Malasanità: risarcimento al paziente con Ictus non curato in tempo
21/09/2023
Responsabilità medico-sanitaria: come si dimostra
25/09/2023La Corte di Cassazione Sezione Terza Civile, con la pronuncia n. 26851 del 2023, ha chiarito la differenza tra il danno da premorienza e il danno da perdita di chance di sopravvivenza nell’ambito della malasanità.
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L’accusa della paziente ai medici della Asl
Una paziente aveva chiesto l'esperimento di una consulenza tecnica preventiva per l'accertamento del danno patito a seguito di errore diagnostico di patologia tumorale, con conseguente omissione terapeutica, correlati ad un intervento di quadrectomia con biopsia del linfonodo sentinella e successivo svuotamento ascellare per carcinoma duttale infiltrante G3, con determinazione recettoriale inizialmente refertata come negativa.
L'intervento non era stato risolutivo e, negli anni seguenti, la malattia era recidivata, con ripetizioni metastatiche a livello polmonare e osseo che avevano consentito alla vittima di deambulare solo con l'ausilio due antibrachiali.
L'errore diagnostico, addebitato ai sanitari dell'ASL, era stato allegato come commesso nell'esame di determinazione dell'assetto recettoriale sul pezzo operatorio effettuato presso l'Unità di Anatomia Patologica del presidio ospedaliero di […] nel 2006.
L'errore era stato svelato nel 2010, quando era stata eseguita una revisione dei vetrini per la verifica dell'assetto recettoriale dello stesso pezzo operatorio presso l'(omissis), dove fu constatato che il tessuto tumorale era fortemente ricettivo per entrambi i recettori.
Secondo l'assunto della paziente, quell'errore iniziale aveva determinato la mancata prescrizione della terapia ormonale, che avrebbe dovuto essere intrapresa nel 2007, al termine della chemioterapia, e che invece era stata iniziata soltanto nel 2010, quando ormai la malattia era evoluta al 4 stadio, con metastasi ossea e polmonare, dall'iniziale stadio 2B in cui la paziente si trovava al momento della originaria diagnosi.
L'errore diagnostico, secondo l'istante, aveva determinato la riduzione delle probabilità di sopravvivenza, in particolare a 10 anni.
I periti confermano la colpa medica
Secondo il consulente nominato nel giudizio di primo grado, la terapia ormonale sarebbe stata in grado di ritardare la comparsa di recidive della malattia che, comunque, sarebbero dipese dalla storia naturale della stessa, sicché la sua mancata instaurazione avrebbe anticipato, più che determinato, la recidiva stessa.
Al contempo, il perito aveva affermato che, al momento della prima diagnosi, errata, si sarebbe dovuto compiere un approfondimento citogenetico, instaurando una terapia a base di Trastuzumab (farmaco Hereceptin), dimostratasi efficace nel migliorare considerevolmente il tasso di sopravvivenza e l'intervallo libero dalla malattia nelle pazienti C-erb-2, riducendo, su base statistica, il rischio di recidiva, e, in minor misura, il rischio di decesso, indipendentemente dalla instaurazione di una terapia ormonale.
Il consulente, avvalendosi dell'analisi di un ausiliario oncologo, aveva concluso che, più probabilmente che non, la combinata instaurazione della terapia ormonale con quella di Trastuzumab avrebbe potuto prevenire la recidiva e la progressione della patologia tumorale, ritenendo di dover stimare i postumi permanenti riconducibili a tale aggravamento nella misura del 50% rispetto allo stato anteriore.
Nei primi due gradi di giudizio l’Asl viene condannata
Il Tribunale aveva accolto la domanda, osservando, in particolare: che l'errore diagnostico era stato dimostrato ed era del resto pacifico; che la mancata somministrazione della ormonoterapia e del Trastuzumab aveva condizionato negativamente l'evoluzione della malattia neoplastica, posto che, secondo la letteratura scientifica, la percentuale dei soggetti con malattia nello stesso stadio che si erano avvalsi della terapia omessa era superiore alla percentuale di pazienti che avrebbero presentato comunque una recidiva nonostante la somministrazione del trattamento; che il danno differenziale era da quantificare, secondo le condivise analisi peritali, in misura pari, in specie, al 50% quanto all'invalidità permanente, tenuto pure conto di quanto già risarcito transattivamente; che andava parimenti riconosciuto il danno da perdita di "chance", liquidato equitativamente.
La Corte di appello, davanti alla quale avevano resistito gli eredi dopo l'intervenuto decesso dell'originaria attrice, aveva respinto il gravame della ASL osservando, in specie, che: gli oneri di allegazione non potevano ritenersi cristallizzati con riferimento a quanto già argomentato in sede di accertamento tecnico preventivo; l'incidenza della mancata somministrazione farmacologica e della mancata terapia ormonale era stata correttamente valutata sia in termini di peggioramento della qualità della vita (posto che si sarebbe potuta evitare una chemioterapia altamente invalidante) sia in termini di perdita di "chance", ovvero di danno da minore durata della vita, oltre che da sua peggiore qualità.
La premorienza del paziente nel corso della causa
A seguito di ricorso per cassazione della sentenza d’appello da parte della Asl, vengono parzialmente accolte alcune deduzioni della ricorrente, e la Corte di Cassazione esprime i seguenti principi.
Le conseguenze dannose della c.d. premorienza occorsa nelle more del giudizio vanno distinte a seconda che la morte sia indipendente o dipendente dall'errore medico.
È necessario, al contempo, evidenziare che, nel caso di specie, non si discute del danno iure proprio da lesione del rapporto parentale rispetto agli eredi intervenuti in appello, coltivando la domanda già svolta, ma di quello richiesto iure successionis.
Riguardo al primo caso (morte indipendente dall'errore medico), questa Corte ha chiarito che, qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta prima della conclusione del giudizio per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito (fattispecie non sovrapponibile a quella oggi oggetto di esame da parte del Collegio), l'ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto "iure successionis" va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale d'invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio, e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti.
In ipotesi di morte dipendente anche, come nella fattispecie, dall'errore medico, il Collegio intende dare continuità al principio per cui, qualora la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, tale ultima dovendosi ritenere lo stato patologico non riferibile alla prima, l'autore del fatto illecito risponde in toto, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, dell'evento di danno eziologicamente riconducibile alla sua condotta, a nulla rilevando l'eventuale efficienza concausale anche dei suddetti eventi naturali, che possono invece rilevare, sul piano della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all'autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, invece, all'autonoma e pregressa situazione patologica del danneggiato, non eziologicamente riferibile, cioè, a negligenza, imprudenza o imperizia del sanitario.
Differenza tra danno da premorienza e da perdita di chance di sopravvivenza
La Corte prosegue affermando che il danno da perdita anticipata della vita va poi distinto da quello da perdita di "chance" di sopravvivenza, posto che, se la morte è intervenuta, come nel caso di specie, l'incertezza eventistica, che ne costituisce il fondamento logico prima ancora che giuridico, è stata, di regola, smentita da quell'evento: in questo senso, fatte salve le precisazioni di cui si sta per dire, emerge, di regola, un'inammissibile duplicazione risarcitoria tra voci di danno, non risultando logicamente compatibili, in via generale, la congiunta attribuzione di un risarcimento da perdita anticipata della vita e da perdita di chance di sopravvivenza.
Dovrà pertanto offrirsi risposta al quesito se, nei rigorosi termini di cui si sta per dire, accanto dal danno da premorienza, ovvero accanto al danno - non per non essere guarito ma - per non aver avuto una vita che si sarebbe protratta più a lungo e per un tempo determinato, l'errore medico abbia potuto determinare, nello specifico caso, anche la perdita della "chance" di sopravvivere ancora più a lungo.
Ritiene opportuno il Collegio di procedere, in via preliminare, a una ricognizione delle possibili ipotesi, analoghe a quella oggetto del caso di specie, che possa più agevolmente consentire una ricostruzione in fatto dei presupposti di una corretta liquidazione del danno da parte del giudice di merito, al fine di individuare e differenziare le eventuali poste risarcitorie legittimamente invocabili dal danneggiato (ancora in vita al momento della decisione) ovvero dagli eredi, iure successionis, in caso di decesso anticipato dell'avente diritto.
Vanno, pertanto, distinte tre ipotesi:
1) La vittima è già deceduta al momento dell'introduzione del giudizio da parte degli eredi.
In questo caso non è concepibile, nè logicamente nè giuridicamente, un "danno da perdita anticipata della vita" trasmissibile iure successionis (Cass., 04/03/2004, n. 4400, Cass. 5641 del 2018, cit. e Cass., Sez. U., n. 15350 del 2015, cit.), non essendo predicabile, nell'attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico.
Esemplificando, causare la morte d'un ottantenne sano, che ha dinanzi a sé cinque anni di vita sperata, non diverge, ontologicamente, dal causare la morte d'un ventenne malato che, se correttamente curato, avrebbe avuto dinanzi a sé ancora cinque anni di vita.
L'unica differenza tra le due ipotesi sta nel fatto che, nel primo caso, la vittima muore prima del tempo che gli assegnava la statistica demografica, mentre, nel secondo caso, muore prima del tempo che gli assegnava la statistica e la scienza clinica: ma tale differenza non consente di pervenire ad una distinzione "morfologica" tra le due vicende, così da affermare la risarcibilità soltanto della seconda ipotesi di danno.
Nell'ipotesi di un paziente che, al momento dell'introduzione della lite, sia già deceduto, sono, di regola, alternativamente concepibili e risarcibili jure hereditario, se allegati e provati, i danni conseguenti:
a) alla condotta del medico che abbia causato la perdita anticipata della vita del paziente (determinata nell'an e nel quantum), come danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita effettivamente vissuta), considerato nella sua oggettività, e come danno morale da lucida consapevolezza della anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile soltanto a far data dall'altrettanto eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita;
b) alla condotta del medico che abbia causato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (non determinata nè nell'an nè nel quantum), come danno da perdita di chances di sopravvivenza.
In nessun caso sarà risarcibile iure haereditario, e tanto meno cumulabile con i pregiudizi di cui sopra, un danno da "perdita anticipata della vita" con riferimento al periodo di vita non vissuta dal paziente.
2) La vittima è ancora vivente al momento della liquidazione del danno
I danni liquidabili non divergono, morfologicamente, da quelle indicate sub 1) se non per il fatto che non saranno gli eredi, ma il paziente stesso, ancora in vita, ad invocarne il risarcimento, salvo il diverso profilo del danno morale:
a) se vi è incertezza sulle conseguenze quoad vitam dell'errore medico, il paziente può pretendere il risarcimento del danno da perdita delle chance di sopravvivenza, ricorrendone i consueti presupposti (serietà, apprezzabilità, concretezza, riferibilità eziologica certa della perdita di quella "chance" alla condotta in rilievo);
b) se invece è accertato, secondo i comuni criteri eziologici, che l'errore medico anticiperà la morte del paziente, sarà risarcibile il danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita) e il danno morale da futura morte anticipata, in questo caso sicuramente predicabile (essendo il paziente ancora in vita) a far data dalla acquisizione della relativa consapevolezza.
3) La vittima, vivente al momento dell'introduzione del giudizio, è deceduta al momento della liquidazione del a) se è certo che l'errore medico abbia causato la morte anticipata del paziente, si ricadrà nell'ipotesi di cui sopra, sub 1.a): il paziente può avere patito (e trasmesso agli eredi) un danno biologico (differenziale), e un danno morale da lucida consapevolezza della morte imminente, ma non un danno da "perdita anticipata della vita", risarcibile soltanto, nel perimetro sopra chiarito, iure proprio agli eredi, che potranno altresì proporre la relativa domanda in corso di causa, per ragioni di economia di giudizi (in argomento, v. anche Cass., Sez. U., 12/12/2014, n. 26242, e Cass., Sez. U., 15/06/2015, n. 12310);
b) se è incerto che l'errore medico abbia causato la morte del paziente, il paziente può avere patito, in relazione al tempo di vita vissuto (e trasmesso agli eredi), un danno da perdita delle chance di sopravvivenza, ma non un danno da "perdita anticipata della vita".
Tanto premesso, va affermato, in via generale, il principio secondo il quale, quando sia certo che la condotta del medico abbia provocato (o provocherà) la morte anticipata del paziente, la morte stessa diviene, di regola, evento assorbente di qualsiasi considerazione sulla risarcibilità di chance future, salvo quanto si dirà.
La conclusione
Nell'esigenza di pervenire ad una terminologia chiara e condivisa, va pertanto chiarito che:
a) vivere in modo peggiore, sul piano dinamico-relazionale, la propria malattia negli ultimi tempi della propria vita a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, rappresenta un danno biologico (differenziale);
b) nel contempo, trascorrere quegli ultimi tempi della propria vita con l'acquisita consapevolezza delle conseguenze sulla (ridotta) durata della vita stessa a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, costituisce un danno morale, inteso come sofferenza interiore e come privazione della capacità di battersi ancora contro il male;
c) perdere la possibilità, seria apprezzabile e concreta, ma incerta nell'an e nel quantum, di vivere più a lungo a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, è un danno da perdita di chance;
d) la perdita anticipata della vita per un tempo determinato a causa di un errore medico in relazione al segmento di vita non vissuta, è un danno risarcibile non per la vittima, ma per i suoi congiunti, nei termini prima chiariti, quale che sia la durata del "segmento" di esistenza cui la vittima ha dovuto rinunciare.
Traendo le fila del discorso svolto sin qui, deve concludersi che non vi è spazio, in linea generale, per sovrapposizioni concettuali tra istituti speculari (chance e perdita anticipata della vita), salvo che si chiariscano e si accertino, motivando rispetto alla concreta fattispecie, le differenze come sinora ricostruite.
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