
Amministratore di condominio e appropriazione indebita
20/10/2023
Peritonite non trattata tempestivamente e decesso del paziente
23/10/2023Riportiamo la sentenza n. 38305 del 7 settembre 2023 con cui la Corte di Cassazione Penale Sezione IV ha confermato la condanna di un medico di Pronto Soccorso che aveva omesso di diagnosticare al paziente una appendicite acuta, dimettendolo e così prolungando la malattia, fintanto che il paziente decedeva.
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Il medico di P. S. non diagnostica una appendicite acuta
Il 15 luglio (Omissis), D.M. si era rivolto al proprio medico di base in quanto lamentava forti dolori addominali e, sottoposto dal curante ad una ecografia addominale, gli erano stati riscontrati dei calcoli alla colecisti, con conseguente prescrizione di antidolorifici;
nella giornata seguente era altresì sopravvenuta una dissenteria, per la quale il medico aveva prescritto altro farmaco specifico; non essendosi attenuati i sintomi, il 20 luglio il paziente si era recato presso il pronto soccorso dell'ospedale di (Omissis) dove - a seguito di un esame ecografico - era stata confermata la diagnosi del medico di famiglia ovvero quella di colica biliare determinata da calcoli alla colecisti e quindi, dopo l'effettuazione di tre lavaggi di antidolorifico, il paziente era stato rimandato a casa.
Il successivo 21 luglio le condizioni non erano migliorate e il paziente era anzi andato in blocco urinario, così che il successivo 22 luglio era stato nuovamente ricoverato presso lo stesso nosocomio; qui, la radiografia toracico-addominale aveva riscontrato una "ampia falda di pneumoperitoneo associata ad abbondante versamento peritoneale livellato, a sede eminentemente perisplenica ed in modica parte nel cavo retto vescicale", per il quale il paziente era stato sottoposto d'urgenza a intervento di appendicectomia, dopo il quale era stato trasferito presso il reparto di terapia intensiva, ove era sopravvenuto il decesso.
L'addebito di colpa nei confronti del medico è quello di avere diagnosticato - nella propria qualità di medico di pronto soccorso in servizio presso il suddetto nosocomio - con negligenza ed imperizia, una colica biliare da calcolosi della colecisti in luogo di un'appendicite acuta in atto, omettendo di valutare adeguatamente l'esito degli esami ematochimici cui il paziente era stato sottoposto e la sintomatologia da questi accusata; per effetto di tale condotta, quindi, dimettendo il paziente alla data del 20 luglio (Omissis), è stato contestato all'imputato di averne cagionato il decesso, atteso che un intervento di appendicectomia d'urgenza, qualora effettuato alla data del primo ricovero, avrebbe assicurato al paziente stesso una concreta possibilità di sopravvivenza.
In primo e secondo grado il medico viene condannato
Il Tribunale di Salerno condannava il medico e la Corte di Appello di Salerno, a seguito di appello del medico, confermava la sentenza di condanna, ritenendo fondata l'ipotesi accusatoria formulata nel capo di imputazione, argomentando che - sin dal momento del primo ingresso nel pronto soccorso del 20 luglio (Omissis) - fossero presenti sintomi di un'appendicite acuta in atto, come denotato dal dolore addominale lamentato dal paziente e dagli esiti degli esami ematochimici, con particolare riferimento al livello molto alto dei globuli bianchi e della proteina C reattiva (che presentava un valore di 432 a fronte di un massimo di 5).
I giudici di merito hanno altresì rilevato che - sulla base dell'ecografia disposta in occasione del primo ingresso presso il pronto soccorso era stata effettivamente rilevata la presenza di un calcolo alla colecisti che peraltro, non essendo associato a una sofferenza dell'organo, non poteva essere la causa del dolore ovvero dell'infiammazione; hanno quindi ritenuto che i sintomi rilevati in occasione di tale primo accesso, non essendo attribuibili alla presenza del suddetto calcolo, avrebbero dovuto indurre il medico del pronto soccorso ad effettuare ulteriori analisi, con specifico riferimento all'esecuzione di una TAC ovvero alla richiesta di una consulenza chirurgica.
E’ stato altresì rilevato che, proprio in conseguenza della mancata rilevazione da parte dell'ecografia disposta il 20 luglio di sintomi interessanti il peritoneo (quali l'aria libera ovvero versamenti), il medico di pronto soccorso - anziché rimandare a casa il paziente - avrebbe dovuto trovare una causa all'evidente sofferenza di quest'ultimo, afflitto da gravi dolori addominali e anche in considerazione degli elementi desumibili dagli esami ematochimici; hanno quindi ritenuto che la mancanza di un idoneo approfondimento diagnostico si ponesse in diretto rapporto causale con il successivo decesso del paziente, sopravvenuto nonostante l'intervento di appendicectomia del 22 luglio (Omissis) fosse stato effettuato in modo corretto; intervento all'esito del quale gli operatori avevano riscontrato una "appendicite acuta retrocecale sottosierosa in preda a gangrena che coinvolge la parte posteriore del cieco e del colon ascendente per circa 15 cm".
Il medico ricorre alla Corte di Cassazione
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, articolando più motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 589 c.p. e 125 c.p.p.; ha contestato la motivazione della sentenza di appello nella parte in cui non aveva conferito adeguata risposta al terzo motivo di gravame, in cui era stata censurata la sentenza del Tribunale laddove aveva dato per accertato che il paziente, il giorno 20 luglio (Omissis), fosse già affetto da appendicite acuta, con specifico riferimento alla valutazione dello "score di Alvarado", laddove l'applicazione del relativo punteggio doveva invece far ritenere come improbabile tale conclusione; ha comunque argomentato che il solo dolore addominale non era valutabile ai sensi del predetto score, il quale contemplava il più specifico sintomo costituito dal dolore alla palpazione nella zona iliaca destra, argomentando conseguentemente come - sulla base dello stesso ragionamento dei giudici di merito - fosse carente la prova in ordine anche solo alla possibile presenza, già alla data del 20 luglio (Omissis), di un'appendicite acuta in atto.
Ha quindi argomentato che, proprio in considerazione degli elementi desumibili dall'applicazione del predetto score, non potesse essere escluso che l'appendicite fosse insorta in conseguenza di una forma acuta di tipo "brusco e violento", anche in considerazione degli esiti dell'esame ecografico espletato il 20 luglio (Omissis), dal quale non erano desumibili anomalie nell'appendice.
Con il secondo motivo di impugnazione ha dedotto la violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett.b), c) ed e), c.p.p., in relazione all'art. 589 c.p., con specifico riferimento alla parte della motivazione nella quale il giudice d'appello aveva assunto la sussistenza di un errore diagnostico stante la natura silente del calcolo alla colecisti; sul punto, ha argomentato che la valutazione dello "score di Alvarado", qualora correttamente operata da parte della Corte territoriale, avrebbe dovuto indurre la stessa a ritenere improbabile che - il giorno 20 luglio (Omissis) - il paziente fosse già affetto da appendicite acuta retrocecale e che, di conseguenza, il sanitario non poteva ritenersi tenuto a richiedere l'effettuazione di una TAC ovvero un consulto chirurgico, anche alla luce degli esiti dell'esame ecografico disposto in tale occasione.
Con il terzo motivo di impugnazione ha dedotto la violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett.b), c) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 589 c.p. e 125 c.p.p.; ha censurato la valutazione della Corte territoriale in punto di risposta al primo motivo di appello, nel quale era stata a propria volta censurata la valutazione del Tribunale in punto di determinazione del nesso causale tra la dedotta condotta omissiva e l'evento letale; in particolare, ha dedotto che la Corte non avrebbe tenuto adeguato conto delle patologie da cui era affetto il paziente (che presentava un quadro clinico caratterizzato da obesità, ipertensione arteriosa, diabete mellito e aritmie) omettendo quindi di argomentare in ordine alla ragioni in base alle quali l'adozione delle condotte salvifiche da parte del medico di pronto soccorso avrebbe sicuramente evitato il decesso.
Con il quarto motivo di impugnazione ha dedotto la violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett.b), c) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 589 c.p. e 125 c.p.p.; ha contestato la motivazione della sentenza della Corte territoriale in ordine alla risposta al secondo motivo di appello in punto di valutazione in ordine alla sussistenza del nesso causale e di compiuta considerazione di tutte le circostanze del caso concreto; in particolare, ha dedotto che il giudice d'appello aveva dato atto dell'impossibilità di individuare il preciso momento nel quale era insorta la patologia che avrebbe portato al decesso e della relativa evoluzione.
Con il quinto motivo di impugnazione, ha dedotto la violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett.b), c) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 589 c.p. e 125 c.p.p.; ha censurato la motivazione della decisione di conferma in punto di risposta ai rilievi contenuti nel quarto motivo di appello, con specifico riferimento ai principi in punto di responsabilità del medico di pronto soccorso; in particolare, ha dedotto che - prima di procedere alla dimissione del paziente alla data del 20 luglio (Omissis) - il ricorrente si era avvalso di un consulto medico specialistico, specificamente disponendo un'ecografia addominale dalla quale non era risultata nessuna patologia necessitante di immediato intervento; ha quindi dedotto che la Corte territoriale avrebbe violato i principi giurisprudenziali in punto di valutazione della responsabilità del medico di primo soccorso in caso di consulto da parte di medico specialista, ipotesi nella quale è quest'ultimo a prendere in carico il paziente e a decidere in ordine alla necessità di ulteriori esami o consulti o di un intervento immediato; argomentando come dal relativo consulto non fossero emersi elementi sintomatici della patologia che avrebbe portato al successivo decesso.
Con il sesto motivo di impugnazione, ha dedotto la violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett.b), c) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 589 c.p. e 125 c.p.p., nonché in riferimento all'art. 3 della L. n. 189/2012; ha dedotto che la Corte territoriale, erroneamente, non avrebbe tenuto conto dell'esimente prescritta dalla legge suddetta valutando come grave la colpa del sanitario, non accertando adeguatamente i profili di responsabilità concretamente emergenti nel caso in esame e il relativo grado.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso
SLa Corte di Cassazione premette che, vertendosi in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile.
Ciò posto, i motivi di ricorso risultano inammissibili perché in parte aspecifici per mancanza di necessario confronto con passi significativi del percorso logico-giuridico seguito dalle sentenze di merito e in parte perché manifestamente infondati.
Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere congiuntamente esaminati attesa la loro stretta connessione sul piano argomentativo; difatti, in sede di esposizione dei motivi di impugnazione, il ricorrente - richiamando la documentazione allegata - ha censurato la motivazione della sentenza della Corte territoriale nella parte in cui ha valutato che, in ragione della situazione clinica accertata in occasione dell'ingresso presso il Pronto soccorso, lo "score di Alvarado" (ovvero un sistema di punteggio clinico adottato nella diagnosi dell'appendicite) denotasse come "possibile" la diagnosi medesima; sul punto, il ricorrente ha rilevato che il correlativo punteggio di 4 sarebbe stato erroneamente desunto dalla Corte, atteso che il paziente lamentava un solo generico dolore addominale e non il dolore alla palpazione alla fossa iliaca destra contemplato dal suddetto sistema di valutazione; conseguentemente, il ricorrente ha censurato le sentenze di merito nella parte in cui hanno escluso - sulla base degli elementi desumibili da una corretta applicazione del predetto score - che l'appendicite fosse sopravvenuta in un momento posteriore rispetto all'ingresso in pronto soccorso del 20 luglio (Omissis).
Sul punto, la Corte di Cassazione rileva che il giudice di primo grado ha esposto come - sulla base della valutazione dei consulenti predetti - sin dal momento del primo accesso presso il Pronto soccorso il paziente fosse affetto da una condizione di sofferenza peritoneale sostenuta dalla presenza di un processo necrotico gangrenoso che coinvolgeva l'intestino cieco e il colon ascendente; condizione, a propria volta, denotata dai sintomi riscontrati sul paziente stesso, quali il dolore addominale e la mancata emissione di feci e gas lamentata già anteriormente al ricovero nonché dai valori degli esami ematochimici ivi disposti, che denotavano un livello di globuli bianchi pari a 17,9 (in un range compreso tra 4,00 e 10,00) e di proteina C reattiva pari a 432, in un intervallo di riferimento compreso tra O e 5.
Ulteriormente, il giudice di primo grado - sempre richiamando le conclusioni dei consulenti del Pubblico ministero - ha rilevato come anche i risultati dell'esame ecografico disposto lo stesso 20 luglio (Omissis), avevano evidenziato indici indiretti idonei a indurre la presenza di una problematica acuta addominale, quali la presenza di interferenze gassose che limitavano l'esplorabilità dell'addome e, in particolare, del pancreas.
Deve quindi rilevarsi come i giudici di merito hanno tratto il proprio convincimento in ordine alla sussistenza, già al momento del primo accesso in ospedale, di un'appendicite poi degenerata in gangrena e quindi in peritonite purulenta stercoracea sulla base di un'analitica valutazione del compendio istruttorio e delle conclusioni raggiunte dai consulenti del Pubblico ministero.
Conseguentemente, le argomentazioni poste alla base dei motivi di ricorso, fondate sulla dedotta valutazione erronea degli elementi forniti dallo "score di Alvarado" - costituente uri solo profilo incidentalmente valutato dalla Corte unitamente al complesso degli elementi prima riassunto - si presentano come frutto di una lettura meramente parziale e parcellizzata delle conclusioni raggiunte dai giudici di merito; presentandosi, quindi, come del tutto aspecifiche.
Con il terzo motivo di impugnazione, il ricorrente ha dedotto che la Corte territoriale non avrebbe dato adeguata risposta alla censura spiegata avverso la sentenza di primo grado e inerente alla mancata valutazione - in punto di sussistenza del nesso causale tra la condotta doverosa omessa e il decesso - alle contemporanee morbilità da cui era affetto il paziente, in quanto soggetto obeso, iperteso e diabetico.
II motivo è dichiarato inammissibile, in quanto meramente riproduttivo di censura spiegata in sede di appello e in questa sede disattesa con motivazione non apparente e non manifestamente illogica.
Per la Corte di Cassazione, nel caso di specie, la deduzione inerente al rilievo del pregresso stato patologico è stata specificamente smentita dalla Corte territoriale; la quale ha rilevato che il paziente era comunque risultato operabile e che non era deceduto, neanche sotto un profilo concausale, per effetto della presenza di problematiche pregresse ma a causa della peritonite determinata dall'appendicite non tempestivamente trattata.
Con il quarto motivo di impugnazione, il ricorrente ha contestato la motivazione della Corte territoriale in punto di valutazione in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la patologia all'origine del decesso del paziente e alla sua evoluzione temporale; specificamente, ha ritenuto che la Corte territoriale sarebbe incorsa in un vizio di omessa pronuncia ovvero di illogicità della motivazione, avendo essa stessa dato atto dell'impossibilità di individuare il momento esatto di insorgenza dell'appendicite e il suo conseguente sviluppo.
Anche questo motivo è ritenuto inammissibile, in quanto omissivo rispetto al necessario raffronto con le ragioni esposte nelle sentenze di merito in punto di sussistenza del nesso causale tra la condotta doverosa omessa e l'evento letale.
La Corte di Cassazione premette che, per consolidata giurisprudenza, in tema di responsabilità medica e ai fini dell'accertamento del nesso di causalità, è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell'evento, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l'analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio.
In riferimento alla tematica relativa, nell'esposizione del motivo di impugnazione il ricorrente ha quindi operato una lettura parcellizzata della motivazione resa dalla Corte territoriale; la quale ha invece rilevato che - pure nell'impossibilità di stabilire l'esatto momento di insorgenza della patologia - la stessa dovesse considerarsi pacificamente già in atto al momento dell'ingresso al Pronto soccorso avvenuto il 20 luglio, sulla base dei sintomi prima riassunti (ovvero il dolore addominale in atto e l'infiammazione settica denotata dal livello dei globuli bianchi e della proteina C reattiva).
Considerazioni che, a propria volta, si integrano con quelle contenute nella sentenza di primo grado e nella quale è stato dato atto di come - sulla base di quanto esposto dai consulenti del Pubblico ministero - al momento dell'ingresso del paziente in Pronto soccorso sussistessero comunque "notevoli elementi indicativi di una sofferenza peritoneale", non adeguatamente valutati dal medico responsabile.
Ne consegue che, anche in relazione alla specifica censura inerente alla valutazione del nesso causale, il ricorrente ha - di fatto - omesso qualsiasi adeguato confronto con le argomentazioni spese dalle sentenze di merito le quali, sulla base della sussistenza dei predetti elementi denotativi di una patologia interessante il tratto peritoneale, hanno evidenziato come il medico di pronto soccorso avesse invece formulato una diagnosi di colica addominale dovuta a una colecistite calcolosa, con un disorientamento diagnostico da considerare causalmente ricollegato al successivo decesso.
Giungendo quindi alla correlativa conclusione in coerenza con i principi in base ai quali risponde di omicidio colposo per imperizia, nell'accertamento della malattia, e per negligenza, per l'omissione delle indagini necessarie, il medico che, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie comunque pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente.
Con il quinto motivo di impugnazione, il ricorrente ha censurato la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che - nel caso di specie potesse essere ravvisata la responsabilità del medico di pronto soccorso pur in presenza della richiesta di un consulto medico-specialistico nei confronti del medico ecografista; ha specificamente argomentato che, in caso di ricorso - da parte del medico di primo soccorso - al consulto di uno specialista, sarebbe quest'ultimo ad assumere in carico il paziente e a decidere quindi in ordine alla eventuale nécessità di ulteriori approfondimenti diagnostici o di ulteriori consulti specialistici.
Per la Corte di Cassazione anche questo motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
Nel suddetto motivo, il ricorrente ha proposto come argomento difensivo un tema già affrontato da questa Corte di legittimità, che è quello della corretta interpretazione del principio di affidamento in ipotesi di cooperazione multidisciplinare; cui si connette il tema relativo al dovere, in capo al medico di pronto soccorso che abbia chiesto la consulenza specialistica ad altri colleghi, di attivarsi motu proprio rispetto ad indicazioni terapeutiche che non gli siano ancora state fornite.
Sul punto, costituisce, ius receptum di questa Corte di legittimità che, in tema di colpa professionale medica, qualora ricorra l'ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all'osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità.
Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio a errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.
Ne' può invocare il principio di affidamento l'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell'evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità; ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l'abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata.
Dovendosi altresì evocare il principio in base al quale, la posizione di garanzia del medico di pronto soccorso comporta l'obbligo di questi di rapido inquadramento diagnostico e di determinazione degli eventuali accertamenti indispensabili a confermare la diagnosi, ai fini della predisposizione del pronto intervento per la risoluzione della patologia, senza che lo stesso possa fare affidamento nella indicazione di priorità degli interventi e degli accertamenti diagnostici sull'ordine degli interventi dei medici del pronto soccorso.
Nel caso in esame, quindi, deve escludersi che il medico di pronto soccorso possa invocare il principio dell'affidamento; dovendosi anzi ritenere che il paziente sia rimasto sotto la sua sfera di controllo per tutto il periodo durante il quale lo stesso è stato assistito presso la struttura ospedaliera e rilevando che faceva sicuramente carico al sanitario di primo soccorso il compito di operare la complessiva valutazione dei sintomi da questi accusati, alla luce di una unitaria valutazione del suo stato clinico e degli esiti degli esami ematochimici e strumentali.
Deve quindi ritenersi che le argomentazioni contenute nel motivo di ricorso non siano idonee a smentire la valutazione compiuta dai giudici di merito, in base alla quale nei confronti dell'imputato è ravvisabile una grave negligenza derivante dall'avere compiuto una diagnosi errata; pur avendo, proprio in correlazione con i risultati degli esami ematochimici e dell'esame obiettivo del paziente, tutti gli elementi per poter ipotizzare quella corretta o comunque per disporre l'effettuazione di ulteriori e necessari esami strumentali, rimanendo responsabile della relativa situazione per tutto il periodo durante il quale la persona offesa si era trovata presso il pronto soccorso; tanto più che, come evidenziato nella sentenza di primo grado e in correlazione con le considerazioni svolte dai consulenti del Pubblico ministero, l'esame ecografico aveva comunque denotato l'elemento - a propria volta valutabile unitamente a quelli forniti dall'esame obiettivo e dagli esiti degli esami ematochimici - rappresentato dalle interferenze gassose e da considerare pure valutabile ai fini di una corretta diagnosi.
Con il sesto motivo di impugnazione, il ricorrente ha contestato la motivazione della sentenza impugnata in punto di mancata applicazione del disposto dell'art. 3 del D.L. 13/9/2012, n. 158 - convertito nella L. 8/11/2012, n. 189 e applicabile al presente giudizio ratione temporis in quanto disciplina più favorevole rispetto a quella contenuta nell'art. 6 della L. 8 marzo 2017, n. 24 che ha introdotto l'art. 590-sexies c.p., (Sez. 4, Sentenza n. 36723 del 19/04/2018, Di Saverio, Rv. 274326) - ai sensi del quale "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve".
Per la Cassazione anche questo motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
A proposito delle disposizioni contenute nei richiamati artt. 3 del D.L. n. 158/2012 e 590-sexies c.p., va premesso che queste ultime sono operanti nei soli casi in cui l'esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse; la suddetta causa di non punibilità non è applicabile, invece, né ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né quando l'atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche, né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall'esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso, né, infine, in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.
Deve quindi ritenersi che, con motivazione pure sintetica ma adeguata e immune dai denunciati vizi di omissione e di illogicità, la Corte territoriale abbia escluso che la condotta del sanitario possa ritenersi priva di rilevanza penale in quanto caratterizzata dal solo connotato della colpa lieve in presenza di una corretta individuazione e adozione delle linee guida.
Va difatti ritenuta conforme alla ratio delle predette disposizioni l'argomentazione spiegata dai giudici di secondo grado, in base alla quale non si verte in una fattispecie concreta idonea a essere inquadrata nell'ambito di quella regolata dall'art. 3 del D.L. n. 158/2012, non risultando in alcun modo che il sanitario abbia correttamente individuato le linee guida applicabili al caso concreto, proprio in quanto la condotta allo stesso ascrivibile è riconducibile al genus dell'errore diagnostico.
Del tutto inconferente appare altresì il richiamo al già citato "score di Alvarado", atteso che il percorso diagnostico tenuto dal ricorrente era stato caratterizzato proprio dell'errore inerente alla mancata individuazione degli elementi connotativi di un'appendicite.
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