
I principi per dimostrare la responsabilità penale medica
24/10/2023
Differenza tra negligenza, imprudenza e imperizia medica
26/10/2023La Corte di Cassazione Penale Sezione V, con sentenza n. 40732 del 14 settembre 2023, ha confermato le statuizioni civili di condanna di un medico colpevole di aver ritardato l’asportazione di un nodulo mammario alla paziente, con conseguente aggravamento della malattia e necessità di mastectomia totale e chemioterapia.
E’ stato affermato che risponde del reato di lesioni colpose il sanitario che, con la propria condotta antidoverosa, vada ad aggravare una malattia preesistente prolungando i tempi di guarigione.
Il reato di lesione colposa sussiste anche in caso di mero aggravamento
Il caso trattato dalla Corte di Cassazione con la sentenza sopra richiamata non è nuovo, perché altre volte è accaduto che la mancata o tardiva diagnosi di una neoplasia mammaria comportasse un aggravamento della malattia o, addirittura, il decesso della paziente.
Tra le varie sentenze ricordiamo la n. 1705 del 19.03.2008 emessa dalla Corte di Cassazione Penale Sezione IV, che si riferiva proprio alla ritardata diagnosi di un tumore maligno che aveva determinato una crescita della lesione tumorale, ma non aveva inciso sul trattamento terapeutico (mastectomia totale) perché se la diagnosi fosse stata precoce quel trattamento sarebbe stato comunque necessario.
Dopo aver affermato il principio (all'epoca innovativo) secondo cui "ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia giuridicamente rilevante non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono in realtà anche mancare, bensì solo quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell'organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa" quella sentenza rilevò che, nel caso sottoposto alla sua attenzione, si era in presenza di una formazione tumorale di natura maligna - e quindi di una "malattia" in senso medico legale - sicché, l'accrescimento delle dimensioni di quella formazione, non poteva essere qualificato in altro modo che come un "aggravamento della malattia".
Si tratta di considerazioni pienamente condivisibili: non è revocabile in dubbio che l'insorgenza di un nodulo mammario sia una "malattia" in senso medico legale; tale e', infatti, ogni processo patologico idoneo ad incidere in modo significativo sulla integrità fisica e sulla salute di una persona.
Ma se il nodulo è una malattia, allora l'aumento delle sue dimensioni, anche se inidoneo a determinare un cambiamento del livello di stadiazione del tumore, di quella malattia costituisce un aggravamento ed è appena il caso di ricordare che, per giurisprudenza costante, cagionare l'aggravamento equivale a cagionare la malattia (in questo senso: Sez. 4, n. 46586 del 28/10/2004, Ardizzone, Rv. 230599; Sez. 5, n. 2782 del 05/10/1989, Cantagallo, Rv. 183522; Sez. 4, n. 7475 del 09/12/1985, Bazzi, Rv. 173398; Sez. 4, n. 17505 del 19/03/2008, Pagnani, Rv. 239541).
I fatti: il medico ritarda l’asportazione del nodulo e la malattia si aggrava
Con sentenza del 23 giugno 2022, la Corte di appello di Bologna ha riformato la sentenza del Tribunale di Bologna del 12 novembre 2015 che aveva condannato P.G. alla pena di mesi tre di reclusione per il delitto di cui all'art. 590 c.p., dichiarando non doversi procedere nei confronti dell'imputato per essere il reato estinto per prescrizione.
La Corte di appello ha confermato, tuttavia, le statuizioni civili della sentenza di primo grado con le quali P. era stato condannato al risarcimento dei danni in favore di B.M., marito di B.A., persona offesa dal reato. I giudici di merito hanno ritenuto accertati i fatti oggetto di imputazione.
Hanno ritenuto dunque che P., responsabile della Unità Operativa di senologia presso l'ospedale di (Omissis), abbia cagionato ad B.A. lesioni personali, consistite nell'aggravamento volumetrico di una "formazione solida" alla mammella destra la cui esistenza era stata accertata, a seguito di ecografia, il (Omissis).
Più in particolare, secondo i giudici di merito, P. avrebbe determinato l'aggravamento della patologia tumorale dalla quale la B. è risultata affetta perché, il 19 giugno 2008, all'esito di una visita senologica sulla paziente (che si era rivolta a lui per sottoporgli l'esito dell'ecografia eseguita due giorni prima), pur in presenza di un quadro ecografico dubbio per neoplasia, programmò l'asportazione del nodulo in regime di routine e senza urgenza, cosi ritardando l'accertamento e la cura della malattia.
L'intervento di asportazione - che fu eseguito il (Omissis) - rivelò, infatti, la natura maligna della neoformazione e l'interessamento dei linfonodi ascellari.
I giudici di merito riferiscono che in data 28 ottobre 2008, fu eseguita una mastectomia totale con asportazione dei linfonodi ascellari e che, dal mese di dicembre del 2008 al mese di luglio del 2009, la B. fu sottoposta a due cicli di chemioterapia.
Il medico ricorre alla Corte di Cassazione
L'imputato ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte di appello per i motivi che di seguito si riassumono.
La difesa dell’imputato ricorda che, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica - che possono anche mancare - bensì solo quelle da cui derivi una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l'aggravamento di esso, ovvero la compromissione delle funzioni dell'organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa. Pertanto, non ogni alterazione anatomica costituisce malattia in senso penalistico ed è tale soltanto il processo patologico che si manifesta con una apprezzabile menomazione funzionale dell'organismo.
La difesa rileva che, in tema di responsabilità medica, è stata ritenuta idonea ad integrare il reato di lesioni colpose anche "la condotta antidoverosa del sanitario che determini l'aumento del periodo di tempo necessario alla guarigione o alla stabilizzazione dello stato di salute del paziente" (Sez. 4, n. 5315 del 08/11/2019, dep. 2020, Lipari, Rv. 278437) e concludono che, nel caso di specie, il ritardo diagnostico del quale P. è stato ritenuto responsabile, non determinò una malattia e, dunque, non causò una "lesione personale" rilevante ai sensi dell'art. 590 c.p.. Nel corso del giudizio, infatti, non è emerso che tale ritardo abbia determinato una apprezzabile menomazione funzionale dell'organismo della paziente né un aumento del tempo necessario alla guarigione o alla stabilizzazione dello stato di salute.
Col secondo motivo la difesa censura la sentenza di appello nella parte in cui ritiene che il ritardo diagnostico avrebbe determinato la necessità di un intervento di mastectomia più invasivo di quello di quadrantectomia che sarebbe stato sufficiente in presenza di una diagnosi più tempestiva. Con particolare riguardo all'aumento dimensionale del nodulo, valorizzato dai giudici di primo e secondo grado per sostenere che tra il mese di giugno e il mese di ottobre del 2008 la malattia si era aggravata, la difesa osserva che tali conclusioni contrastano con quanto sostenuto dai consulenti del pubblico ministero, secondo i quali non può dirsi che in quell'arco di tempo la stadiazione del tumore si sia modificata e vi sia stata, quindi, una significativa mutazione del quadro clinico.
Sostiene, dunque, che l'affermazione della penale responsabilità sarebbe frutto di travisamento della prova scientifica e, in ogni caso, la motivazione fornita dai giudici di merito per sostenere che il ritenuto ritardo diagnostico determinò una lesione sarebbe carente.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso
Per la Corte di Cassazione si deve dare atto che la motivazione della sentenza impugnata è carente quando sostiene che, a causa del ritardo diagnostico, la persona offesa subì "una mutilazione chirurgica (...) di gran lunga superiore a quanto sarebbe stato necessario qualora la diagnosi fosse stata formulata (...) prima della pausa estiva attraverso una biopsia escissionale del nodulo".
Nel giungere a tale conclusione, infatti, la Corte di appello, ha mostrato di condividere le argomentazioni dei consulenti tecnici della parte civile, ma non ha spiegato perché tali argomentazioni dovessero ritenersi più attendibili e più convincenti di quelle formulate da tutti gli altri consulenti, secondo i quali, in ragione delle caratteristiche del tumore e della giovane età della paziente, un intervento di mastectomia totale sarebbe stato in ogni caso consigliabile.
La ponderata valutazione alla quale il giudice è tenuto, infatti, involge la stessa validità dei diversi metodi scientifici in campo, ed egli è chiamato a darne conto in motivazione fornendo una razionale giustificazione dell'apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di una determinata scuola di pensiero rispetto ad un'altra.
La sentenza impugnata non si è attenuta a questi principi di diritto quando ha affermato che, se l'escissione del nodulo fosse stata eseguita in regime di urgenza (e quindi prima dell'estate), la mastectomia non sarebbe stata necessaria. Tale affermazione, infatti, è stata giustificata facendo esclusivo riferimento al contenuto di una delle consulenze, senza spiegare perché le diverse argomentazioni sviluppate da altri consulenti dovessero essere disattese.
Fatta questa doverosa premessa, la Corte di Cassazione osserva che, quando il convincimento del giudice poggia su più ragioni distinte, ciascuna delle quali idonea a giustificare la decisione adottata, i vizi logici o giuridici relativi ad una sola di tali ragioni non inficiano la decisione poiché essa trova adeguato sostegno negli altri motivi non affetti da quei vizi. Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto che il ritardo diagnostico abbia causato una lesione rilevante ai sensi dell'art. 590 c.p. non soltanto perché rese necessaria la mastectomia eseguita il 28 ottobre 2008, ma anche perché determinò un significativo accrescimento del nodulo mammario.
La sentenza impugnata sostiene dunque (richiamando sul punto le motivazioni della sentenza di primo grado) che, se pure non vi fu tra giugno e ottobre un significativo cambiamento nella stadiazione del tumore, tuttavia, vi fu una crescita del volume del nodulo neoplasico e tale aumento dimensionale costituisce un aggravamento della malattia penalmente rilevante ai sensi dell'art. 590 c.p..
Poiché su questa argomentazione si fonda la condanna a fini civili, è necessario valutare se, qualificando come malattia, indipendentemente dalle sue conseguenze, l'aumento dimensionale di una neoplasia di natura maligna i giudici di merito abbiano compiuto errori logici o giuridici censurabili in questa sede.
Va subito detto che, nei motivi di ricorso, la difesa dell’imputato non contesta che tale accrescimento vi sia stato, ma si limitano a rilevare, che, in ogni caso, questo incremento dimensionale non comportò un diverso livello di stadiazione del tumore.
Dalla lettura delle sentenze di primo e secondo grado emerge che l'incremento dimensionale del nodulo è stato documentalmente accertato in giudizio. L'ecografia eseguita il (Omissis), infatti, aveva rilevato l'esistenza di una "grossolana formazione solida a profili polilobulati tra i quadranti esterni" indicandone la misura in 3,5x2,8 cm. e da referto istologico del 13 ottobre 2008 risulta che la formazione asportata il precedente 10 ottobre era costituita da due noduli - oppure (il dato non è chiarito) da un unico modulo frammentato in due le cui dimensioni erano rispettivamente 4,5x4x2,5 cm e 3,5x2x1 cm. La sentenza di primo grado sottolinea che una così rilevante differenza dimensionale non è spiegabile con la diversità delle tecniche di misurazione e che (come i consulenti del Pubblico ministero e della parte civile hanno sostenuto, senza essere smentiti dai consulenti della difesa) tale differenza è del tutto compatibile con l'elevatissimo indice di accrescimento delle neoplasie mammarie rilevabile in una donna di 35 anni quale era la B. all'epoca dei fatti.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, "ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l'aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell'organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa" (Sez. 5, n. 33492 del 14/05/2019, Gattuso, Rv. 276930; Sez. 4, n. 22156 del 19/04/2016, De Santis, Rv. 267306).
Nello specifico settore della responsabilità medica tale nozione è stata approfondita specificando che, anche il tempo necessario per ridurre o stabilizzare definitivamente una patologia preesistente può considerarsi malattia sicché risponde del reato di lesioni colpose il sanitario che, con la propria condotta antidoverosa, determini l'aumento di tale periodo di tempo (Sez. 4, n. 5315 del 08/11/2019, dep. 2020, Lipari, Rv. 278437).
Com'e' evidente, tale indirizzo giurisprudenziale, richiamato dalla difesa dell’imputato, non esclude affatto che l'aggravamento di una malattia possa essere, esso stesso, una malattia penalmente rilevante e non solo in relazione al maggior tempo necessario per determinare la guarigione o la stabilizzazione del processo patologico.
Nel caso di specie, come risulta dalle sentenze di primo e secondo grado, il decorso del tempo determinò un'alterazione anatomica assai rilevante perché il (Omissis) furono asportati due noduli la cui dimensione complessiva era quasi doppia rispetto a quella della neoformazione la cui esistenza era emersa dal referto ecografico del (Omissis).
A ciò deve aggiungersi che, come la sentenza impugnata ricorda, e come la Corte di Cassazione ribadische, la scienza medica "sostiene la necessità di una sollecita diagnosi delle patologie tumorali" sottolineando che "la prognosi della malattia varia a seconda della tempestività dell'accertamento" (Sez. 4, n. 36603 del 05/05/2011, Faldetta, non massimata; Sez. 4, n. 50975 del 19/07/2017, Memeo, non massimata; Sez. 4, n. 23252 del 21/02/2019 Leuzzi, non massimata).
Nessun profilo di contraddittorietà o manifesta illogicità può quindi essere ipotizzato, dunque, nell'aver affermato che, se la diagnosi e la terapia fossero state più tempestive, con elevato grado di credibilità razionale, l'accrescimento del nodulo non vi sarebbe stato o vi sarebbe stato in misura minore.
Per quanto esposto, la sentenza impugnata viene conferma dalla Corte di Cassazione.
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