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Categorie
  • Malasanità
Tag
  • cartella clinica
  • paziente deceduto
  • Responsabilità Medico-Sanitaria
  • Risarcimento Danni

Con questo articolo commentiamo la sentenza n. 193 del 4 marzo 2019 del Tribunale Amministrativo Regionale di Cagliari, con cui si ribadisce che i familiari di un paziente morto in ospedale hanno pieno diritto di accedere alla relativa documentazione medica detta “cartella clinica”.

 

 

  • Cosa si intende per “cartella clinica”
  • La cartella clinica permette di verificare il corretto agire dei sanitari
  • Come si può contestare il contenuto della cartella clinica?
  • Cosa succede se i medici non compilano correttamente la cartella clinica?
  • Ascolta la versione audio dell’articolo

 

 

Cosa si intende per “cartella clinica”

Per cartella clinica si intende l’insieme di documenti medici relativi ad un ricovero e/o un intervento, comprensiva dei moduli per il consenso informato del paziente, i risultati degli esami (tac, radiografie, risonanze magnetiche, risultati degli esami del sangue e urine etc.), del referto di pronto soccorso, delle valutazioni mediche (diagnosi, prognosi, terapie, somministrazione di farmaci etc.) ed infermieristiche.

La struttura sanitaria ha l’obbligo di conservazione delle cartelle cliniche per un tempo illimitato, come da Circolare del Ministero della Sanità n. 900 del 19 dicembre 1986.

Per valutare se un paziente è stato vittima di malasanità è necessario avere copia della cartella clinica.

Per approfondimenti leggi il nostro articolo “La cartella clinica”

 

La cartella clinica permette di verificare il corretto agire dei sanitari

Con la sentenza in commento, il T.A.R. ha chiarito quanto segue.

La documentazione sanitaria relativa ad un ricovero ed eventuale intervento chirurgico con i relativi esami diagnostici rientra nell’amplissima nozione di “documento amministrativo” di cui alla lett. d) dell’art. 22, l. n. 241 del 1990, trattandosi di atti interni detenuti dalla struttura ospedaliera, in relazione all’attività di pubblico interesse dalla stessa svolta al fine di assicurare al cittadino una adeguata assistenza sanitaria, e così il diritto primario e fondamentale alla salute.

Tale conclusione può essere senz’altro condivisa se il “documento” viene in considerazione in un’ottica di rapporto diretto tra cittadino-utente (o soggetto comunque legittimato in conseguenza del rapporto con questi) e struttura ospedaliera che detiene la cartella clinica, e cioè tutte le volte che la conoscenza del contenuto della cartella stessa sia strumentale a verificare il corretto agire dell’Amministrazione che ha erogato il servizio sanitario.

Pertanto <<gli eredi hanno diritto di accedere alla cartella clinica di una parente defunta ex art. 22 comma 1, l. n. 241 del 1990, come modificato dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15 ed ex art. 9 comma 3, d.lg. 30 giugno 2003 n. 196, in quanto titolari di interessi propri, corrispondenti a situazioni giuridicamente tutelate e collegate ai documenti richiesti in copia>>.

 

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Come si può contestare il contenuto della cartella clinica?

Le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica o da un ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e seguenti del Codice Civile.

Quindi, ciò che vi è stato riportato dai sanitari fa piena prova, ossia deve darsi per vero.

Precisamente, ciò vale per quanto attiene alle trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, restando, invece, non coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse (Cass. n. 25568 del 2011 e n. 7201 del 2003).

Se il paziente e/o i suoi familiari ritengono che la cartella clinica riporti circostanze false, si può proporre davanti alla Procura della Repubblica una denuncia per il reato di falso in atto pubblico.

Ad ogni modo, se è vero che il disposto dell’art. 2700 c. c., secondo cui l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, non è preclusa al giudice l’indagine su circostanze o fatti che nel medesimo atto non risultino nè positivamente nè negativamente acquisiti (Cass. 25811 del 2013).

 

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Cosa succede se i medici non compilano correttamente la cartella clinica?

In ambito sanitario, il medico ha l’obbligo di controllare la competenza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell’art. 1176 comma 2 c.c. e, quindi, un inesatto adempimento della sua corrispondente prestazione professionale.

In tema di responsabilità professionale sanitaria, l’incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, ma soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno.

Infatti proprio a causa della cartella clinica mancante o incompleta, è possibile ricorrere a presunzioni, se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che “in tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato; tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente” (Cassazione civile, sez. III, 18/02/2021, n. 4424).

 

Ascolta la versione audio dell’articolo

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