
Lesione tendinea non diagnosticata: risarcita la nostra cliente
02/10/2023
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17/10/2023Il Tribunale di Ascoli Piceno, con la sentenza n. 456 dell’11 luglio 2023, ha riconosciuto a un paziente il risarcimento dei danni subiti a causa della lesione del nervo sciatico per colpa dei medici che lo avevano operato per una frattura di femore con necessità di protesizzazione dell'anca.
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Il caso trattato dal Tribunale di Ascoli Piceno
Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., ritualmente notificato, Po.Ro., conveniva in giudizio l'Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche, il Dott. (…) e la Dott.ssa (…) al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti a seguito dell'errato intervento chirurgico effettuato dai sanitari della struttura resistente.
In particolare, spiegava il ricorrente che in data 18.12.2012 veniva ricoverato presso l'U.O. di Ortopedia e Traumatologia dell'Ospedale di Ascoli Piceno con una diagnosi di "trauma contusivo dell'anca destra con frattura del collo del femore", per poi essersi sottoposto il giorno successivo ad intervento chirurgico dai Dott.ri (…) e (…), a seguito del quale riportava una lesione del nervo sciatico dovuta a malpractice chirurgica e assenza di diligenza.
La causa di merito veniva introdotta a seguito di ATP che aveva accertato la responsabilità del personale ospedaliero e della struttura sanitaria.
Si costituiva in giudizio l'Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche, contestando in fatto ed in diritto la domanda e chiedendone il rigetto. Si costituiva in giudizio anche il Dott. (…) chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti e contestando le risultanze della CTU espletata in sede di ATP in quanto generica ed approssimativa.
Si costituiva in giudizio anche la Dott.ssa (…) contestando le avverse pretese poiché infondate in fatto ed in diritto, sia sotto il profilo dell'an che del quantum, e concludeva chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
Il rapporto paziente – medico – ospedale
Il Tribunale precisa che al presente caso non si applica la Legge Gelli – Bianco n. 24/2017 ma quella vigente all’epoca del fatto, ossia il Decreto Baluzzi n. 189/2012.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale prosegue precisando che nell'ipotesi in cui il paziente alleghi di aver subito danni in conseguenza di una attività svolta dal medico in esecuzione della prestazione che forma oggetto del rapporto obbligatorio tra quest'ultima e il paziente, tanto la responsabilità della struttura quanto quella del medico vanno qualificate in termini di responsabilità contrattuale.
Ed infatti, il rapporto che si instaura tra paziente e ente ospedaliero ha la sua fonte in un atipico contratto (c.d. contratto di spedalità o di assistenza sanitaria) a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo.
Anche l'obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente ha natura contrattuale, ma è fondata su di un contatto sociale avente ad oggetto una prestazione che si modella su quella del contratto d'opera professionale.
Il medico, quindi, risponderà a fronte della violazione di un obbligo di comportamento fondato sulla buona fede e funzionale a tutelare l'affidamento sorto in capo al paziente in seguito al contatto sociale avuto con lo stesso.
L'azienda sanitaria risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa dai suoi dipendenti, alla stregua delle norme di cui agli art. 1176 e 2236 c.c., essendo ravvisabile una responsabilità contrattuale del committente per l'errore commesso dai suoi preposti (ex multis Cass. n. 6386/2001).
La responsabilità del medico investe la struttura sanitaria ove lo stesso opera e nella cui organizzazione è inserito. L'art. 1228 c.c., infatti, prevede una forma di responsabilità contrattuale indiretta secondo cui: "il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi risponde dei fatti dolosi e colposi di questi".
La struttura sanitaria, pertanto, è responsabile solidamente (Cass. n. 18805/2009; Cass. n. 6436/2015) con il medico in caso di malpractice di quest'ultimo: la stessa, per essere esente da responsabilità, dovrà dimostrare di aver predisposto in maniera ottimale e tempestiva tutti i servizi richiestigli e di essersi avvalsa, nell'esplicazione degli stessi, di personale idoneo e competente.
Il criterio di riparto dell'onere della prova in siffatte fattispecie, pertanto, non è quello che governa la responsabilità aquiliana (nell'ambito della quale il danneggiato è onerato della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi l'illecito ascritto al danneggiante) ma quello che governa la responsabilità contrattuale di cui all'art. 1218 c.c.
Pertanto, è onere del creditore che agisce (per la risoluzione del contratto o per l'adempimento o) per il risarcimento del danno, dare prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (in questo caso del contratto o del contatto sociale), limitandosi alla allegazione dell'avvenuto inadempimento del debitore e, quindi, del danno e del nesso causale fra quest'ultimo e l'inadempimento (provando che la condotta del professionista è stata la causa del danno lamentato).
Ciò, fermo restando che il principio applicabile ai fini della ricostruzione dell'efficienza causale della condotta del sanitario sull'eventus damni è quello della "preponderanza dell'evidenza", anche noto come principio della "causalità adeguata" o del "più probabile che non" - (Cass. 29315/2017; Cass. 3704/2018; Cass. 20812/2018). Compete quindi al debitore la prova che l'inadempimento è insussistente o che comunque non sia stato causa del danno stesso.
Dopo che il creditore-paziente avrà assolto al proprio onere probatorio, sarà compito del debitore-sanitario dimostrare di aver adempiuto diligentemente la prestazione oppure che l'inadempimento, pur verificatosi, sia dipeso da circostanze imprevedibili ed inevitabili e, per tale ragione, a lui non imputabili (Cass. 18392/2017; Cass. 26700/2018; Cass. 14335/2019; Cass. 27606/2019; Cass. 26907/2020; Cass. 10050/2022).
I periti incaricati dal Tribunale danno ragione al paziente
Trasponendo tali principi al caso di specie, l'attore ha allegato e provato di essersi affidato alle cure dell'Ospedale di Ascoli Piceno a seguito della caduta e l'errore dei medici dal quale è conseguito l'aggravamento della situazione patologica.
Sarebbe stato onere delle convenute dimostrare di aver posto in essere tutte le cautele necessarie ad evitare il danno e, in particolare per quanto attiene ai sanitari, di aver operato con la massima diligenza ed il massimo scrupolo ovvero che il danno lamentato sarebbe da ascriversi ad una causa non imputabile, ad un evento imprevedibile, anche utilizzando l'ordinaria diligenza. Tale prova non è stata fornita.
La struttura sanitaria e i sanitari convenuti, infatti, si sono limitati ad opporre genericamente la correttezza del percorso diagnostico e terapeutico attuato e l'inutilizzabilità dei risultati della CTU espletata in sede di ATP.
Al contrario, la domanda attrice ha ricevuto conferma dalla CTU svolta nel procedimento di ATP promosso in via preventiva dal Po., secondo cui dall'analisi documentale non vi è prova che la lesione dello sciatico popliteo esterno sia da addebitarsi ad una complicanza imprevedibile e non prevenibile, essendo con maggior probabilità da attribuire alla mancata messa in atto di strategie adeguate alla prevenzione di questi eventi, in particolare un adeguato accesso chirurgico, attenzione del posizionamento dei retrattori e nella movimentazione della gamba, inadeguato controllo anestesiologico, oppure può essere dovuto alla formazione di voluminosi ematomi o edemi perifratturativi.
La prova del danno è ben rappresentata dalla elettromiografia del gennaio 2013 che evidenziava la grave neuropatia dello sciatico; tuttavia il danno neurologico è andato progressivamente incontro ad un miglioramento ed infine ad una stabilizzazione nel 2015, ulteriormente confermata dall'ultimo esame elettromiografico del 2020..
Anche l'esame obiettivo effettuato dallo specialista ortopedico depone per un discreto recupero funzionale, residuando, attualmente esiti funzionali "modesti", discretamente compensati dall'uso delle stampelle.
Per quanto riguarda la patologia psichiatrica vi è da dire che all'epoca dei fatti il Po. presentava già da alcuni anni un disturbo di personalità per il quale era in terapia, l'aggravamento imputato alla perdita di autonomia conseguente alla frattura femorale non può essere interamente addebitato alla lesione nervosa, ma solo in misura ridotta può essere correlato con il prolungamento del periodo di invalidità temporanea dovuto al deficit dello SPE.
In ultima analisi anche l'incremento ponderale (riferito) non sembra con sufficiente grado di probabilità da attribuire esclusivamente al prolungato periodo di riabilitazione e alle difficoltà deambulatorie derivanti dalla lesione nervosa; l'attuale peso corporeo inoltre non costituisce una condizione inemendabile". Le conclusioni a cui è pervenuto il collegio peritale in sede di ATP si sono palesate del tutto soddisfacenti, congrue ed ampiamente ed esaustivamente motivate, e devono e possono essere pienamente utilizzate ai fini della decisione della presente causa di merito.
Correttamente i CCTTUU hanno commisurato il danno da ascrivere alla responsabilità dei sanitari quale danno iatrogeno.
Il danneggiante dovrà essere chiamato a rispondere "di tutto il danno provocato e soltanto di esso, ovvero, in presenza di concause, delle sole conseguenze dannose a lui ascrivibili sotto il profilo della causalità giuridica" (cfr. anche Cass. n. 514/2020). Pertanto, il danno risarcibile sarà rappresentato dall'invalidità del paziente al netto del valore della patologia originaria e dell'intervento subito (così ex multis Cass. 27265/21).
Dall'esame della storia clinica del paziente i Consulenti hanno correttamente rilevato che "Attualmente residuano le seguenti alterazioni: lieve deficit EPA e ECD a destra validi almeno per l'80 per cento (modesto deficit dello SPE discretamente compensato dall'uso dei bastoni canadesi) in esiti elettromiografici stabilizzati di pregressa lesione del nervo sciatico destro, prevalentemente nella sua componente peroneale, nell'ambito di una modesta polineuropatia mista, di natura non nota (dismetabolica?), aggravamento del quadro psichiatrico preesistente (disturbo di personalità poi evolutasi in psicosi affettiva bipolare).
Il risarcimento del danno iatrogeno differenziale
Tenuto conto dei normali esiti dovuti ad una frattura di femore con necessità di protesizzazione dell'anca, della modesta polineuropatia da cui il Po. risulta affetto, della pregressa anamnesi psichiatrica di disturbo della personalità, le alterazioni permanenti sopra descritte costituiscono un danno iatrogeno, che riduce la validità biologica del Soggetto, nella misura del 20 per cento (venti percento)" aggiungendo come "le lesioni hanno comportato un periodo di incapacità temporanea assoluta di 30 gg ed un ulteriore periodo di incapacità temporanea al 50 per cento di 60 gg, al 25 per cento di 60 gg".
Dunque, i consulenti del Tribunale, nella quantificazione della misura dell'invalidità subita dall'attore direttamente riconducibile all'errore iatrogeno, hanno opportunamente tenuto conto dell'esistenza di altri "fattori concausali menomativi" che, pur non ritenuti idonei ad assorbire integralmente l'errore medico, tuttavia hanno avuto una (seppur minima) incidenza sulla catena causale.
I CCTTUU hanno affermato poi che "la lesione dello SPE, ben documentata nel corso dei ripetuti esami elettromiografici eseguiti dal Po., sia una complicanza nota ma quanto mai rara dopo interventi di artroprotesi d'anca.
Esistono delle misure preventive adeguate per contrastare tale evenienza e sono rappresentate da un accesso chirurgico antero-laterale, da una accurata individuazione dei possibili fattori di rischio preoperatori, dall'accurata e cautelativa manipolazione dell'arto inferiore, evitando di applicare trazioni eccessive e utilizzando in modo appropriato lo strumentario (in particolar modo i retrattori), nonché dalla possibilità di registrare eventuali lesioni nervose in tempo reale eseguendo una registrazione neurofisiologica (potenziali evocati, elettromiografie) intraoperatoria che permetta di individuare la lesione precocemente e di eseguire manovre chirurgiche nella maniera adeguata e con la corretta applicazione di forza. Tutta la letteratura scientifica è concorde nell'individuazione di queste componenti dell'atto chirurgico come fonte di lesione iatrogena dello SPE.
Se la lesione nervosa fosse stata attribuibile al trauma, l'esame obiettivo al momento del ricovero avrebbe dovuto evidenziare un deficit pre operatorio della flesso estensione del piede, tuttavia, al momento del ricovero veniva espressamente negata la sussistenza di deficit nervosi periferici all'arto inferiore destro, dunque, con la logica del più probabile che non, la lesione nervosa è più probabilmente attribuibile ad un evento intraoperatorio, quale una eccessiva trazione durante le manipolazioni chirurgiche, un non adeguato posizionamento del paziente in relazione anche al tipo di accesso chirurgico o un incongruo utilizzo dei retrattori, piuttosto che alla frattura stessa, rimanendo tuttavia difficile individuare l'esatto momento in cui, nel corso dell'intervento, si verificò tale lesione".
Hanno poi ribadito come: "La valutazione del 20 per cento racchiude in sé sia la componente del danno nervoso dello SPE, quantificabile in circa 8-10 per cento, valore che ben si correla con i reperti elettromiografici ed obiettivi riscontrati anche in sede di CTU, alla luce sia del recupero funzionale che del rilievo di una polineuropatia mista, sia il peggioramento delle condizioni psichiche, documentato dalla esecuzione di una visita psichiatrica, eseguita tra l'altro nella stessa struttura ospedaliera dell'intervento ortopedico, che documenta un peggioramento del quadro clinico, da intendersi quadro clinico psichiatrico, dopo frattura del femore destro e successive complicazioni che hanno determinato grave compromissione personale nella deambulazione con peggioramento delle condizioni psicopatologiche".
Può dirsi dunque accertato che l'errore medico ha più probabile che non, ad aggravare le conseguenze patite dal Po.
I convenuti non hanno fornito alcun elemento idoneo a superare le predette conclusioni, per cui andranno dichiarati solidalmente responsabili dei danni subiti dall'attore (ferma restando la ripartizione del risarcimento nei rapporti interni fra i convenuti, sulla quale l'odierno giudicante non è stato comunque chiamato a decidere).
In ordine all'entità del risarcimento, trattandosi di danni "macropermanenti", saranno applicabili le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano che oltre alla "vocazione nazionale" - evidenziata anche dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 12408/11 - sono state rielaborate all'esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008.
Va precisato che, alla luce del costante orientamento della Corte di Cassazione, non è più ammesso il riconoscimento di molteplici voci di liquidazione del danno non patrimoniale e ciò al fine di evitare inammissibili duplicazioni risarcitone.
Com'è noto, infatti, si è avuto espresso riconoscimento di un sistema di risarcimento del danno alla persona bipolare - ossia di danno patrimoniale e non patrimoniale - ove quest'ultimo comprende il danno biologico in senso stretto (inteso come lesione del diritto della persona alla salute consistente in una menomazione dell'integrità dell'organismo umano nella sua struttura psicofisica), il danno morale come tradizionalmente inteso (inteso come sofferenza morale, non necessariamente transeunte, turbamento dello stato d'animo del danneggiato), nonché tutti quei pregiudizi diversi e ulteriori, purchè costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto ovvero di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.
Tali conseguenze dannose non patrimoniali ulteriori e peculiari non sono state allegate dalla parte; ne discende che non possono essere risarcite in questa sede.
Se è vero, infatti, che il danno morale soggettivo può essere comprovato mediante lo strumento delle presunzioni - posto che ad un certo tipo di lesione, anche se di lieve entità, può riconnettersi di regola una sofferenza - tuttavia, il ricorso alle presunzioni non può esonerare il danneggiato dall'onere di una compiuta allegazione del danno, o quanto meno degli elementi di fatto da cui desumere la sussistenza di un pregiudizio morale.
Allo stesso modo, non potrebbe riconoscersi all'attore alcuna personalizzazione del danno, trattandosi, anche questa, di una voce di danno non patrimoniale non solo non provata, ma nemmeno allegata dalla parte attrice.
In conclusione, tenuto conto della gravità delle lesioni e dell'età del soggetto leso, posto in relazione il concreto evento biologico con il quadro completo delle funzioni vitali in cui poteva e potrà estrinsecarsi l'efficienza psicofisica dell'attore, si ritiene equo ex art. 1226 c.c. liquidare il danno personale patito dall'attore come segue:
- a titolo di risarcimento del danno derivante dalla lesione permanente del 20 per cento dell'integrità psicofisica, euro 58.373,55;
- a titolo di risarcimento del danno derivante da inabilità temporanea assoluta per giorni 30, invalidità temporanea parziale al 50 per cento per giorni 60 e parziale al 25 per cento per giorni 60, euro 9.001,02.
In conclusione, all'attore andrà riconosciuta, a titolo di danno non patrimoniale, la complessiva somma di euro 67.374,57, già rivalutata.
Al fine di effettuare tale calcolo, in base al costante insegnamento della Corte di Cassazione sarà necessario "devalutare" tale somma al giorno in cui si è consumato l'illecito e sull'importo così ottenuto calcolare gli interessi sulla somma anno per anno rivalutata (Cass. Civ. Sez. Un. 17/02/95 n. 1712).
Sul totale delle somme così liquidate per sorte capitale ed interessi competono all'attore gli interessi legali, dalla data della presente decisione al saldo, ex art. 1282 c.c.
Passando alla valutazione della richiesta di risarcimento del danno patrimoniale, in omaggio al principio per cui con il risarcimento del danno occorre riportare il patrimonio del danneggiato nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato in assenza dell'inadempimento, andranno rimborsati i costi sostenuti per attivare il procedimento di ATP. Pertanto i convenuti, andranno, in solido tra loro, condannati a risarcire all'attore le spese per il contributo unificato e diritti di cancelleria, pari ad euro 438,39 (C.U. euro 379,50, euro 27,00 per marca, euro 31,89 per notifica decreto comparizione parti), le spese per la consulenza tecnica, pari ad euro 3.220,00, nonché euro 3.645,00 per l'attività espletata in sede di ATP dal procuratore dell'attore, per un totale di euro 7.303,39.
I convenuti devono altresì rimborsare all'attore le spese mediche sostenute, per un totale di euro 1.935,22, ritenute congrue dai CCTTUU.
Ne discende che, a titolo di danno patrimoniale, all'attore andrà risarcito il complessivo importo di euro 9.238,61 per le spese sostenute e documentate, causalmente riconducibili all'illecito nel senso che, in assenza del comportamento omissivo dei sanitari, le stesse non sarebbero state necessarie. Le spese di lite del presente procedimento seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo in relazione al valore della causa, al numero e complessità delle questioni trattate ed all'attività effettivamente svolta dal procuratore della parte attrice.
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