di encefalopatia perinatale”.
Non hanno i due periti percentualizzato il danno anzidetto ma, alla luce della natura della patologia che e' completamente invalidante tanto da esserne derivata la totale dipendenza del ragazzo da terze persone per il compimento di qualunque attivita' della vita quotidiana, tenuto conto anche delle conclusioni del CTP di parte attrice si deve necessariamente quantificare il danno subito dal giovane nella misura del 100%.
Per la monetizzazione di tale pregiudizio vengono applicati dal Tribunale di Cosenza i criteri previsti dalle Tabelle elaborate presso il Tribunale di Milano che, in aderenza ai principi guida fissati dalla Corte di Cassazione con le pronunce dell'11.11.2008 (Sez. Un. nn. 26972, 26973, 26974, 26975), forniscono una adeguata risposta all'esigenza di liquidare unitariamente il danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute, tenendo conto sia del danno all'integrita' psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi, sia del danno conseguente alle lesioni in termini di dolore, sofferenza soggettiva (c.d. danno morale, inteso non come categoria autonoma, ma come figura descrittiva di un aspetto del danno non patrimoniale).
Dette tabelle, infatti, determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidita' permanente avendo riguardo a tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella gia' qualificata in termini di “danno morale”, nei sistemi tabellari precedenti liquidata invece separatamente.
Dunque, considerato che non sono state allegate, ai fini della “personalizzazione”, circostanze specifiche ed eccezionali che rendano il danno concreto piu' grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta', il danno non patrimoniale da lesione permanente del diritto alla salute, unitariamente inteso, avuto riguardo alla percentuale di invalidita' stimata di fatto da entrambi i CTU nominati nel presente giudizio, viene liquidato, in applicazione dei valori previsti dalle Tabelle milanesi, in euro 1.219.355,00.
Il Tribunale riconosce al figlio anche il danno patrimoniale
Per il Tribunale di Cosenza merita accoglimento anche la domanda di ristoro del danno patrimoniale futuro in favore del minore.
Le gravissime lesioni della integrita' personale di un minore di eta', non svolgente attivita' lavorativa, sono infatti presumibilmente destinate a produrre un danno patrimoniale futuro, in termini di riduzione della sua futura capacita' di guadagno.
Al fine di determinare il relativo danno il giudice deve tenere conto non soltanto della rilevanza quantitativa delle lesioni, in termini di percentuale di invalidita' medicalmente accertata, ma anche della loro natura e qualita' - rispetto alle presumibili opportunita' di lavoro che si presenteranno al danneggiato, avuto riguardo alle sue peculiari tendenze ed attitudini - dell'orientamento eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attivita' redditizia, dell'educazione dallo stesso ricevuta dalla famiglia e della posizione sociale ed economica di quest'ultima, nonche' della situazione del mercato del lavoro e, infine, di ogni altra circostanza oggettivamente o soggettivamente rilevante, ferma restando la possibilita' per colui che e' chiamato a rispondere di dette lesioni di dimostrare, in forza degli stessi anzidetti criteri, che il minore non risentira' alcun danno da quel particolare tipo di invalidita'.
La gravita' e varieta' dei postumi riportati dal giovane, che incidono in senso limitativo sia sull'efficienza fisica che sulle capacita' cognitive, consente nella specie di ritenere che sia totalmente compromessa la sua futura capacita' di guadagno.
In difetto di diversa allegazione difensiva, puo' essere utilizzato, quale criterio equitativo di individuazione della base del reddito da prendere in considerazione ai fini della liquidazione del danno in esame, quello fondato sul triplo della pensione sociale ovvero assegno sociale ex art. 3, comma 6, L. 335/95.
Considerato che detto assegno ammontava alla data della sentenza (anno 2020) ad euro 460,00 per 13 mensilita', per un totale di euro 5.980,00 annui, si assume come base di calcolo la somma di euro 17.940,00 (5.980,00 x 3).
Per trasformare in capitale il reddito perduto de die in diem dalla vittima puo' essere utilizzato il metodo che consiste nel moltiplicare il reddito annuo perduto per un numero, detto coefficiente di capitalizzazione, che tenga conto del c.d. “montante di anticipazione”, ossia del vantaggio derivante dalla immediata percezione di redditi che la vittima, se fosse rimasta sana, avrebbe incassato solo tra “X” anni.
A tal fine non sono utilizzabili i coefficienti tratti dalla tabella allegata al R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, in quanto implicanti, in ragione dell'innalzamento della durata media della vita e dell'abbassamento dei saggi di interesse, una impropria ed ingiustificata decurtazione dell'importo risarcitorio.
La Corte di Cassazione ha quindi suggerito il ricorso ai coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti normativi vigenti per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali, ovvero a coefficienti elaborati dalla dottrina per la specifica materia del risarcimento del danno aquiliano, quali quelli diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura ed allegati agli Atti dell'Incontro di studio per i magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno - 1 luglio 1989 (in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Quaderni del CSM, 1990, n. 41, pp. 127 e ss.).
Facendo ricorso, in linea con tali indicazioni, alla tabella diffusa dal CSM, il Tribunale di Cosenza ritiene di applicare il coefficiente (30,6399) elaborato per soggetti di sesso maschile di anni 25, presumendo che l'ingresso nel mondo del lavoro si collochi nel decennio compreso tra i 20 e i 30 anni di eta'.
Pertanto, applicato detto coefficiente, si ottiene la somma di euro 549.679,806 (17.940,00 x 30,6399 x 100%).
Alla madre è riconosciuto il danno psichico
Quanto madre del ragazzo, dalla CTU espletata e' emerso che essa e' affetta da “Depressione Maggiore di tipo Grave cronicizzata e di natura reattiva con ansia somatizzata, ritiro sociale e sintomi da DPTS”.
Il perito ha in particolare evidenziato che “il quadro psicopatologico” di depressione grave della donna, dettagliatamente descritto nell'elaborato, a cui in parte qua integralmente si rimanda, “in considerazione della storia personale e clinica del soggetto in esame, e' da considerare correlato all'evento traumatico stressante vissuto dalla paziente alla nascita del secondo figlio ed alla permanenza di tutti gli eventi stressanti che, da allora, ne sono derivati e, che a tutt'oggi, persistono”.
Spiega ancora il CTU che “la correlazione della psicopatologia rilevata ed insorta dopo la nascita del figlio, e' confermata da vari elementi, quali: assenza di sintomatologia psicopatologica prima di tale evento traumatico; buon equilibrio personale e di ruolo familiare, di moglie e madre, lavorativo ed interpersonale antecedente all'evento stesso; squilibrio a livello emozionale correlato al dolore, alla delusione, alla disperazione, alla mutata progettualita', alle negate aspettative causate dall'evento stesso; mancata gioia di vedere realizzato il sogno del figlio immaginato, frutto di una seconda gravidanza desiderata dopo l'esperienza “positiva e meravigliosa” della prima; vissuti “catastrofici d'impotenza, di delusione, di dolore”; cambiamento repentino ed improvviso dello stile di vita, con forti limitazioni imposte e restringimento della vita di relazione e dei rapporti interpersonali; marcato investimento psichico e fisico; necessita' di lasciare il lavoro con conseguente mutamento di ruolo e di status; vissuti di fallimento nei riguardi del proprio coniuge (insorgenza di conflittualita' relazionale e di natura sessuale) e dell'altro figlio (trascurato in parte e “genitorializzato”); permanente alterazione dell'equilibrio del nucleo familiare correlato alla patologia del figlio e delle sue continue e permanenti necessita'”.
Tutto cio' ha inciso concretamente sullo stile e sull'organizzazione dello stile familiare; in particolar modo la madre si e' trovata costretta a rivisitare e modificare tutto cio' che prima della nascita del figlio era svolto secondo modi abituali e consolidali; tutto cio' per dover affrontare bisogni speciali. Tutta la realta' nel corso degli anni, e' stata percepita attraverso “il filtro dell'handicap”:
dall'organizzazione dell'ambiente fisico che, a partire dalla casa ha rivelato la presenza di barriere ed ostacoli prima non percepiti come tali a tutte le barriere/ostacoli percepiti quotidianamente.
Nel corso degli anni anche il tempo e' stato “medicalizzato”, “scandito dalle visite, dalle fisioterapie, dai controlli, dai ricoveri in ospedale, dai contatti continui con i servizi sanitari.”
La donna si e' altresi' “trovata ad affrontare una “sofferenza di ruolo” in seguito all'aumento in misura rilevante del peso e della complessita' dei compiti pratici di allevamento del figlio che vanno dall'igiene personale, all'alimentazione, all'accompagnamento, etc…..; questi compiti sono diventati per” lei “cronici, sempre piu' pesanti e causa di enormi stress” con conseguenti problemi di gestione del tempo e di routine quotidiana, della mancanza di liberta', di possibilita' di uscire, spostarsi, viaggiare, avere del tempo per se, di aumento della dipendenza dagli altri.” Si tratta di situazioni di stress che, come spiegato dal perito, in accordo con la piu' accreditata letteratura scientifica, “si cumulano e la continua tensione”, oltre che l'(auto)isolamento sociale a causa della naturale riduzione della partecipazione ad occasioni sociali e/o mondane, conducono “ad un esaurimento delle energie disponibili e ad uno stato depressivo”.
Per quanto evidenziato, i vari fattori di “perdita”, “di dolore morale cronico”, di “sofferenza di ruolo”, della necessita' di “itinerari adattivi continui”, di stress psicofisico quasi permanente, di “medicalizzazione” del proprio tempo, di “barriere” quotidiane da affrontare, della necessita' di garantire quei compiti genitoriali fisiologici e naturali e, pertanto, limitati nel tempo in modalita' diventata “cronica”, di paura del futuro e di cio' che potrebbe riservare, di mancanza di progettualita' futura, hanno rappresentato, e rappresentano a tutt'oggi, elementi di forza traumatizzante che, nel tempo, hanno determinato la stabilizzazione del Disturbo Depressivo Grave con ansia insorto dopo la nascita del figlio.
Il CTU ne ha concluso che il disturbo diagnosticato all'attrice “e' inquadrabile in un ambito di tipo cronico che non consente la sospensione della terapia farmacologica, indispensabile per il controllo della sintomatologia e per garantire alla persona in esame di affrontare ed espletare nella maniera piu' consona gli atti di vita quotidiana”.
Ne discende la sua sussumibilita' nella categoria del danno biologico, meritevole del chiesto ristoro risarcitorio, in quanto “stabilizzato ed inemendabile, nonostante l'intervento e l'ausilio di tipo psico-terapeutico” che il perito ha quantificato “nella misura del 35% seguendo i bare'mes di riferimento espressi dalla Societa' Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni.
Alla luce delle conclusioni del CTU, che il Tribunale ritiene di fare proprie in toto condividendo pienamente la dettagliata e documentata analisi psicologica attraverso cui a tale risultanze la psicologa ausiliare e' pervenuta, spetta alla donna, per il danno biologico proprio da lei subito, la somma di euro 207.317,00 determinata applicando le Tabelle di Milano sulla base del punto percentuale individuato in relazione all'eta' dell'attrice al momento dell'evento lesivo (35 anni).
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