Se un tuo familiare anziano e non autosufficiente è caduto in ospedale o in clinica ed ha riportato lesioni e poi il decesso, devi sapere che hai diritto al risarcimento dei danni da perdita del rapporto parentale.
Infatti, quando un paziente fragile è affidato all’ospedale o alla clinica, il personale sanitario ha l’obbligo di vigilare e impedire che possa farsi male, ad esempio cadendo da un letto senza sbarre o cadendo mentre va al bagno da solo.
Riportiamo un caso trattato dal Tribunale di Napoli Nord che, con la sentenza n. 1269 del 27 marzo 2023 ha condannato una clinica a risarcire i familiari di una paziente caduta e poi morta.
I figli ed eredi legittimi della defunta madre, A. G., convenivano in giudizio la Clinica, affinché fosse accertata e dichiarata la responsabilità medica della predetta struttura sanitaria per il decesso della loro comune dante causa che imputavano avvenuto in conseguenza dell'affidamento alle cure della struttura convenuta, per vederla condannare, ai sensi degli artt. 1218 c.c. e 1228 c.c., nonché per ogni altra norma di legge applicabile, al risarcimento dei danni subìti dalla de cuius A. G..
A fondamento della domanda risarcitoria proposta, esponevano che: il giorno 11 aprile 2016, A. G. veniva ricoverata presso la Clinica, con diagnosi di: "claudicatio intermittens, episodi lipotimici e precordi algia parossistica". Precisavano che la sig.ra A. G. (72 anni all'epoca dei fatti) era affetta da vascolopatia cerebrale cronica, diabete mellito ID, ipertensione arteriosa ed aveva subìto vari interventi chirurgici, di by pass ed angioplastica ,coronarici ed era altresì portatrice di un pacemaker.
Riferivano che il 20 aprile 2016, la sig.ra A. G. era caduta, rovinosamente, sul pavimento all'ingresso del bagno (prima caduta), dopo avere atteso invano l'arrivo del personale medico e paramedico, nonostante avesse suonato il campanello con insistenza.
Riferivano che la situazione, si era, poi, aggravata il 24 aprile 2016 (quattro giorni dopo), allorquando in cartella clinica veniva annotato: "… la paziente è agitata, orientata a tratti. Presenta entrambi gli arti inferiori edematosi…".
Si dolevano gli attori che, pure, il 20 aprile 2016, il 1° maggio 2016 ed il 2 maggio 2016, nonostante le ripetute richieste di aiuto agli infermieri per potersi recare in bagno, suonando l'apposito campanello, la sig.ra A. G., dopo avere aspettato, senza esito alcuno, l'intervento del personale di assistenza, si era alzata e diretta da sola al bagno, scivolando e cadendo rovinosamente sul pavimento della stanza e ciò era confermato nella cartella clinica di ricovero della paziente.
Esponevano, dunque, che il 1° maggio 2016, alle ore 07,30 circa, A. G. era caduta (per la seconda volta) mentre cercava di recarsi autonomamente in bagno, dopo avere, ancora, vanamente, chiamato il personale della clinica per esservi accompagnata.
Allegavano, infine, che, pure, il 2 maggio 2016, alle ore 19.00 circa, la paziente era caduta (terzo episodio) mentre cercava, ancora, di recarsi al servizio igienico, riferendo di aver battuto la testa nell'occasione e riportando la frattura del femore che, veniva trattata con superficialità dai sanitari della struttura.
Lamentavano, infine che, soltanto il 3 maggio 2016,a causa dei forti dolori agli arti inferiori, la sig.ra A. G. veniva trasportata presso un centro diagnostico per eseguire esame RX cono femorale bilaterale, perché la struttura in cui era ricoverata non era dotata di macchinari radiodiagnostici, all'esito del quale era stata accertata "frattura pertrocanterica femore sinistro”.
All'esito degli esami ematochimici eseguiti alle ore 19,17 del 3.05.16, veniva evidenziato un quadro clinico deteriorato di insufficienza renale, di sofferenza miocardica ed una condizione trombotica che ne lasciavano presagire l'esito infausto, di tal che i familiari, decidevano di proseguire le ultime cure presso il proprio domicilio, dove la sig.ra A. G. decedeva dopo qualche ora.
Tanto premesso, gli istanti deducevano la responsabilità dell'exitus della genitrice da attribuirsi al personale di assistenza della Clinica Sant'Antimo, dove era stata in cura, per plurime condotte colpose, censurabili, di non trascurabili entità, tali da assumere una rilevanza nel determinismo causale del decesso della paziente.
Il Tribunale ritiene di condividere le valutazioni espresse dal collegio peritale per la idoneità e completezza degli accertamenti eseguiti, la coerenza logica e correttezza scientifica delle valutazioni ivi espresse e la congruenza delle stesse con gli atti di causa e la documentazione medica ed ospedaliera prodotta dall'attore.
I periti hanno riconosciuto la rilevanza della rottura del femore nel determinismo che ha condotto alla stessa morte, ritenendo il comportamento del personale sanitario e parasanitario della struttura non sufficiente a garantire la sicurezza per la prevenzione delle cadute, quindi condotta contraria alla lege artis, giuridicamente rilevante in termini civilistici di responsabilità.
Laddove non ci si intendesse costituire parte civile nel processo penale, si potrà agire direttamente davanti al giudice civile, secondo i seguenti passi:
Invero, dalla consulenza tecnica d'ufficio, è emerso che il quadro clinico della paziente era grave già al momento dell'ingresso presso la Clinica e nel corso della degenza si stava deteriorando ulteriormente.
La caduta accidentale avvenuta in data 02.05.2016, responsabile della frattura del femore sinistro ha accelerato il decorso delle malattie di cui era affetta.
La frattura con la consensuale perdita di emoglobina e con il dolore ha fatto precipitare le condizioni critiche che in quel momento erano già in un equilibrio precario innescando un peggioramento dell'ischemia cardiaca e dello scompenso cardiaco.
Si ritiene quindi che il comportamento del personale sanitario e parasanitario della struttura non sia stato sufficiente a garantire la sicurezza per la prevenzione delle cadute.
Questa affermazione trova riscontro dal fatto che la paziente sebbene fosse fragile con sensorio non sempre integro veniva lasciata priva di sorveglianza e priva di presidi atti a prevenire le cadute e nonostante fossero avvenuti ben due episodi di caduta fortunatamente senza conseguenze non è stata predisposta la presenza di un familiare o un care giver o semplicemente un accompagnatore che aiutasse la paziente a compiere gli atti della vita in autonomia.
La terza caduta è stata determinante a far precipitare una situazione già in scarso equilibrio per cui si ritiene che la de cuius abbia avuto una perdita di chance quantificabile nella misura del 30- 35%".
Per incidens, mette conto evidenziare che la raccomandazione ministeriale n. 13 del 2011 per la "Prevenzione e la gestione della caduta del paziente nelle strutture sanitarie" stima che circa il 14% delle cadute in ospedale sia classificabile come accidentale, ovvero possa essere determinato da fattori ambientali (es. scivolamento sul pavimento bagnato), l'8% come imprevedibile, considerate le condizioni fisiche del paziente (per esempio un improvviso disturbo dell'equilibrio), e il 78% rientri tra le cadute prevedibili per fattori di rischio identificabili della persona (è il caso di un paziente disorientato o con difficoltà nella deambulazione).
Si evidenzia dunque come gran parte dei casi di caduta possa essere prevenuto e, dunque, evitato.
L'individuazione del profilo di responsabilità dei sanitari a seguito di questo evento avverso è molto discussa sia in letteratura sanitaria che in letteratura giuridica.
Provando a ricercare un filo conduttore, da un punto di vista giuridico, in caso di caduta di un paziente è necessario individuare l'operatore la cui condotta attiva o omissiva abbia causato l'evento.
In merito, mentre è facile individuare le responsabilità nel caso in cui cada un paziente che non è in condizioni di deambulare autonomamente mentre viene trasportato su una barella, carrozzina o comunque mentre è aiutato a spostarsi dal personale sanitario, meno immediato è individuare il soggetto responsabile nei casi in cui i pazienti si procurino lesioni da caduta in assenza di personale sanitario nelle loro immediate vicinanze, poiché in questo caso può sussistere una responsabilità colposa dell'operatore di tipo omissivo determinata dalla mancanza vigilanza del paziente.
Va detto che l'adeguata sorveglianza del paziente rientra nella diligenza esigibile dalla struttura ospedaliera ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c..
Il contratto di ricovero produce, a norma dell'art. 1374 c.c., l'obbligo della Struttura sanitaria di sorvegliare il paziente in modo adeguato rispetto alle sue condizioni, al fine di prevenire che egli possa causare danni o subirne (cfr. Cass. civ., sez. III, ord., 11 novembre 2020, n. 25288; Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2014, n. 10832; Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22331; Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997).
Occorre premettere che l'accettazione in ospedale del paziente ai fini del ricovero determina con la struttura, la conclusione di un contratto di natura atipica, incentrato su una prestazione complessa a favore dell'ammalato che può, sinteticamente, definirsi di "assistenza sanitaria".
Nell'ambito di tale rapporto atipico assumono rilievo, oltre alle prestazioni mediche, quelle di carattere "latu senso" alberghiero e le obbligazioni accessorie di sicurezza e/o protezione.
Ne deriva quindi che la responsabilità della struttura nei confronti del paziente che ha subito lesioni a seguito di caduta all'interno dell'ospedale ha natura contrattuale e può sussistere a prescindere dalla possibilità o meno di accertare e/o identificare il comportamento colposo di un singolo soggetto operante all'interno della struttura stessa.
Ergo la Struttura sanitaria ha un dovere di vigilanza sui pazienti ricoverati.
Al riguardo, appare conferente al caso in esame l'assunto giurispruenziale alla stregua del quale "l'addebito di responsabilità per inadempimento contrattuale é stato collegato alla mancata dimostrazione, da parte della struttura, dell'adempimento delle sue obbligazioni tra le quali, come è ben noto, rientrano anche quelle di tipo assistenziale in senso lato (a latere di quelle più strettamente di cura sanitaria), che la struttura deve adempiere in modo esatto, essendo obbligata ad avere una dotazione organizzativa all'altezza del compito e delle finalità della stessa (che rappresenta una delle ragioni che portano il paziente a scegliere quella struttura).
L'accettazione in un ospedale o casa di cura del paziente ai fini del suo ricovero determina la conclusione di un contratto di natura atipica, incentrato su di una prestazione complessa, a favore dell'ammalato, definibile sinteticamente di "assistenza sanitaria": nell'ambito di tale rapporto contrattuale atipico assumono infatti rilievo, oltre alle prestazioni di natura medica, le prestazioni di carattere lato sensu alberghiero e le obbligazioni accessorie c.d. di sicurezza e/o protezione; la responsabilità dell'ente sanitario nei confronti del paziente che ha riportato lesioni, a seguito di una caduta all'interno di un reparto ospedaliero in cui aveva luogo la degenza, ha pertanto natura contrattuale e può sussistere in caso di sua inidoneità organizzativa in riferimento alle tipologie di prestazioni rese, a prescindere dalla possibilità o meno di accertare e/o identificare un comportamento colposo di un singolo soggetto operante all'interno della stessa organizzazione (ex multis, Corte Appello di Roma, III Sez. Civ., 11 aprile 2017).
I Giudici di Merito (v. Tribunale di Milano, sezione I Civile sent. n. 8946/1995 e Tribunale Civile di Monza del 22 ottobre 2001) nonché la corrente dottrina, ritengono infatti che "poiché il rapporto che lega il paziente all'istituzione sanitaria, pubblica o privata che sia, ha natura contrattuale (contratto di spedalità), l'istituzione assume un'obbligazione principale avente ad oggetto la cura del paziente, o l'accertamento diagnostico, ciò che costituisce lo scopo primario dell'operazione negoziale.
L'istituzione si trova quindi vincolata da un preciso obbligo "accessorio" di salvaguardia del paziente, contro le aggressioni provenienti dalla struttura o comunque da cause rientranti nella sfera di controllo di questa.
La fonte di tale obbligo, sia che risieda in un obbligo accessorio "di protezione", sia che invece debba essere rinvenuta nell'obbligo generale di buona fede, inteso in senso "integrativo" del contenuto negoziale, ha sicuramente natura e rango contrattuali, sicché è alla disciplina dell'obbligazione che si deve aver riguardo, per regolare le conseguenze dell'inadempimento (art. 1218 c.c.).
Per il Tribunale nel caso in esame, stante le difficoltà di deambulazione della signora A. G., accertate già all'atto di accettazione, può ben dirsi in ragione degli esiti peritali condotti che l'evento lesivo (rottura del femore) da considerarsi non determinante ex se nella causazione della morte abbia assunto la consistenza di un fattore concausale determinante dell'evento morte.
La predisposizione di presidi preventivi volti a tutelare i pazienti, esime da responsabilità il personale sanitario e la struttura stessa che, nel caso in cui abbiano messo in atto tutti i comportamenti che erano a loro disposizione, difficilmente potranno essere responsabili degli esiti di una caduta che, in questo caso, rientrerebbe tra gli eventi accidentali e quindi non preventivabili, al contrario di quanto avvenuto nel caso in esame, laddove per le condizioni della signora A. G. ed in ragione dei precedenti e ravvicinati episodi – due cadute a distanza di pochi giorni - era con ogni probabilità prevedibile potesse accadere, come accaduto ed a fronte di mancate misure ed interventi poste in atto a prevenzione, importa la configurazione della responsabilità della struttura.
Ciò detto, se la frattura del femore non può condivisibilmente ritenersi quale causa diretta ed esclusiva dell'exitus della paziente, può certamente ritenersi quale concausa determinante dell'evento morte in applicazione dei criteri legislativi di cui all'art. 40 c.p..
Devesi pertanto ritenersi configurabile e sussistente la responsabilità della struttura sanitaria ospitante la paziente A. G. in punto di determinismo concausale determinante l'evento morte.
Quanto alla quantificazione del danno da perdita del rapporto parentale, si osserva quanto segue.
In merito al danno da perdita del rapporto parentale la Suprema Corte - prendendo le mosse dalla sentenza delle sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione dell'11 novembre 2008, n. 26972, che (unitamente a quelle contrassegnate dai numeri 26973, 26974 e 26975) che ha posto dei condivisibili punti fermi in tema di risarcibilità dei danni derivanti da fatti illeciti - ha più volte affermato che il danno da perdita del rapporto parentale costituisce solo un particolare aspetto del danno non patrimoniale, consistente nella lesione dell'interesse giuridico alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella particolare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela é ricollegabile agli artt. 2,29 e 30 Cost., interesse giuridico diverso dall'integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all'art. 2 Cost., si esprime mediante il risarcimento del c.d. danno morale soggettivo, causato da una sofferenza ingiusta).
La compromissione della personalità dell'individuo in ipotesi tragiche come quella in esame deve sicuramente presumersi, in quanto rispondente all'"id quod plaerumque accidit", fino a prova contraria gravante sul danneggiante (cfr., in tal senso ed "ex multis", Cass. 12 giugno 2006, n. 13546; Cass. 15 febbraio 2006, n. 3289; Cass. 11 agosto 2004, n. 15568). Neppure la convivenza rappresenta un presupposto necessario per la risarcibilità del danno sofferto dal prossimo congiunto potendo costituire al più elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità del rapporto con il defunto (Cass. 20 ottobre 2016 n. 21230).
Ai fini della determinazione di tale somma, come chiarito dalla recente giurisprudenza di legittimità e di merito, deve considerarsi che il cosiddetto danno scaturente dalla lesione del rapporto parentale può essere determinato in un'unica somma personalizzata comprendente sia il cosiddetto danno morale in senso stretto, derivante dalla sofferenza per la perdita del congiunto, sia il cosiddetto danno esistenziale, derivante dalla lesione del rapporto parentale e dall'incidenza che tale lesione assume sulla vita futura del congiunto superstite (cfr. Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828, ribadita, poi, da Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26973, Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26074 e Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26975).
Ne consegue che nell'ipotesi di riconoscimento congiunto del danno morale e del danno relativo alla perdita del rapporto parentale appare equo liquidare a favore dei germani del defunto, una somma complessiva a titolo di ristoro del danno non patrimoniale subito in proprio, sia nella sua componente esistenziale che nella sua dimensione morale.
In ordine al quantum del risarcimento, giova richiamare i parametri comunemente adottati dalla giurisprudenza di merito, in particolare l'orientamento emerso nel Tribunale di Milano, di recente aggiornamento, in ordine ad una valutazione del danno per la perdita di un genitore nei confronti del figlio in una "forbice" che va da un minimo di euro 168.250,00 fino ad un massimo di euro 336.500,00.
Ciò posto, tenuto conto del vincolo affettivo e parentale esistente tra gli attori (figli) e la vittima (madre), dell'età di A. G. al momento della morte (72) e del fatto che il decesso abbia riguardato uno stretto congiunto, sub specie ascendente, di età non vicina a quella degli attori, si ritiene di dover liquidare, in via equitativa a titolo di danno non patrimoniale (comprensivo sia del cosiddetto "pretium doloris" che del danno da perdita del rapporto parentale), ed in valuta attuale, la somma di €. 175.000,00, in favore di ciascuno dei figli di A. G. ed individuati negli odierni attori.
Il caso che abbiamo trattato con questo articolo è solo uno dei tanti casi di decesso di pazienti fragili dovuto a caduta in ambito ospedaliero, all’interno di cliniche private o in RSA.
Nel corso di venti anni di professione, i nostri avvocati e consulenti medici legali si sono occupati con successo di più cause volte al risarcimento dei danni subiti da familiari di pazienti morti a causa di caduta prevedibile e prevenibile dal personale medico-sanitario.
Per ottenere il risarcimento affidati a professionisti con esperienza e competenza nel complesso settore della malasanità.
Per di più, con avvocaticollegati.it non dovrai anticipare alcuna spesa perché i nostri avvocati e medici legali saranno pagati solo ad avvenuto risarcimento!
© avvocaticollegati.it