Quando il medico ha per colpa ridotto le possibilità di guarigione o maggiore sopravvivenza del paziente, si parla di risarcimento danni per perdita di chance per quest’ultimo e/o i suoi familiari.
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Le possibilità di sopravvivenza del paziente, misurate in astratto secondo criteri percentuali, rilevano ai fini della liquidazione equitativa del danno, che dovrà tenere conto dello scarto temporale tra la durata della sopravvivenza effettiva e quella della sopravvivenza possibile in caso di intervento chirurgico corretto.
Infatti, quando si discorre in termini di perdita di chance, vale a dire di perdita della possibilità di ottenere un risultato utile, occorre dare per scontato che non è possibile affermare che l'evento si sarebbe o meno verificato, ma si può dire che il paziente ha perso, per effetto di detto inadempimento, delle chance, che statisticamente aveva, anche tenuto conto della particolare situazione concreta.
Pertanto, una volta individuata una chance, per definizione consistente in mera possibilità, va indagato il nesso causale della perdita di tale possibilità con la condotta riferita al responsabile, prescindendo dalla maggiore o minore idoneità della chance a realizzare il risultato sperato, ma reputandola di per sé come "bene", cioè un diritto attuale autonomo e diverso dagli altri, ivi compreso il diritto alla salute.
In questa fase, il ragionamento va di certo condotto in termini probabilistici, ma esclusivamente nell'indagare il rapporto tra la situazione fattuale e la perdita della possibilità del risultato utile, vale a dire nel compiere quella che è l'attività di accertamento del nesso di causalità materiale così come connotata in ambito civile, con applicazione della detta regola c.d. del "più probabile che non", secondo cui come per la causalità ordinaria, anche per la causalità da chance perduta (da intendere come possibilità di un risultato diverso e migliore, e non come mancato raggiungimento di un risultato solo possibile), l'accertamento del nesso di causalità materiale implica sempre l'applicazione della regola causale di funzione, cioè probatoria, del più probabile che non, sicché, in questo caso, la ricorrenza del nesso causale può affermarsi allorché il giudice accerti che quella diversa - e migliore - possibilità si sarebbe verificata più probabilmente che non.
Pertanto, in casi quale quello di specie, intanto sussiste il nesso causale in quanto l'errore medico abbia comportato "più probabilmente che non" la perdita della possibilità di una vita più lunga da parte del paziente, statisticamente accertata, in caso di intervento chirurgico corretto ovvero di corretta e tempestiva diagnosi, sulla base di indagini epidemiologiche.
Soltanto in questa fase successiva ed ulteriore, che è quella della quantificazione del risarcimento, torna rilevante l'idoneità della chance a produrre il risultato utile, nel senso che l'entità del risarcimento andrà commisurata al danno quantificato in ragione della maggiore o minore possibilità di ottenere quel risultato, misurata eventualmente in termini percentuali.
In tema di attività medico-chirurgica, grava sul sanitario che esegua un esame diagnostico l'obbligo di informare il paziente, in forma completa e con modalità congrue al livello di conoscenze scientifiche dello stesso, sugli esiti dell'accertamento, sul grado di rischio delle patologie riscontrate e sulla necessità ed urgenza di ulteriori approfondimenti diagnostici, dal cui inadempimento può conseguire in capo al paziente un danno da perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza; questo danno presuppone che il paziente, benché malato grave o anche gravissimo, abbia tuttavia ancora dinanzi - ove la condotta medica fosse corretta - la possibilità di uscire da tale situazione mediante una guarigione o una sopravvivenza di entità consistente, misurabile in termini di anni (cd. lungo-sopravvivenza), e si distingue dal diverso pregiudizio alla qualità della vita nel tempo conclusivo dell'esistenza, il quale presuppone, invece, che il paziente versi nella condizione di malato terminale, la cui sopravvivenza - sempre nell'ipotesi di condotta medica corretta - sia circoscritta ad un tempo limitato, misurabile in termini di poche settimane o di pochi mesi (Cassazione civile, sez. III, 19/03/2018, n. 6688).
In altro e diverso caso, la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza di merito, la quale aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni parentali conseguenti al decesso di un congiunto, avvenuto a causa di errori diagnostici che ritardarono di oltre due anni la diagnosi di un tumore polmonare, in quanto la Corte territoriale aveva escluso che l'inadempimento dei sanitari avesse ridotto la "chance" di guarigione del paziente, sul rilievo che la morte si sarebbe comunque verificata, omettendo così di identificare correttamente l'evento di danno nella perdita anticipata della vita e nella peggiore qualità della stessa (Cass. civ. n. 5641 del 9.3.2018).
Ancora, in altro caso, la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza di merito, la quale aveva dimezzato l'importo del risarcimento dei danni riconosciuti dalla decisone di primo grado ai parenti in conseguenza del decesso di un congiunto - avvenuto a seguito di un errore diagnostico che, secondo la valutazione operata dal consulente tecnico, aveva comportato l'evento lesivo con una probabilità del 50% - sovrapponendo, però, i distinti piani dell'accertamento del nesso causale e l'accertamento e valutazione del danno in concreto subito dagli attori (Cass. civ. n. 12906 del 26.6.2020).
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