
A chi spettano le spese della ex casa familiare?
20/09/2023
Errore diagnostico di patologia tumorale e ritardo nella cura
22/09/2023Con ordinanza del 20 settembre 2023, il Tribunale di Firenze ha riconosciuto un risarcimento di 400mila euro ai familiari di una paziente, tra cui un nostro assistito, che sostenevano che la madre fosse stata operata in ritardo per emorragia cerebrale e che da ciò fosse conseguito uno stato vegetativo della donna per circa sette anni prima del suo decesso.
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Subisce un ictus e resta in stato vegetativo per sette anni fino al decesso
In data 11.07.2014, a causa di un "dolore al braccio e forte debolezza", la paziente era stata trasportata al Pronto Soccorso dell'Ospedale S.S. Cosma e Damiano di Pescia (PT), per “Ictus emorragico” e poco dopo trasferita presso la Neurochirurgia 1 della AOU Careggi con diagnosi in ingresso di “emorragia intracerebrale spontanea”.
Dopo l’esecuzione di un esame neurologico obiettivo ed esame angiografico, la stessa era stata ricoverata in Neurorianimazione in attesa di essere sottoposta ad un intervento chirurgico, non possibile nell’immediato a causa della indisponibilità della sala operatoria, occupata da altra emergenza in corso.
La paziente era stata poi trasferita in Terapia Intensiva e solo alle ore 3:50 del 12.07.2014 era stata sottoposta all’intervento chirurgico di “Craniotomia parietale destra e svuotamento dell'ematoma”.
Ancora, in data 14.07.2014 la paziente era stata sottoposta ad intervento di “Tracheostomia” e in data 17.07.2014 veniva dimessa per essere trasferita presso il reparto di Rianimazione dell'Ospedale S.S. Cosma e Damiano di Pescia (PT), ove era stata sottoposta ad ulteriori esami di controllo e poi dimessa in data 08.08.2014, con contestuale trasferimento presso una RSA fino al 25.08.2014.
A questo era seguito poi un ricovero dal 25.08.2014 al 10.12.2014 presso l'Auxilium Vitae di Volterra (PI) e poi dimessa dalla succitata struttura e trasferita al proprio domicilio, dove era rimasta, affidata alle cure ed all'assistenza dei familiari sino al decesso avvenuto il 24.01.2021.
L’accusa dei familiari: l’intervento neurochirurgico è stato fatto in ritardo
I familiari hanno dedotto la negligenza e imperizia dei sanitari delle strutture che hanno avuto in cura la paziente, in particolare dell’AOU Careggi, estrinsecatesi nella mancata tempestività dell’esecuzione dell’intervento neurochirurgico cui la paziente è stata sottoposta, a fronte di una iniziale diagnosi erroneamente ritenuta non tale da richiedere la procedura chirurgica, ulteriormente ritardata a causa della indisponibilità della sala operatoria, rilevando così anche una carenza organizzativa della struttura stessa.
Alla luce di ciò si è dedotto il profilo di colpa professionale medica dell’AOU Careggi evidenziando il ritardo intercorso tra l’iniziale diagnosi e l’esecuzione dell’intervento chirurgico di craniotomia parietale destra e svuotamento dell’ematoma, a causa del quale si sarebbe determinato l’aggravamento delle condizioni di salute della sig.ra Sterlino ossia lo stato vegetativo in cui si è trovata la paziente a seguito degli eventi descritti sino al decesso avvenuto in corso di causa in data 24.01.2021.
La perizia disposta dal Tribunale da ragione ai familiari
Il Tribunale ha disposto una consulenza tecnica d’ufficio nel corso della causa che ha dato ragione ai familiari della paziente.
Infatti, i periti hanno dedotto come il ritardato intervento chirurgico cui era stata sottoposta la paziente in data 12.7.2014 aveva determinato una maggiore estensione di tessuto cerebrale irrimediabilmente compromesso, laddove un intervento tempestivo avrebbe comportato un danno neurologico meno esteso e una neuro-riabilitazione più efficace con prognosi maggiormente favorevole.
Infatti, dal momento dell’arrivo della paziente presso l’Ospedale Careggi (ore 18.16 dell’11 luglio 2014), fino al momento dell’inizio dell’intervento chirurgico di evacuazione dell’ematoma (ore 03.50 del 12 luglio), passarono oltre 9 ore e mezza, a causa della non disponibilità di una Sala Operatoria…”;
I periti hanno anche chiarito che, all’epoca dei fatti, “in un caso come quello di specie, le Linee Guida indicavano che vi era indicazione al trattamento chirurgico, con riduzione della probabilità di morte e dipendenza…”, rilevando ancora una volta il ritardo colposo nell’esecuzione dell’intervento chirurgico.
Quanto al nesso di causa tra la condotta colposa e il decesso hanno chiarito che “relativamente alla causalità, o concausalità, della grave menomazione complessiva sofferta dalla paziente in relazione a una minore sopravvivenza rispetto alle originarie aspettative di vita, la connessione va prima di tutto ricercata nella cosiddetta “sindrome da immobilizzazione” che ha afflitto la paziente per oltre 6 anni successivamente al fatto per cui si discute, sino al suo decesso…” specificando che “è nozione acquisita che la grave immobilità dell'anziano depauperi progressivamente le sue risorse vitali fino a farle scadere in un grado talmente infimo da essere incompatibile con la vita.”
I periti quindi concludono ritenendo che “una gestione del tutto corretta avrebbe consentito, del tutto realisticamente, di poter iniziare l’intervento chirurgico di evacuazione dell’ematoma, attorno alle ore 18.30 cioè in coincidenza con il rapido deterioramento clinico. Con tale tempistica l’outcome sarebbe stato sicuramente migliore: in particolare (pur residuando una emiplegia sinistra da lesione cerebrale primaria, determinata dal voluminoso ematoma intracerebrale temporo-parietale destro), lo stato di coscienza sarebbe risultato nettamente meno severo se non vi fosse stata la prolungata ipertensione endocranica nell’attesa della Sala Operatoria”.
Il caso di specie quindi poteva essere previsto e prevenuto: “nel caso della paziente di cui parliamo il danno era prevedibile (poiché il ritardo nell'algoritmo operativo non poté che determinare una maggiore estensione del danno cerebrale) e prevenibile (se l'organizzazione sanitaria di Careggi avesse risposto all'urgenza in tempi e modi adeguati).
Il Tribunale riconosce il danno iatrogeno differenziale
In punto di danno biologico riportato in vita dalla paziente, i perito hanno valutato l’esistenza di un danno iatrogeno differenziale quantificato nella misura del 40%; sul punto, nell’elaborato peritale si legge che “nell'ambito della menomazione psico-fisica sofferta in vita dalla paziente (di per sé valutabile nella misura del 95%), si può isolare una quota menomativa effettivamente attribuibile alla colpa medica, al netto della media del minimo danno plausibilmente inevitabile, che evitando inopportune operazioni algebriche per affidarsi a un criterio sincretico (neutralizzando cosi deduzioni oracolistiche sul rapporto tra esatta cronologia e danno presunto) deve valutarsi in una misura non inferiore al 40%.”
Dunque, il danno biologico permanente riportato dalla paziente in vita è stato stimato nel 40% e precisamente nella differenza tra il 55% prevedibile in assenza di eventi avversi e il 95% riscontrato a seguito degli eventi.
Di conseguenza, il Tribunale di Firenze riconosce che, in virtù della quantificazione operata secondo le tabelle milanesi, il danno differenziale calcolato sulla base dei suddetti criteri, all'importo che corrisponde a postumi per invalidità permanente del 95% in un soggetto 71enne come la paziente, pari ad euro € 761.981,00 occorrerà sottrarre euro € 366.377,00, ossia il quantum previsto per un soggetto 71enne con postumi permanenti pari al 55 % sicché il danno da invalidità permanente differenziale sarà, quindi, pari ad € 396.604,00.
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