Il Tribunale di L’Aquila, con la sentenza n. 782 del 23 novembre 2022 sotto riportata, ha condannato l’Azienda Sanitaria a risarcire i familiari di una paziente dimessa precocemente con una infezione in corso e poco dopo deceduta.
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Con atto di citazione ritualmente notificato, O. F., S. F. e I. F., in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sui figli minori C. T. e Ch. T. (rispettivamente coniuge convivente, figlio convivente, figlia e nipoti di L.F.), hanno agito davanti al Tribunale di L’Aquila al fine di sentir accertare e dichiarare la responsabilità della struttura sanitaria convenuta per la morte di L.F. e, conseguentemente, ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali dagli stessi subito.
A sostegno della propria domanda, hanno dedotto che:
- in data 15.01.2016 L.F. sarebbe stata ricoverata presso la struttura ospedaliera convenuta per l'insorgenza di un dolore all'arto inferiore sinistro, a causa di una caduta accidentale occorsa nel proprio domicilio;
- a seguito di accertamenti clinici e strumentali, le sarebbe stata diagnosticata una frattura sottocapitata di femore sinistro e, per tale motivo, in data 18.01.2016, la stessa sarebbe stata sottoposta ad un intervento chirurgico di "impianto protesi biarticolare";
- dopo l'intervento chirurgico, tuttavia, la paziente avrebbe riportato uno stato febbrile e un addensamento parenchimale in sede basale destra di natura flogistica;
- in data 23.01.2016, L.F. sarebbe stata dimessa con terapia antibiotica domiciliare;
- in data 01.02.2016, la paziente sarebbe tornata nuovamente presso l'ospedale civile di L'Aquila su indicazione del proprio medico di medicina generale, per un probabile scompenso cardiaco e ivi le sarebbe stata diagnosticata un'"area di opacità parenchimale nel campo polmonare medio a destra, compatibile con un processo flogistico in atto;
- successivamente, le condizioni cliniche di L.F. sarebbero peggiorate, anche a causa di una severa acidosi metabolica e, in data 5.02.2016, la stessa è deceduta con la diagnosi di "Shock cardiogeno in paziente con doppio focolaio broncopneumonico";
- gli attori, al fine di chiedere il risarcimento dei danni derivanti dalla morte della propria congiunta, in data 28.09.2017, hanno esperito, seppur con esito negativo, un tentativo di mediazione.
In primo luogo, deve affermarsi che la materia in questione, con precipuo riferimento alla responsabilità medica della struttura sanitaria, va inquadrata nell'ambito della responsabilità contrattuale.
Infatti, pur non potendosi applicare le disposizioni normative attualmente in vigore (L. 8 marzo 2017 n. 24) che, a norma dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. 28994/2019) non hanno efficacia retroattiva, deve evidenziarsi che la natura di detta responsabilità si fonda sul c.d. "contratto di spedalità", alla stregua del quale, l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto atipico, che si perfeziona anche per fatti concludenti, laddove si abbia anche soltanto l'accettazione del malato presso la struttura (cfr. Cass. 577/08, 8826/2007).
Orbene, chiarita la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria, ne discende l'applicabilità del relativo regime in punto di riparto dell'onere probatorio.
Sul piano processuale, dunque, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare l'esistenza del contratto di spedalità ed allegare sia l'inadempimento della struttura (che consiste nell'aggravamento della situazione patologica, o nell'insorgenza di nuove patologie per effetto del trattamento sanitario), sia il relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del "più probabile che non" (cfr. Cass. sez. un. n. 581/2008).
Resta a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. civ. n. 10297/2004).
Il Tribunale prosegue la sentenza passando al quantum delle pretese risarcitorie degli attori.
Con riferimento alle voci di danno iure hereditatis, non vi è dubbio sulla loro risarcibilità. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, infatti, i danni non patrimoniali risarcibili dalla vittima, suscettibili di trasmissione ereditaria, possono consistere:
a) nel "danno biologico" (cd. "danno terminale") determinato dalla lesione al bene salute, quale danno-conseguenza consistente nei postumi invalidanti che hanno caratterizzato la durata concreta del periodo di vita del danneggiato dal momento della lesione fino all'exitus. L'accertamento del danno conseguenza è questione di fatto, e presuppone che le conseguenze pregiudizievoli si siano effettivamente prodotte, necessitando a tal fine che tra l'evento lesivo e il momento del decesso sia intercorso un "apprezzabile lasso temporale";
b) nel "danno morale cd. soggettivo" (cd. "danno catastrofale" o da lucida agonia), consistente nello stato di sofferenza spirituale od intima (paura o patema d'animo) sopportato dalla vittima nell'assistere al progressivo svolgimento della propria condizione esistenziale verso l'ineluttabile fine-vita. trattandosi di danno-conseguenza, l'accertamento dell'"an" presuppone la prova della "cosciente e lucida percezione" dell'ineluttabilità della propria fine (cfr. Cass. ord. 23153/2019).
Con riferimento alla risarcibilità del danno morale soggettivo, inoltre, è necessario che tra il fatto lesivo dell'integrità psicofisica e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo, in modo da poter individuare una netta separazione temporale tra i due eventi.
Tale principio è stato espresso dalla Suprema Corte, la quale ha evidenziato che "l'apprezzabilità dello spazio intertemporale richiesta dalla giurisprudenza consiste nel requisito di una netta separazione temporale fra i due eventi che valga a distinguere la loro verificazione nel tempo. Verificatosi questo requisito, il danno biologico terminale è sempre esistente per effetto della percezione anche non cosciente delle gravissima lesione dell'integrità personale della vittima nella fase terminale della sua vita"(cfr. Cass. 18163/2007).
Orbene, nel caso di specie, ripercorrendo la vicenda clinica di L.F., è emerso che la stessa è stata ricoverata presso l'Ospedale di L'Aquila in data 15.01.2016 ed è deceduta in data 5.02.2016. In ragione del tempo intercorrente tra la contrazione dell'infezione nosocomiale e il decesso, L.F. ha subito un danno biologico dovuto alla totale compromissione della sua integrità psicofisica.
Relativamente alla quantificazione del danno, deve procedersi in via equitativa secondo il criterio delle c.d. Tabelle di Milano, e ciò anche in virtù del principio espresso dalla Suprema Corte, secondo il quale "nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici Giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale – e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, il parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui all'art. 1226 e 2056 c.c. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. L'applicazione di diverse tabelle, ancorchè comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito".
Ciò posto, considerando la vicenda clinica di L.F., il danno biologico va liquidato nella somma di euro 60.000,00.
Quanto al danno morale soggettivo, in punto di liquidazione, la Suprema Corte ha evidenziato che lo stesso si configura come "un danno non patrimoniale di natura affatto peculiare che comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro – ancorchè sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tener conto della enormità del pregiudizio" (cfr. Cass. 23183/2014): di conseguenza, si ritiene opportuno stabilirlo nella misura di euro 50.000,00.
Entrambe le predette voci di danno vanno devolute in favore degli attori "eredi" secondo le richieste dagli stessi formulate ai sensi dell'art. 581 c.c..
Venendo al danno da perdita parentale, invece, deve premettersi che, secondo l'ormai costante e univoca giurisprudenza di legittimità, esso costituisce un danno conseguenza, da allegare e provare, anche mediante presunzioni, nella sua duplice componente di sofferenza morale e negativa ripercussione sul piano dinamico – relazionale, quale sconvolgimento della vita del congiunto: "in tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno e entrambi i profili di cui si compone unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico – relazione, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ripercorrendo elementi presuntivi fuori la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l'età delle parti ed ogni altra circostanza del caso" (cfr. Cass. 907/2018).
E ancora: "il danno non patrimoniale da uccisone di un congiunto, quale tipico danno – conseguenza, non coincide con la lesione dell'interesse (ovvero non è in re ipsa) e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire, mentre la sua liquidazione avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile, quali la consistenza più o meno ampie del nucleo familiare, l'abitudine di vita, l'entità della vittima e sei singoli superstiti ed ogni altra circostanza allegata" (cfr. Cass. 28989/2019; Cass. 11200/2019).
Nel caso di specie, gli attori hanno agito in qualità di coniuge (quanto a O. F.), figli (quanto a S. e I. F.) e nipoti (quanto a C. e Ch. T.) di L.F. e, dunque, in assenza di indici contrastanti, deve ritenersi presuntivamente provato il danno non patrimoniale anche in applicazione del disposto di cui all'art. 2727 c.c.
Sotto il profilo della liquidazione del danno si ritiene di dover applicare le c.d. Tabelle di Roma, e ciò anche in considerazione del recente approdo giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo cui "al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dei precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado id parentela, la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi, in ragione della particolarità della situazione, salvo l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella"(cfr. Cass. 3305/2021).
Pertanto, alla luce dei richiamati principi, in considerazione dell'età della vittima (82) e dei congiunti al momento della morte (O. F. anni 86; S. F. anni 45; I. F. anni 44; C. T. anni 13 e Ch. T. anni 8), lo stato di convivenza con la vittima per O. F. e S. F., il risarcimento può liquidarsi come segue:
- in favore di O. F. euro 100,000,00;
- in favore di S. F. euro 90.000,00;
- in favore di I. F. euro 90.000,00;
- in favore di C. T. euro 70.000,00;
- in favore di Ch. T. euro 70.000,00.
Le vittime di malasanità subiscono varie voci di danno che, laddove decedano, si trasmettono agli eredi.
I congiunti del paziente morto di malasanità hanno anche diritto al risarcimento da perdita del rapporto parentale.
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2 Comments
Il problema è che gli ospedali ormai parcheggiano i pazienti nei pronto soccorsi e ti ricoverano solo in casi eccezionali perchè non hanno posti letto. La malasanità dipende anche dal fatto che non si investe più nelgli ospedali. Fate comunque un ottimo servizio e purtroppo sono finito nel vostro sito per una questione di mia madre. Ho già fissato un appuntamento presso il vostro studio di Roma e spero che mi aiuterete!
Quello che dice è giusto, ma noi dobbiamo comunque tutelare chi ha subito danni. La aspettiamo in studio a Roma per parlare del suo caso.