E’ purtroppo frequente che un paziente ricoverato in ospedale o clinica privata contragga una infezione che dia luogo ad un peggioramento delle sue condizioni di salute o addirittura al decesso.
In questi casi il paziente e/o i suoi familiari hanno diritto al risarcimento dei danni e possono rivolgersi a noi di avvocaticollegati.it per avere a disposizione avvocati e consulenti medici con esperienza di oltre 20 anni nel settore della malasanità.
Con questo articolo riportiamo uno dei casi più recenti di risarcimento danni per infezione nosocomiale, trattato dalla Corte di Cassazione Civile Sezione III con la sentenza n. 5808 del 27 febbraio 2023.
Il paziente B. veniva sottoposto ad un intervento chirurgico al collo del femore presso l'Ospedale (Omissis), dal quale riportava esiti invalidanti permanenti per l'insorgere di una infezione: ad un anno di distanza, nuovamente ricoverato per i dolori alla regione coxo-femorale, gli veniva diagnosticata una "necrosi cefalica femorale in sede di pregressa frattura basicervicale sinistra", che determinava la necessità di installare una protesi all'anca.
Nel gennaio 2009 il B. evocava in giudizio l'Azienda ospedaliera, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni derivanti dalla non corretta esecuzione della prestazione sanitaria nel suo complesso, ed essa veniva condannata dal Tribunale di Palermo a risarcirgli il danno biologico per complessivi Euro 152.000.
L'appello dell'Azienda veniva accolto solo in parte, limitatamente alle spese di primo grado.
Con il primo motivo, l'Azienda Ospedaliera propone ricorso per cassazione denunciando la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., per aver la corte d'appello omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con il quale criticava l'addebito alla struttura sanitaria dell'insorgere dell'infezione e la quantificazione del danno non patrimoniale, sull'assunto che neppure il comportamento maggiormente osservante delle regole sanitarie sia in grado di escludere il verificarsi di infezioni nosocomiali.
Con il secondo e il terzo motivo denuncia la violazione dell'art. 1226 c.c., e l'omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, oggetto di discussione tra le parti.
Sostiene che, pur avendo dato atto che anche il comportamento più diligente da parte della struttura non sarebbe comunque riuscito ad evitare un rischio di infezione, pur ridotto al 30%, la corte d'appello avrebbe correttamente dovuto escludere totalmente la riconducibilità del danno conseguente all'infezione alla responsabilità della struttura sanitaria, o quanto meno ridurre proporzionalmente il risarcimento liquidato.
I tre motivi vengono esaminati congiuntamente dalla Corte, in quanto sottopongono all'attenzione della Corte, sotto i diversi profili dell'omessa pronuncia, della violazione di legge e del vizio di motivazione, una stessa questione ovvero la correttezza della decisione di merito là dove ha ritenuto responsabile la struttura sanitaria per il danno biologico permanente riportato dal B., a causa della infezione contratta in ospedale.
Deve escludersi nel caso di specie il vizio di omessa pronuncia, perché la corte d'appello ha esaminato la questione e ha ritenuto il motivo d'appello infondato nel merito.
Parimenti, non sussiste il denunciato vizio di violazione di legge laddove la corte d'appello, condividendo le valutazioni del primo giudice, riteneva provato il rapporto di causalità tra l'esecuzione dell'intervento chirurgico e l'avvenuta contrazione della infezione nosocomiale con esiti invalidanti, ribadendo che gravava sulla struttura sanitaria il compito di assicurare, e l'onere di provare, l'avvenuta diligente sterilizzazione dell'ambiente ospedaliero, della sala operatoria, dei luoghi di degenza e di tutte le attrezzature e che, di contro, l'azienda non aveva neppure cercato di provare di aver seguito regolarmente i protocolli di disinfezione e sterilizzazione della sala operatoria.
La Corte di Cassazione indica anche quali sono gli oneri del personale ospedaliero:
- il dirigente apicale avrà l'obbligo di indicare le regole cautelari da adottarsi ed il potere-dovere di sorveglianza e di verifica (riunioni periodiche/visite periodiche), al pari del CIO;
- il direttore sanitario quello di attuarle, di organizzare gli aspetti igienico e tecnico-sanitari, di vigilare sulle indicazioni fornite (D.P.R. n. 128 del 1069, art. 5: obbligo di predisposizione di protocolli di sterilizzazione e sanificazione ambientale, gestione delle cartelle cliniche, vigilanza sui consensi informati);
- il dirigente di struttura complessa (l'ex primario), esecutore finale dei protocolli e delle linee guida, dovrà collaborare con gli specialisti microbiologo, infettivologo, epidemiologo, igienista, ed è responsabile per omessa assunzione di informazioni precise sulle iniziative di altri medici, o per omessa denuncia delle eventuali carenze ai responsabili.
La decisione della Corte di Cassazione si fonda sulla corretta applicazione del principio di diritto già espresso dalla Corte con la sentenza n. 26700 del 2018, secondo il quale “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza”.
Tale principio è stato riaffermato successivamente, tra le altre, dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 10500 del 2022, secondo cui: "in tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali, è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità, secondo il criterio del "più probabile che non", tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all'esatto adempimento, l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all'agente".
Peraltro, dopo la decisione che stiamo commentando, la Corte di Cassazione ha specificamente deciso che: “in tema di infezioni nosocomiali, per andare esente da responsabilità, sotto il profilo soggettivo, il dirigente apicale è tenuto a dimostrare di avere indicato le regole cautelari da adottarsi, in attuazione del proprio potere-dovere di sorveglianza e verifica; il direttore sanitario di averle attuate e avere organizzato gli aspetti igienico e tecnicosanitari, vigilando altresì sull'attuazione delle indicazioni fornite; il dirigente di struttura complessa, esecutore finale dei protocolli e delle linee-guida, di avere collaborato con gli specialisti microbiologo, infettivologo, epidemiologo e igienista, essendo tenuto ad assumere precise informazioni sulle iniziative degli altri medici ovvero a denunciare le eventuali carenze della struttura” (Cassazione civile sez. III, 03/03/2023, n.6386).
Ebbene, in base a tale principio, nel caso che stiamo trattando è stato escluso che la struttura sanitaria avesse fornito la prova liberatoria che l'evenienza infettiva fosse imprevedibile o inevitabile e come tale non imputabile.
Già la corte d'appello, peraltro, aveva escluso, con ragionamento parimenti corretto, che la percentuale del 30% di alea del verificarsi comunque dell'infezione nosocomiale, pur quando le strutture sanitarie abbiano adottato tutte le più idonee precauzioni - circostanza nel caso concreto rimasta sfornita di prova - debba essere tenuta in conto ai fini di una riduzione percentuale della somma equitativamente liquidata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, incidendo essa sulla causalità materiale, e non sulla causalità giuridica, né tanto meno sul concorso di colpa del danneggiato, che in questo caso non è mai stato in discussione.
Ne' tanto meno la considerazione relativa alla inevitabilità del verificarsi di infezioni nosocomiali, sebbene in percentuale ridotta a seguito dell'adozione delle cautele di legge, è considerabile come fatto storico non adeguatamente considerato nella motivazione, perché non è un fatto, ma una semplice considerazione svolta dal c.t.u. e recepita dal collegio.
Se tu o un tuo familiare avete subito danni per infezione contratta in ospedale o clinica, per prima cosa dovete richiedere copia della cartella clinica, da cui dovrà emergere tale circostanza.
Non appena avrete a disposizione la cartella clinica potrete contattarci, anche durante il fine settimana, per esporre il caso ad uno dei nostri avvocati, il quale saprà subito dirvi in cosa consisterà la procedura legale volta ad ottenere il risarcimento dei danni.
Al colloquio con uno dei nostri avvocati, seguirà l’esame della cartella clinica da parte dei nostri consulenti medici legali e specialisti in infettivologia, i quali sapranno individuare in cosa è consistita la responsabilità dell’ospedale e della clinica e sapranno quantificare i danni subiti dal paziente e/o dai suoi familiari.
Sia la consulenza dei nostri avvocati che quella dei nostri consulenti medici viene fornita senza richiesta di anticipo spese, perché noi saremo pagati solo ad avvenuto risarcimento!
© avvocaticollegati.it