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30/03/2023Il rapporto che si instaura tra il paziente e l’ospedale o la clinica privata è di tipo contrattuale.
Pertanto, quando il paziente ritiene di aver subito danni, sarà suo onere provare di aver avuto rapporti con la struttura sanitaria da cui è derivato un danno alla salute.
Con questo articolo vediamo i parametri dettati dalla Corte di Cassazione in materia di onere probatorio in ambito di malasanità e come è cambiato il rapporto tra paziente e medico dopo la Legge Gelli – Bianco del 2017.
- Come si dimostra di aver subito danni per colpa medica
- La regola del <<più probabile che non >>
- La responsabilità civile del singolo medico dopo la Legge Gelli – Bianco
- La responsabilità civile della struttura sanitaria e dell’esercente la professione sanitaria
- Sei stato vittima di malasanità? Affidati a noi
Come si dimostra di aver subito danni per colpa medica
La qualificazione in termini contrattuali della relazione qualificata tra paziente e ospedale, genera importanti ricadute in tema di onere probatorio.
Sul punto, deve aderirsi al principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, in tema di onere della prova dell’inadempimento e dell’inesatto adempimento.
Con la richiamata pronunzia le Sezioni Unite, a composizione di un contrasto sorto in giurisprudenza tra le sezioni semplici in tema di onere probatorio in materia contrattuale, hanno statuito che il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento.
Analogamente è stato disposto con riguardo all’inesatto adempimento, rilevandosi che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento.
Applicando, allora, questo principio all’onere della prova nelle cause di responsabilità professionale del medico deve ritenersi che il paziente, che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria, deve provare il contratto ed allegare l’inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento.
Più precisamente, consistendo l’obbligazione professionale in un’obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria, restando a carico del sanitario la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile.
La prova della mancanza di colpa deve essere fornita dal debitore della prestazione, per cui dell’incertezza sulla stessa se ne deve giovare il creditore; si tratta del principio di vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell’effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla e non vi è dubbio che la prova sia vicina a chi ha eseguito la prestazione.
Quindi, in tema di responsabilità civile nell’attività medico chirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto e allegare l’inadempimento del professionista, che consiste nell’aggravamento della situazione patologica del paziente o nell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.
La regola del <<più probabile che non >>
In tema di nesso causale, deve richiamarsi la sentenza delle Sezioni Unite (11 gennaio 2008, n. 576, Presidente: Carbone, Estensore: Segreto), che accoglie, quanto alla configurabilità di quest’ultimo in sede civile, la regola probatoria del “‘più probabile che non”, espressamente adottata dalla epigrafata pronuncia di cui a Cass. 16 ottobre 2007, n. 21619, accantonando definitivamente il criterio dell’ “oltre il ragionevole dubbio” di cui alla sentenza Franzese delle Sezioni Unite penali.
In tempi ancora più recenti il Giudice di legittimità sembra avere mutato nuovamente indirizzo in termini di maggiore garanzia della posizione dei sanitari e di contraltare di maggiore rigore probatorio in capo al paziente. In particolare, le pronunzie più vicine in termini temporali hanno ribadito i principi enunciati dalle Sezioni Unite civili, ai punti 4.3 e 4.7 della parte motiva della sentenza 11 novembre 2008 n. 26973.
Più precisamente, le sezioni Unite citate hanno precisato che nell’ambito della causalità di contatto sociale, la parte lesa ha l’onere di dare la prova del rapporto sanitario, della esistenza di una prestazione sanitaria negligente e della lesione della salute, secondo un riparto di onere della prova che imputa alla parte asseritamente inadempiente la deduzione di cause giustificative di tale inadempimento, di guisa che il criterio della causalità non è quello proprio della imputazione penale secondo il criterio rigoroso della quasi certezza, ma è quello civilistico e probabilistico, già espresso dalle S.U. civili nella sentenza n. 5777 del 11 gennaio 2008.
Onere di offrire – in termini di allegazione puntuale – prova della esistenza di una prestazione sanitaria negligente ribadito anche da Cass. 26 marzo 2010 n. 7352 e da ultimo da Cass. 15 dicembre 2011 n. 27000 come a carico del paziente.
L’indirizzo attualmente prevalente in giurisprudenza ha peraltro chiarito come sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l’oggetto di due accertamenti concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa; l’art. 1218 c.c., solleva infatti il paziente della obbligazione che si afferma non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento.
E’ infatti onere dell’attore danneggiato dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno; (in tal senso, da ultime Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017, Rv. 645164-01 e Cass., sez. 3, 14/11/2017, (ud. 13/09/2017, dep.14/11/2017), n. 26824).
Questo orientamento in tema di onere della prova è stato da ultimo confermato, per cui è pacifico che spetti al paziente dimostrare la sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa del medico ed il danno.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che non comporta automaticamente il riconoscimento della responsabilità del medico agente il mancato assolvimento dell’onere di dimostrare l’esattezza della prestazione medica e l’assenza di incidenza causale dell’inadempimento della prestazione sanitaria sulla produzione dei danni subìti da un paziente, poiché è necessario accertare previamente l’ottemperamento dell’onere probatorio attoreo che consiste nel dimostrare la condotta colposa del responsabile, il nesso di causa tra quest’ultima ed il danno sofferto, elementi che pertanto costituiscono accertamenti distinti (cfr. Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n.29853).
La responsabilità civile del singolo medico dopo la Legge Gelli – Bianco
Quanto alla responsabilità del singolo medico, va precisato che l’art. 7 della L. 8 marzo 2017, n. 24, detta Legge Gelli – Bianco, introduce una diversa qualificazione delle responsabilità della struttura sanitaria e del sanitario, ritenendo di natura contrattuale la prima ed extracontrattuale la seconda, salvo l’obbligazione contrattuale assunta direttamente dal medico con il paziente.
Prima di tale riforma la giurisprudenza prevalente aveva compreso anche il medico nella responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, in virtù di un contatto sociale qualificato tra paziente e professionista, obbligato quest’ultimo, al di là del neminem laedere, da specifiche disposizioni di legge a tutelare la salute del paziente e ad assumere precisi obblighi di protezione (cfr. Cass. n. 589/1999, ma soprattutto le Sezioni Unite, n. 577/2008).
Tuttavia, l’applicazione della Legge Gelli -Bianco a fattispecie già verificatesi al momento della sua entrata in vigore inciderebbe negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ledendo, così, in maniera peraltro del tutto ingiustificata, il legittimo affidamento riposto dalla generalità dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico.
Ne deriva che le fattispecie perfezionatesi in epoca anteriore rispetto all’entrata in vigore della riforma di cui si tratta dovranno continuare ad essere disciplinate dai principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale (cfr. Tribunale di Taranto, sezione prima, sentenza del 21.01.2019; Tribunale Treviso, sezione prima, sentenza del 26.10.2018; Tribunale di Roma, sezione tredicesima, sentenza del 4.10.2017).
Pertanto, per tutte le fattispecie verificatesi anteriormente all’entrata in vigore della L. 8 marzo 2017, n. 24 ed in costanza della vecchia disciplina (cd. “Legge Balduzzi”), quale quella in esame, il singolo sanitario e la struttura convenuta saranno chiamate a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale, sia diretta (art. 1218 c.c.) che indiretta (art. 1228 c.c.), con la possibilità di una condanna in solido al risarcimento dei danni, secondo i rispettivi gradi di responsabilità.
Del resto, sulla struttura sanitaria, anche in ipotesi di attività delegate interamente ai professionisti, gravano sempre e comunque precisi obblighi relativi alla scelta degli stessi, cui consentire l’uso delle proprie strutture, allo scopo di evitare danni a terzi, controllando la loro preparazione professionale e la diligenza nell’esecuzione delle prestazioni svolte all’interno della struttura; ne deriva la responsabilità anche per il fatto doloso o colposo dei suoi ausiliari (art. 1228 cod. civ.), salvo che possa dimostrare il caso fortuito o la forza maggiore, anche con riguardo al comportamento dell’ausiliario (cfr. sul punto Cass. 6053/2010).
Quindi, il danno subito dal soggetto leso da malpractice medica del singolo professionista trova causa efficiente anche nell’inadempimento della struttura convenuta qualora il paziente sia stato ivi ricoverato, la quale è responsabile in solido con il medico, salvo poi, eventualmente, la possibilità per l’ente di agire in regresso ai sensi dell’art. 1299 c.c.
L’orientamento giurisprudenziale costante della Suprema Corte ritiene infatti che quando un medesimo danno e provocato da più soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente per ciascuno di essi e il danneggiato, sussistono tutte le condizioni necessarie perché i predetti soggetti siano corresponsabili in solido.
Infatti, sia in tema di responsabilità contrattuale, sia extracontrattuale, se l’unico evento dannoso e imputabile a più persone, e sufficiente, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell’obbligo di risarcimento, che le azioni o omissioni di ciascuna abbiano concorso in modo sufficiente a produrre l’evento.
Ciò discende, non tanto dal fatto che l’art. 2055 c.c. costituisca un principio di carattere generale estensibile anche alla responsabilità contrattuale (cfr. Cass. nn. 27713/2005; 3187/2008), quanto dai principi stessi che regolano il nesso di causalità e il concorso di cause, tutte egualmente efficienti della produzione di un determinato danno, di cui l’art. 2055 c.c. e una esplicitazione in tema di responsabilità extracontrattuale.
La responsabilità civile della struttura sanitaria e dell’esercente la professione sanitaria
Come abbiamo visto, con la Legge Gelli – Bianco la figura del medico è stata “svincolata” da quella della struttura per cui egli lavora.
La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose.
Ciò vale anche per le prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
Quindi la struttura pubblica o privata risponde verso il paziente a titolo di responsabilità contrattuale.
L’esercente la professione sanitaria risponde invece del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, ossia per responsabilità extracontrattuale, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
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