Il Tribunale Civile di Lecce, con sentenza n. 1288 del 2 maggio 2023, ha riconosciuto la colpa medica nell’omessa effettuazione di un esame (nello specifico urinocoltura) e nel conseguente decesso del paziente a seguito di contrazione di infezione polmonare.
Si tratta di un caso di malasanità che da diritto, ai familiari del paziente deceduto, di ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti per perdita del rapporto parentale.
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I familiari di un paziente ricorrevano al Tribunale di Lecce al fine di accertare tramite perizia se il decesso del loro congiunto fosse riconducibile causalmente alla polmonite fulminante da infezione batteria da Klebsiella, contratta presso un locale Ospedale, per violazione di norme di igienico-sanitarie, inadeguatezza strutturale, mancanza di mezzi materiali-attrezzature tecniche necessarie, oltre che al colposo ritardo diagnostico dell'infezione, inadeguatezza strutturale, imperita gestione della complicanza settica già precedentemente manifestatasi.
Nel caso che ci occupa, i periti hanno effettivamente riscontrato l'inadeguatezza del trattamento terapeutico relativo ad una uretrocistoscopia, ricevuto dal loro congiunto in occasione del suo accesso all'Ospedale, non essendo stato aderente alle leges artis e alle buone pratiche dell'arte medica.
Intanto è utile sapere che l’uretrocistoscopia è un esame endoscopica che permette di vedere dentro l’uretra e la vescica per verificare dal punto di vista diagnostico alcuni sintomi sospetti per condizioni come l’ematuria (sangue nelle urine), la calcolosi vescicale, le neoformazioni vescicali, le alterazioni infiammatorie e per lo studio dell’uretra.
Ebbene, l'indagine peritale disposta dal Tribunale ha evidenziato che all'epoca di detto trattamento invasivo, esistevano, per il quadro nosologico del paziente, protocolli diagnostico-terapeutici elaborati dalla comunità scientifica che prevedevano il preventivo accertamento della presenza di una infezione urinaria, tramite urinocoltura, prima dell'esecuzione di detto trattamento sanitario.
Orbene, l'unica regola di condotta omessa è stata la mancata esecuzione della urinocoltura prima del suddetto esame. Infatti, se l'esame fosse stato procrastinato, di fronte alla evidenza di una infezione urinaria, fino alla risoluzione della stessa, l'evento non si sarebbe verificato.
Tanto ha sicuramente cagionato un peggioramento delle condizioni generali del paziente rispetto a quelle preesistenti con insorgenza di un quadro settico che ha comportato immediato ricovero presso altro Ospedale e poi il decesso.
Il caso che abbiamo trattato è relativo alla richiesta risarcitoria dei familiari di un paziente morto per colpa medica, in cui si deve dimostrare in che cosa è consistita la negligenza dei medici e che da tale negligenza è scaturito il decesso del paziente.
In particolare, è ormai pacifico nella giurisprudenza che i familiari del paziente morto devono provare le cause del fatto costitutivo della pretesa risarcitoria derivante dall'inadempimento, mentre resta a carico del medico e/o dell’ospedale provare l’assenza di colpa, ossia di ragioni giustificatrici dell'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile.
Pertanto, l'art. 1218 del codice civile solleva i familiari del paziente deceduto dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento.
Così nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dei familiari del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui si chiede il risarcimento.
Tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno.
Ne discende, con riferimento alla responsabilità della struttura sanitaria (atteso che, all'esito dell'entrata in vigore della legge Gelli/Bianco 8 marzo 2017, n. 24, la responsabilità del medico è qualificata come aquiliana), che non basta che il paziente dimostri il contratto di spedalità e deduca l'insorgenza della patologia in conseguenza delle cure prestate, ma è necessario che dia prova della concreta riconduzione dell'insorgenza della lesione alla condotta, attiva od omissiva, dei medici che operano in quella struttura.
Nel caso trattato dal Tribunale di Lecce, i familiari hanno provato l'inadeguatezza del trattamento terapeutico relativo alla uretrocistoscopia ricevuto dal loro congiunto, non essendo stato aderente alle leges artis e alle buone pratiche dell'arte medica, e che da ciò è derivato il decesso.
Hanno pertanto ottenuto il risarcimento dei danni per perdita del rapporto parentale!
Il nostro team di avvocati e medici legali segue da più di venti anni cause per risarcimento danni da malasanità, avvalendosi anche si consulenti medici specializzati nelle varie branche della medicina.
In un caso come quello trattato dal Tribunale di Lecce, il decesso del paziente risultava legato ad una infezione sorta dopo un esame invasivo non preceduto da urinocoltura che, se fosse stata effettuata, avrebbe palesato la presenza di una infezione urinaria ed avrebbe sconsigliato l’esame.
Ebbene, nei casi in cui il decesso del paziente deriva da una infezione, sepsi o shock settico, i nostri avvocati e medici legali sottopongono il caso anche ad uno o più dei nostri consulenti infettivologi.
L’infettivologo, infatti, è il medico che studia e cura le malattie causate dall'invasione dell'organismo da parte di patogeni come batteri, virus, parassiti o funghi che proliferando possono danneggiare la salute.
Se quindi tu o un tuo familiare avete subito un caso di malasanità per infezione ospedaliera (detta anche infezione nosocomiale), potete rivolgervi ad avvocaticollegati.it per ottenere il risarcimento dei danni subiti, senza dover anticipare nessuna spesa, perché i nostri avvocati e consulenti medici saranno pagati solo ad avvenuto risarcimento!
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