Quando un paziente muore per colpa medica, i suoi familiari hanno diritto al risarcimento (anche) dei danni da perdita del rapporto parentale.
E’ una delle varie voci di danno che spettano ai congiunti e con questo articolo spieghiamo in cosa consiste.
Restiamo a disposizione di tutti i familiari di vittime di malasanità per assistenza legale senza anticipo spese volta al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali (tra cui quello di perdita del rapporto parentale) e patrimoniali.
La Corte di Cassazione, nelle sentenze a Sezioni Unite dell'11 novembre 2008, nell'ancorare la risarcibilità del danno non patrimoniale all'indefettibile presupposto del rilievo costituzionale del bene leso, ha ammesso la risarcibilità di tale voce di danno nel caso di uccisione di un congiunto.
Occorre osservare peraltro che, trattandosi nel caso di specie di danno da fatto illecito costituente reato (omicidio colposo), il danno morale spettante ai congiunti personalmente (iure proprio) è dovuto in base al disposto degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., quale danno non patrimoniale.
Nel caso di morte del paziente per colpa medica, peraltro, anche a prescindere dall'esistenza di un reato, il danno non patrimoniale sarebbe comunque dovuto, in quanto la condotta illecita ha leso diritti della persona costituzionalmente qualificati, che nella specie sono i diritti della famiglia, fondati sugli artt. 2, 29 e 30 Cost., in relazione ai quali è stato tradizionalmente configurato il danno da lesione del rapporto parentale.
In particolare, poiché la Costituzione garantisce espressamente i diritti inviolabili dell'uomo anche nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, e tra queste vi rientra la famiglia (art. 29), il fatto illecito del terzo che ha causato la morte del congiunto, ledendo i correlati diritti dei familiari, determina in capo a questi un danno ingiusto qualificabile come danno esistenziale.
Secondo le Sezioni Unite, inoltre, “la perdita di un congiunto provoca uno sconvolgimento della vita familiare” e “tale pregiudizio di tipo esistenziale, poiché conseguente alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia, è risarcibile”.
Si ritiene, peraltro, che la perdita di un consanguineo ponga una presunzione ex art. 2727 c.c. di danno non patrimoniale in capo al parente superstite: “il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare” (Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 4253 del 16/03/2012).
Ai fini probatori, si osserva, poi, che è indubbio che il profondo sconvolgimento della vita familiare dei componenti del nucleo familiare e delle loro abitudini di vita non debba essere necessariamente oggetto di una prova ad hoc, dato che lo stesso - sulla base dell'id quod plerumque accidit e in assenza di prova contraria - deve ritenersi eziologicamente riconducibile alla scomparsa del congiunto.
Peraltro è pacifico in giurisprudenza che, in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell'ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità (Cass. civ. Sez. 3 -, Sent. n. 21230 del 20/10/2016).
In particolare, la morte di una persona fa presumere da sola, ai sensi dell'art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima (insomma agli stretti congiunti), a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur); in tal caso, grava sul convenuto l'onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (Cass., sez. III, 15/07/2022 , n. 22397).
Diversamente, laddove non vi fosse un legame strettamente familiare con la vittima, chi intende chiedere il risarcimento dovrà provare che vi fosse uno stretto e duraturo legame che, laddove è stato prematuramente interrotto per colpa medica, ha creato uno stato di profonda sofferenza al soggetto rimasto in vita.
In ordine alla quantificazione della pretesa risarcitoria vanno ora svolte le considerazioni che seguono.
In mancanza di parametri di quantificazione analitica, il danno da perdita del rapporto parentale, così come altre ipotesi di danno non patrimoniale, è liquidabile esclusivamente mediante il ricorso a criteri equitativi, a norma del combinato disposto degli artt. 1226 e 2056 c.c.
L'art. 1226 c.c., nel prevedere che, se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, per una parte risponde alla tecnica della fattispecie, quale collegamento di conseguenze giuridiche a determinati presupposti di fatto, per l'altra ha natura di clausola generale, cioè di formulazione elastica del comando giuridico che richiede di essere concretizzato in una norma individuale aderente alle circostanze del caso.
Più precisamente, quale fattispecie, l'art. 1226 richiede sia che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, la prova del danno nel suo ammontare, sia che risulti assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno medesimo.
Allo scopo di “monetizzare” la sofferenza d'animo che consegue alla perdita di un prossimo congiunto e di evitare, al contempo, il rischio di decisioni rimesse all'arbitrio del singolo, la giurisprudenza di merito ha, da tempo, elaborato un sistema tabellare, ormai riconosciuto come criterio di riferimento anche dal giudice nomofilattico (cfr. Cass. n. 15760.2006: “in tema di danno da morte dei congiunti (danno parentale), il danno morale diretto deve essere integralmente risarcito mediante l'applicazione di criteri di valutazione equitativa rimessi alla prudente discrezionalità del giudice, in relazione alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia, naturale o legittima, ma solidale in senso etico. A tal fine sono utilizzabili parametri tabellari, applicati dai Tribunali o dalle Corti”).
Per la liquidazione di tale danno, peraltro, la giurisprudenza ha elaborato una serie di parametri, che tengono conto dei seguenti elementi: l'età del defunto, sul presupposto che quanto più sia avanzata, tanto meno intenso sarà il dolore per la perdita, perché quest'ultimo sarebbe stato comunque provato in un prossimo futuro; l'età del congiunto che domanda il risarcimento, sul presupposto che gli adulti facciano fronte alle emozioni con maggiore forza d'animo ed elaborino il lutto più agevolmente dei bambini e dei ragazzi; il rapporto di parentela tra la vittima ed il superstite, sul presupposto che quanto più esso è stretto, maggiore è il dolore causato dalla sua interruzione; la convivenza col defunto, sul presupposto che, dove questa vi fosse, la perdita della persona cara produce una maggiore sofferenza in considerazione dell'inevitabile mutamento dello stile di vita del superstite; la composizione del nucleo familiare, sul presupposto che la vicinanza di persone care nei momenti di dolore è un valido aiuto al superamento del lutto e che, per contro, la solitudine aggrava la sofferenza; le modalità di commissione dell'illecito, sul presupposto che quanto più queste siano state efferate, drammatiche o addirittura tragiche, tanto più acuto sarà il dolore provato dalla famiglia della vittima.
La Corte di Cassazione, nel tentativo di realizzare un equo contemperamento tra l'esigenza di uniformità nella liquidazione del danno non patrimoniale e la realizzazione di un sufficiente grado di personalizzazione della liquidazione in considerazione delle peculiarità del caso concreto, ha di recente espresso una predilezione per il sistema per punti variabili adottato dalle tabelle del Tribunale di Roma.
Invero, con la sentenza n. 10579 del 21 aprile 2021, la Suprema Corte ha avuto occasione di esaminare le tabelle di Milano, ritenendole non rispettose di detti criteri e affermando il seguente principio di diritto: in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella (nella fattispecie, la Cassazione ha cassato la decisione del giudice d'appello che, per liquidare il danno da perdita del rapporto parentale patito dal fratello e dal coniuge della vittima, aveva fatto applicazione delle tabelle milanesi, non fondate sulla tecnica del punto, bensì sull'individuazione di un importo minimo e di un “tetto” massimo, con un intervallo molto ampio tra l'uno e l'altro; nello stesso senso, si veda anche Sez. 3, Ordinanza n. 26300 del 29/09/2021, sez. III sentenza 10 novembre 2021 n. 33005).
Le tabelle di Roma risultano, invece, rispettose del suindicato sistema a punti e possono, dunque, essere adottate come criterio di liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale. Il sistema di calcolo descritto nella Tabella è destinato ad agevolare l'interprete nella liquidazione del pregiudizio non patrimoniale subito per effetto del danno patito in via diretta dal congiunto.
Tale danno comprende tanto l'aspetto interiore del pregiudizio sofferto (danno morale sub specie di dolore, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione), quanto quello dinamico-relazionale, coincidente con la modificazione peggiorativa delle relazioni di vita esterne del soggetto (cfr. Cassazione Sez. III, ord. 24 aprile 2019, n. 11212; Cassazione Sez. III, 31 gennaio 2019, n. 2788).
I parametri da prendere in considerazione per il calcolo del risarcimento sono, dunque, rappresentati dalla relazione di parentela, dal numero di soggetti coinvolti, dall'età del soggetto danneggiato, dall'età del soggetto da risarcire e, infine, dalla percentuale di danno biologico riconosciuta al danneggiato.
Con riferimento al primo dei criteri evidenziati, le tabelle hanno cura di precisare che, ai fini della configurazione della convivenza, è necessario che sussista un rapporto affettivo caratterizzato da un serio e prolungato vincolo di natura parafamiliare da cui si desuma un intento di programmare una vita comune.
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2 Comments
Salve, mio padre è morto per malasanità a Lucca nel 2021 e solo io e mia madre vogliamo fare causa, gli altri miei due fratelli no. Possiamo procedere solo noi due? Ci potete assistere con gratuito patrocinio? Grazie
Salve Cristiano, una causa per malasanità può essere fatta anche da un solo parente, anche se gli altri non fossero d’accordo. Ci contatti pure per una analisi del caso senza impegno