
Omessa diagnosi pediatrica e decesso del bambino
19/10/2023
Amministratore di condominio e appropriazione indebita
20/10/2023Quando i genitori danno in comodato ad un figlio una casa perché vi abiti con il proprio nucleo familiare, cosa succede in caso di separazione? E’ possibile riavere indietro la casa?
A darci una risposta sono i giudici della Corte di Cassazione Civile Sezione III con l’ordinanza n. 27634 del 29 settembre 2023, che hanno negato ai comodanti di riottenere il possesso di una mansarda, concessa in comodato al figlio poi separatosi, nella quale era rimasta a vivere la nuora con la prole.
Due forme di comodato senza termine
Il Codice civile disciplina due forme del comodato: il comodato propriamente detto, regolato dagli artt. 1803 e 1809; e il c.d. comodato precario, al quale si riferisce l'art. 1810 c.c., sotto la rubrica "comodato senza determinazione di durata".
Nel caso di cui all'art. 1810 c.c., connotato dalla mancata pattuizione di un termine e dalla impossibilità di desumerlo dall'uso cui doveva essere destinata la cosa, è consentito al comodante di richiedere ad nutum al comodatario il rilascio della medesima cosa.
L'art. 1809 c.c., concerne invece il comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale.
Esso è caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno (art. 1809 c.c., comma 2).
Le condizioni per rientrare in possesso dell’immobile
Si è a lungo discusso in giurisprudenza a quale tipo contrattuale, in assenza di pattuizioni circa il termine finale del godimento, va ricondotto il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione dell'immobile a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario.
All'orientamento secondo il quale il comodato di bene immobile, destinato a casa familiare, ove pattuito senza determinazione di tempo, comportasse l'obbligo del comodatario di restituire il bene non appena il comodante lo avesse richiesto si contrapponeva altro orientamento che riconduceva la fattispecie al comodato previsto dagli artt. 1803 e 1809 c.c..
Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13603 del 2004, con la quale è stato statuito che: “in caso di comodato avente ad oggetto un bene immobile, stipulato senza la determinazione di un termine finale, l'individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari non può essere desunta sulla base della mera natura immobiliare del bene, concesso in godimento dal comodante, ma implica un accertamento in fatto, di competenza del giudice del merito, che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti, compiuta attraverso una valutazione globale dell'intero contesto nel quale il contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le medesime, degli interessi perseguiti e di ogni altro elemento che possa far luce sulla effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare”.
Sul tema le Sezioni Unite sono tornate con sentenza n. 20448 del 2014, precisando che:
a) il comodato di casa familiare è riconducibile allo schema del comodato a termine indeterminato, ma non è riconducibile al contratto senza determinazione di durata (cioè al precario cui all'art. 1810 c.c.), in quanto il comodato di casa familiare ha riguardo alla configurazione di un termine, che non è prefissato, ma è desumibile dall'uso convenuto;
b) il comodato di bene immobile, che sia concesso con destinazione abitativa, non ha necessariamente durata pari alle esigenze della famiglia del comodatario, ancorché disgregata: spetta ai giudici di merito valutare la sussistenza della pattuizione di un termine finale di godimento del bene, e, d'altronde, la concessione per destinazione a casa familiare implica una scrupolosa verifica della intenzione delle parti, che tenga conto delle loro condizioni personali e sociali, della natura dei loro rapporti, degli interessi perseguiti.
Trattasi sempre di un mero problema di prova, risolvibile grazie al prudente apprezzamento del giudice di merito in relazione agli elementi che sono sottoponili al suo giudizio;
c) spetta a chi invoca la cessazione del comodato per il raggiungimento del termine prefissato, dimostrare il relativo presupposto; l'art. 1809 c.c., rivela che il comodato a tempo determinato, soprattutto se con connotazioni di lunga durata, nasce nella convinzione della stabilità del rapporto, ma non esclude la possibilità di risolverlo motivatamente in caso di bisogno; questa eventualità è una componente intrinseca del tipo contrattuale e, al contempo, costituisce espressione di un potere e di un limite del comodante, da questi accettato nel momento in cui concede il bene per un uso potenzialmente di lunghissima durata e di fondamentale importanza per il beneficiario.
In applicazione dei principi che precedono, la Corte di Cassazione ha successivamente affermato:
- con sentenza n. 8548 del 2008, che: “l'onere della forma scritta nei contratti, previsto dall'art. 1350 c.c., non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, il quale può essere provato anche per testi e per presunzioni”;
- con sentenza n. 24618 del 2015, che: “il comodato di un bene immobile, stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, ha un carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, sicché il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l'eventuale crisi coniugale, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante”;
- con ordinanza n. 20151 del 2017, che: “nell'ipotesi in cui il vincolo matrimoniale del comodatario sopravvenga, occorre che sia dimostrato come il proprietario abbia inteso, in virtù di scelta sopravvenuta, trasformare la natura del comodato, rispetto alla sua precedente finalità, ancorando la destinazione del bene alle esigenze del gruppo familiare neocostituito”.
Il bisogno di rientrare in possesso dell’immobile
La Corte di Cassazione ha precisato che la portata del bisogno, richiesto dall'art. 1809, comma 2, non deve essere grave, essendo sufficiente che sia soltanto imprevisto (cioè sopravvenuto rispetto al momento del sorgere del vincolo negoziale) ed urgente.
L'urgenza è qui da intendersi come imminenza, restando quindi esclusa la rilevanza di un bisogno non attuale, non concreto, ma soltanto astrattamente ipotizzabile.
Ovviamente il bisogno deve essere serio, non voluttuario, nè capriccioso o artificiosamente indotto.
Pertanto, non solo la necessità di uso diretto, ma anche il sopravvenire imprevisto del deterioramento della condizione economica, che obbiettivamente giustifichi la restituzione del bene anche ai fini della vendita o di una redditizia locazione del bene immobile, consente di porre fine al comodato, quantunque la destinazione sia quella di casa familiare.
Resta fermo che, essendo in gioco valori della persona, ed in particolare le esigenze di tutela della prole, questa destinazione, con più intensità di ogni altra, giustifica massima attenzione in quel controllo di proporzionalità e adeguatezza, sempre dovuto in materia contrattuale, che il giudice deve compiere quando valuta il bisogno fatto valere con la domanda di restituzione e lo compara al contrapposto interesse del comodatario.
© avvocaticollegati.it