La Corte di Cassazione Penale Sezione V, con la sentenza n. 38365 del 23 maggio 2018, ha confermato la condanna di un medico che, per negligenza nella gestione del percorso perioperatorio, ha cagionato lesioni ad un paziente.
Con questo articolo riportiamo il caso è trattato dalla Corte e le linee guida sulla gestione del percorso perioperatorio redatte dall’Osservatorio Regionale per Intensità di Cure della Toscana.
Un paziente veniva sottoposto, ad opera del medico imputato nel processo, ad intervento chirurgico di ernia lombare con inserimento di protesi in titanio denominate X-Stop.
A seguito dell'intervento, la ferita aveva problemi a rimarginarsi a causa di un'infezione da stafilococco e di una discite (infezione della colonna vertebrale), che comportavano l'assunzione per molto tempo di antibiotici e cortisonici.
Il paziente veniva nuovamente operato per la rimozione delle protesi. Veniva peraltro evidenziato che accadeva già prima che la persona offesa avvertisse dolori alla schiena, persistenti anche per alcuni giorni, ma che dopo le due operazioni subite era costretto, per sopportare i dolori atroci, ad assumere antidolorifici, eparina e sette unità di insulina a pranzo e a cena, essendosi acutizzato il diabete che lo affliggeva, in ragione della terapia cortisonica.
Appurato che l'inserimento delle protesi in titanio X-Stop doveva considerarsi corretto al fine di alleviare la lombalgia e che l'intervento chirurgico era stato eseguito correttamente, la responsabilità del medico veniva affermata per non avere praticato al paziente un'adeguata terapia antibiotica durante tutto il periodo perioperatorio (pre – intra e post-operatorio).
La mancata somministrazione della profilassi antibiotica aveva determinato la successiva infiammazione della ferita e del sito chirurgico.
Nè la vaga dichiarazione del paziente di essere allergico ad una famiglia di antibiotici (moxifloxacina) poteva dirsi sufficiente ad esimere i sanitari dal valutare la possibilità di somministrare un antibiotico di diversa specie, tanto che, dopo l'insorgenza del focolaio infettivo, non vi era stata alcuna remora da parte del medico di sottoporre il paziente a massiccia terapia antibiotica.
Il medico veniva pertanto condannato penalmente, nonché civilmente al risarcimento dei danni subiti dal paziente in solido con l’ospedale, sia in primo grado dal Tribunale di Avellino che in secondo grado dalla Corte di Appello di Napoli.
Il medico propone ricorso per cassazione della sentenza d’appello deducendo tre motivi.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge per improcedibilità a causa della tardività della querela. Il ricorrente sostiene che tale tardività possa essere segnalata per la prima volta in sede di legittimità, non essendo necessari, per appurarla, ulteriori accertamenti di fatto, ma risultando immediatamente ed inequivocabilmente dalla prima sentenza. Quanto al dies a quo per sporgere querela, infatti, il ricorrente evidenzia come risulti, dalle stesse ammissioni compiute dalla persona offesa in sede di querela, che lo I. era venuto a conoscenza delle lesioni subite e della loro potenziale rilevanza penale già in data (OMISSIS), avendo egli appreso che la ferita non si rimarginava a causa di un'infezione da stafilococco. Ad ogni modo, anche a voler spostare in avanti il dies a quo, bisognerebbe individuarlo al più tardi in data (OMISSIS), quando, a seguito del secondo intervento, il paziente aveva avuto contezza del fatto che i dolori che continuava a patire fossero, quantomeno astrattamente, riconducibili alle operazioni chirurgiche cui era stato sottoposto. In un caso come nell'altro, la querela risulta sporta in data 8 ottobre 2010, dunque ben oltre la scadenza del termine di tre mesi previsto dall'art. 124 c.p..
Con il secondo motivo, si sostiene che la mancata profilassi antibiotica da parte dell'imputato non costituisca una violazione delle regole tecniche, ma una semplice disapplicazione di esse, giustificata dalle peculiarità del caso concreto, avendo il medico adattato le suddette regole alle istanze personalistiche del paziente, che aveva dichiarato di essere allergico a determinate tipologie di farmaci antibiotici, con ciò conformandosi all'obbligo di disapplicare le linee guida quando le specificità del caso lo rendano necessario. Di conseguenza, sarebbe stata applicabile la causa di non punibilità prevista da nuovo testo dell'art. 590 sexies c.p. introdotto successivamente ai fatti dalla legge Gelli – Bianco.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in subordine rispetto al secondo motivo di ricorso, violazione di legge in ordine alla mancata applicazione della L. n. 189 del 2012, art. 3, (c.d. legge B.), per non avere la Corte d'Appello proceduto alla valutazione del grado della colpa. Nel caso in cui dovesse considerarsi applicabile al caso che occupa non già la legge Gelli - Bianco ma la precedente legge Balduzzi, il ricorrente si duole dell'omissione, da parte del secondo giudice, di qualsivoglia valutazione sul grado della colpa dell'imputato. Tale valutazione, infatti, avrebbe condotto a ritenere che il medico aveva operato nel pieno rispetto delle prescrizioni scientifiche, limitandosi ad adattarle al caso di specie, cosicchè non si potrebbe in nessun caso considerare che la sola mancata profilassi antibiotica integri quella deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato in cui si sostanzia, secondo giurisprudenza costante, la colpa grave ai sensi della legge Balduzzi. Infine, si segnala come anche ipotesi di negligenza, e non solamente di imperizia, possano rientrare nell'ambito di operatività della predetta legge, nel caso in cui dovesse qualificarsi la condotta del prevenuto come negligente e non già come imperita.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso e quindi lo ha rigettato per i seguenti motivi.
Il primo motivo, relativo alla tardività della querela, è privo di pregio. Il principio generale affermato al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità è quello per cui il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, conoscenza che può essere acquisita in modo completo soltanto se e quando il soggetto passivo abbia contezza dell'autore e possa, quindi, liberamente determinarsi; pertanto, nel caso in cui siano svolti tempestivi accertamenti, indispensabili per la individuazione del soggetto attivo, il termine di cui all'art. 124 c.p., decorre, non dal momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del fatto oggettivo del reato, nè da quello in cui, sulla base di semplici sospetti, indirizza le indagini verso una determinata persona, ma dall'esito di tali indagini (Sez. 5, n. 33466 del 9 luglio 2008, Ladogana, Rv. 241395). E' dunque necessario che il soggetto passivo del reato, e non altri, abbia conoscenza non soltanto del fatto illecito, ma anche dell'identità del soggetto attivo.
In ogni caso, eventuali situazioni di incertezza devono essere considerate in favore del querelante, secondo il principio del favor querelae (Sez. 5, n. 40262 del 19 settembre 2008, Franzì ed altri, Rv. 241737). Tanto che la decorrenza del termine per la presentazione della querela è differita quando la persona offesa deve compiere accertamenti al fine di acquisire la consapevolezza della illiceità penale del fatto, sebbene solamente per il tempo strettamente necessario al compimento di tali verifiche (Sez. 2, n. 7988 del 1 febbraio 2017, Ippolito, Rv. 269726).
Tanto chiarito in generale, la giurisprudenza ha avuto modo di dare attuazione al principio anzidetto anche con riferimento all'ipotesi che occupa, vale a dire quella delle lesioni personali colpose da attività medica. Il principio, in questi casi, è quello per cui il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l'hanno curata (Sez. 4, n. 21527 del 21 gennaio 2015, P.C. in proc. Cristanini, Rv. 263855; Sez. 4, Setenza n. 13938 del 30 gennaio 2008, P.M. in proc. Rossi e altri, Rv. 239255; Sez. 4, n. 17592 del 7 aprile 2010, Bechaz e altro, Rv. 247096).
Manifestamente infondate sono poi le doglianze relative all'applicabilità della legge B. o della legge Gelli -
Il ricorrente sostiene l'erroneità della qualificazione data dalla Corte d'Appello della condotta del medico in termini di negligenza e non già di imperizia, a causa del fatto che la terapia antibiotica sarebbe stata omessa sulla base di una ponderata scelta terapeutica conseguente alla riferita allergia alla moxifloxacina da parte del paziente. Di conseguenza, si tratterebbe di un errore dovuto ad imperizia e non a negligenza, e dovrebbe trovare applicazione, in quanto ritenuta più favorevole, la sopravvenuta legge Gelli - Bianco. In ogni caso, anche a volerla considerare negligenza, dovrebbe comunque applicarsi la legge B., trattandosi di colpa non grave.
L'assunto difensivo è manifestamente infondato. A prescindere dalla natura della colpa del prevenuto, difettano ictu oculi, nel caso di specie, i due requisiti che tanto la legge Balduzzi, quanto la legge Gelli - Bianco alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite Mariotti richiedono per essere operative, vale a dire il rispetto delle linee guida ed il grado lieve della colpa.
Come noto, infatti, le Sezioni Unite, intervenute a sanare i contrasti interpretativi sorti in seno alla giurisprudenza di legittimità in riferimento all'art. 590 sexies c.p., hanno affermato che anche per l'operatività di quest'ultimo, oltre al rispetto delle linee guida ed alla necessaria presenza della sola imperizia, è necessario che tale imperizia non sia grave (Sez. Un., n. 8770 del 21 dicembre 2017, Mariotti ed altro, Rv. 272174). In questo modo, hanno finito per equiparare sostanzialmente - in riferimento all'imperizia, non trovando, il nuovo regime, affatto applicazione in caso di negligenza ed imprudenza - l'ambito di operatività delle due leggi, e chiarito come la legge B., in diverse ipotesi, appaia come quella più favorevole (Sez. Un., n. 8770 del 21 dicembre 2017, Mariotti ed altro, Rv. 272175).
Tanto chiarito, nel caso odierno emerge con evidenza che il rischio di insorgenza di infezione in conseguenza di intervento chirurgico è elevato; che la terapia antibiotica perioperatoria viene indicata dalle linee guida come necessaria in caso di interventi chirurgici ed in particolare per quelli aventi ad oggetto applicazione di protesi e certamente consigliabile in presenza di soggetto diabetico; che la somministrazione della stessa avrebbe impedito l'evento lesivo occorso al paziente.
Pertanto, del tutto correttamente i giudici di merito hanno escluso che la colpa del medico fosse lieve, e, soprattutto, che egli avesse agito nel rispetto delle linee guida, che indicano come doverosa la terapia antibiotica in casi come quello che occupa.
Parimenti corretto e rispettoso dei principi citati è il ragionamento secondo cui la dichiarazione di allergia ad una famiglia di antibiotici non esimeva affatto il C. dal valutare la possibilità di somministrare un antibiotico di diversa appartenenza, non potendosi comunque considerare la scelta di rischiare l'infezione (per di più in presenza di protesi) controbilanciata dalla considerazione che gli antibiotici abbiano scarsa efficacia nelle infezioni alle ossa, dal momento che, a maggior ragione, il prevenuto avrebbe dovuto scongiurare già l'infezione della ferita "a monte", evitando che fossero coinvolte le ossa.
Il medico avrebbe dovuto in ogni caso predisporre la più adeguata terapia antibiotica, effettuando una verifica della sensibilità ai farmaci ritenuti allergenici, nonchè una valutazione della praticabilità di antibiotici non allergenici.
I termini di assistenza pre, intra e post-operatoria vengono oggi sostituiti da quello più appropriato di Medicina Perioperatoria che è di specifica competenza dell’Anestesia e Rianimazione, unica specialità che identifica tra i suoi obiettivi formativi obbligatori questo percorso.
Il percorso perioperatorio dei pazienti critici è ormai ben codificato e gli anestesisti rianimatori, per competenze e formazione, svolgono il ruolo fondamentale nella cura di questo tipo di malato.
Al contrario, per quanto riguarda il paziente fragile si rende necessario un approccio multidisciplinare e multiprofessionale, con una precisa allocazione all’interno del percorso intraospedaliero.
Il paziente fragile è colui che presenta il decremento delle riserve fisiologiche e un deficit multiorgano che risultano essere indipendenti dal normale processo di invecchiamento. Queste alterazioni rendono tale paziente vulnerabile, con un aumentato rischio di complicanze e di mortalità.
E’ necessario sottolineare che la definizione di paziente fragile non fa riferimento al solo paziente anziano ma prende in considerazione tutti quei pazienti che si trovano in condizioni critiche, indipendentemente dall’età (es: pazienti critici dimessi dal reparto di terapia intensiva). I numerosi progressi tecnologici della medicina hanno permesso ad un numero sempre più elevato di pazienti, sia anziani che fragili, di sopravvivere alla malattia e ad interventi chirurgici maggiori. Appare quindi sempre più importante identificare la popolazione “fragile” per trovare ed ottimizzare i fattori di rischio modificabili e individuare un percorso perioperatorio specifico.
Gli obiettivi di un percorso perioperatorio nei pazienti critici e/o fragili potrebbero essere i seguenti:
• garantire un’adeguata preparazione preoperatoria, sia in regime di elezione che di urgenza per condizione clinica e/o tipologia di intervento al fine di ottenere uno stato clinico ottimale che permetta al paziente di tollerare lo stress chirurgico;
• aumentare la percentuale di pazienti che ricevono un trattamento appropriato delle loro comorbidità, prima della procedura;
• ridurre il rischio che una valutazione preoperatoria incompleta porti a ritardi e/o cancellazione dell'intervento;
• miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria nell’immediato postoperatorio.
Per raggiungere tale obiettivo, è necessario individuare un’unità perioperatoria (nell’ambito del reparto di degenza oppure autonoma rispetto agli altri reparti) a carattere multidisciplinare e multiprofessionale che preveda l’interazione di anestesisti-rianimatori, chirurghi e medici internisti.
Questa area dovrebbe essere caratterizzata dalla alta complessità assistenziale e gestita da personale infermieristico adeguatamente formato che garantisca le relazioni fra le diverse espressioni specialistiche, sulla base di percorsi clinico - assistenziali condivisi.
In questo modo ogni figura professionale specialistica potrà agire nell’ambito della propria area di competenza per risolvere le diverse problematiche cliniche, proprie di ogni singolo paziente.
Tale percorso dovrà essere condiviso per modalità, organizzazione e responsabilità dalle discipline coinvolte, tenendo anche conto di eventuali esperienze o realtà assistenziali già esistenti.
Un processo di auditing partecipato dovrà garantire una migliore qualità delle cure, il ripristino di condizioni di salute ottimali nel più breve tempo possibile, nonché l’appropriatezza dell’impiego delle risorse ed il contenimento delle spese.
In questo percorso perioperatorio è necessario sottolineare il ruolo, oltre a quello della Terapia Intensiva e Sub-intensiva intesa come “area omogenea”, della Recovery Room/PACU, luogo dove monitorizzare e sorvegliare tutti i pazienti nell’immediato postoperatorio, al fine di individuare e trattare tempestivamente eventuali alterazioni delle funzioni vitali prima del trasferimento in altri reparti.
Il paziente critico e/o fragile rappresenta il centro di tutto il percorso che dovrà essere adattato in funzione delle singole esigenze del paziente stesso. Questo tipo di approccio permetterebbe di sviluppare correttamente non solo l’intervento terapeutico diretto al paziente critico e/o fragile ma rappresenterebbe, anche, un vero e proprio centro clinico per la formazione del personale sanitario nell’ambito dell’alta intensità di cura.
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