La Corte di Cassazione Penale, con la sentenza numero 30626 del 12 febbraio 2019 emessa dalla Quinta Sezione, ha chiarito come si deve accertare la responsabilità penale del medico nel caso di interventi in “equipe”, ossia quando vi è una cooperazione multidisciplinare tra più medici, magari ciascuno con uno specifico compito, nell’attività medico-chirurgica.
Il caso affrontato dai giudici
Una paziente decedeva a seguito di una polmonite a cui seguiva una insufficienza multiorgano, per le complicazioni derivate da plurimi interventi di operazioni per coleciste cronica colesterolosica e calcolosa.
Venivano imputati i medici che l’avevano seguita e, in particolare, il primario del reparto di chirurgia e altri due medici che con lui avevano proceduto agli interventi.
Uno dei medici condannati proponeva ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte di Appello di Milano, lamentando di non aver partecipato alle scelte operatorie né all’intervento incriminato, né di aver potuto vigilare sull’operato di altro medico il cui errore non era percepibile.
Vediamo intanto sulla base di quali princìpi la Corte di Cassazione affronta casi del genere.
Il principio di affidamento e l’obbligo di vigilanza
Con la suddetta sentenza la Corte di Cassazione ha affermato che in caso di lavoro medico in equipe, l’accertamento del nesso causale rispetto all’evento verificatosi (lesioni o decesso del paziente) deve essere compiuto con riguardo alla condotta ed al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare aprioristicamente una responsabilità di gruppo.
Tuttavia, ogni caso va analizzato contemperando il principio di affidamento – in forza del quale il titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, contitolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento – con l’obbligo di garanzia verso il paziente in forza del quale tutti i sanitari che partecipano contestualmente o successivamente all’intervento terapeutico.
Quindi, nell’ambito dell’attività medica d’equipe, il principio di affidamento consente a ciascun medico di confidare nel corretto operato degli altri medici, essendo tutti titolari di un obbligo di garanzia verso il paziente, per cui non si andrà puniti laddove la colpa dell’evento sia conseguenza esclusiva della condotta altrui. Tuttavia, ogni sanitario ha un obbligo di vigilanza sulla correttezza della condotta altrui, e il dovere di intervenire per evitare errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili secondo le comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso del medico nei termini che seguono.
Colgono nel segno le doglianze sul ruolo da lui effettivamente svolto nell’ambito dell’equipe medica, riguardo alla preminente responsabilità del capo – equipe, individuato nella persona del primario, alla stregua delle emergenze probatorie segnalate nel ricorso ed in particolare delle dichiarazioni rese da quest’ultimo nel corso del dibattimento di primo grado che non sono state valutate nel loro complesso ma solo parzialmente.
Osserva la Corte di Cassazione che la sentenza di Appello, con cui il medico era stato condannato, è priva della verifica della sussistenza del nesso causale tra la condotta individuale posta in essere dal ricorrente e l’evento, in violazione delle regole cautelari che si assumono inosservate.
Tale verifica da parte del giudice deve essere particolarmente attenta nella ipotesi di lavoro in equipe e, più in generale, di cooperazione multidisciplinare nell’attività medico-chirurgica, cioè in tutti i casi in cui alla cura del paziente concorrono, con interventi non necessariamente omologabili, sanitari diversi, magari ciascuno con uno specifico compito.
In tali casi l’accertamento del nesso causale rispetto all’evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta ed al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare una responsabilità di gruppo in base ad un ragionamento aprioristico.
Ed ancora, in tema di colpa professionale, per l’affermazione della responsabilità penale del singolo sanitario operante in equipe chirurgica, è necessario non solo accertare la valenza concausale del suo concreto comportamento attivo o omissivo al verificarsi dell’evento ma anche la rimproverabilità di tale comportamento sul piano soggettivo secondo i noti criteri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di colpa.
Inoltre, in tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in “equipe”, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui.
Nell’ambito dell’attività medica, proprio il principio di affidamento consente infatti di confinare l’obbligo di diligenza del singolo sanitario entro limiti compatibili con l’esigenza del carattere personale della responsabilità penale, sancito dall’art. 27 della Costituzione.
Inoltre il riconoscimento della responsabilità per l’eventuale errore altrui non è, conseguentemente, illimitato e, per quanto qui rileva, richiede la verifica del ruolo effettivo svolto dal ricorrente, non essendo consentito ritenere aprioristicamente una responsabilità di gruppo.
Pertanto, per i suddetti motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio.
Alcuni casi recenti di responsabilità medica d’equipe
In tema di responsabilità del capo dell’équipe medica che ha eseguito un intervento chirurgico, non opera il principio di affidamento sull’operato degli altri membri dell’équipe e del personale infermieristico, essendo il primo operatore tenuto, in forza della sua posizione di garanzia verso il paziente, a vigilare sull’operato dei suoi sottoposti e quindi anche ad effettuare una verifica finale del campo operatorio. Conseguentemente, qualora al termine dell’intervento vengano lasciati all’interno del sito chirurgico garze o altri strumenti, il capo dell’équipe è responsabile dei danni subiti dal paziente, anche nel caso in cui il personale infermieristico abbia effettuato il conteggio nel rispetto delle procedure ministeriali, attestando erroneamente la rimozione di tutto il materiale utilizzato prima della chiusura (Corte di Cassazione penale, sezione Quarta, 14 settembre 2021, numero 392).
In tema di responsabilità sanitaria, l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e sono settoriali, sicché rientra tra gli obblighi di ogni singolo componente di una equipe chirurgica, sia esso in posizione sovra o sotto-ordinata, anche quello di prendere visione, prima dell’operazione, della cartella clinica per vedere tutti i dati per verificare la necessità di adottare particolari precauzioni imposte dalla specifica condizione del paziente ed eventualmente segnalare, anche senza particolari formalità, il suo motivato dissenso rispetto alle scelte chirurgiche effettuate e alla scelta stessa di procedere all’operazione, potendo solo in tali casi esimersi dalla concorrente responsabilità di membri dell’equipe nell’adempimento della prestazione sanitaria (Tribunale di Roma, 10 novembre 2020, numero 15663).
L’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio: nel caso di specie – errore medico durante un parto – il tribunale, sulla base de suesposto principio, ha ravvisato la responsabilità delle ginecologhe che risultavano di turno nel momento in cui è avvenuto il fatto, poiché in capo alle stesse ha rinvenuto un obbligo di diligenza non solo in ordine alle precipue mansioni affidate, bensì un obbligo di controllo anche sull’operato degli altri membri dell’equipe. Difatti, la necessità di attivarsi al fine di assicurare il corretto sviluppo del parto, a prescindere dalla sua natura, ingenera in capo al medico di turno un obbligo di vigilanza idoneo a legittimare la chiamata nel presente giudizio anche delle ginecologhe (Tribunale di Roma, 9 giugno 2020, numero 8310).
In tema di colpa medica, deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell’aiuto chirurgo, componente dell’equipe medica che aveva provveduto all’esecuzione di un parto cesareo nel corso del quale si erano manifestate evidenti situazioni critiche interne, per non avere dissentito dall’operato del primario e non averlo indirizzato alla immediata isterectomia, che avrebbe impedito il verificarsi della successiva emorragia, causa della morte della partoriente (Cassazione penale, Sezione Quarta, 12 giugno 2019, numero 39727).
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