La Sezione IV Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20943 del 21 febbraio 2023, ha confermato la condanna per omicidio colposo di un medico sportivo che, rilasciando al paziente il certificato di idoneità sportiva agonistica, nonostante gli esami mostrassero deficit cardiaci, cagionava la morte del paziente nel corso di un allenamento.
La condotta del medico è stata ritenuta colposamente omissiva perché, avendo omesso di leggere con accortezza i risultati degli esami e rilasciando il certificato, ha fatto sì che il paziente facesse attività sportiva di un certo rilievo nonostante le precarie condizioni in cui versava, tanto da riportare un infarto durante un allenamento in bicicletta e morire.
Il Decreto del Ministero della Sanità del 18 febbraio 1982 prescrive che, chi pratica attività sportiva agonistica, deve sottoporsi previamente e periodicamente a controlli medici.
Per l’attività sportiva non agonistica invece la certificazione è prescritta solo: per gli alunni che svolgono attività fisico-sportive organizzate dagli organi scolastici nell’ambito delle attività para-scolastiche, e per coloro che svolgono attività organizzate dal CONI o da società sportive affiliate alle Federazioni sportive nazionali o a Discipline associate.
Per ottenere il certificato di idoneità ci si deve sottoporre a visita ed esami presso un medico specialista in medicina dello sport (figura con specifiche competenze cardiologia, pneumologia, endocrinologia, medicina interna e anche ortopedia-traumatologia e fisiatria) che, solo se il paziente risulterà fisicamente idoneo, potrà rilasciare il relativo certificato.
La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 9 novembre 2021 ha confermato la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 4 giugno 2020, con cui un medico era stato condannato alla pena di mesi otto di reclusione in relazione al reato di omicidio colposo.
La condanna veniva inflitta perché, in qualità di medico Specialista in Medicina dello Sport presso il Poliambulatorio (Omissis), aveva rilasciato certificato di idoneità sportiva agonistica con validità annuale al paziente, nonostante l'elettrocardiogramma al massimo sforzo e in fase di recupero eseguito in pari data mostrasse reperti ampiamente significativi di ischemia miocardica infero-laterale e quindi fosse positivo per ischemia miocardica inducibile.
Inoltre, nonostante un precedente ecg mostrasse la comparsa di inversione dell'onda T in AVL, V1 e V2 e quindi un cambiamento peggiorativo nel corso dell'ultimo anno e l'ecg nella fase di recupero evidenziasse una serie di extrasistoli ventricolari di almeno due diverse morfologie con una tripletta e un sottolivellamento discendente significativo del tratto ST in D2, D3, A VF, V5, V6 e in DI AVL, ometteva di informare il paziente delle evidenti alterazioni patologiche sopra descritte in modo da consentirgli di usare le necessarie cautele e di svolgere ulteriori approfondimenti diagnostici.
Con tali condotte colpose, il medico cagionava la morte del paziente, che decedeva nel corso di un allenamento ciclistico per "arresto cardiaco acuto da verosimile recidiva d'infarto in soggetto con esiti di pregresso infarto del miocardio antero-settale in sede sub-endocardiaca, cardiomiopatia ipertrofico-dilatativa e coro-naropatia".
La condanna veniva inflitta anche sulla base della perizia disposta nel corso del processo, in base alla quale non vi erano dubbi in ordine ai profili di colpa addebitabili all'imputato in occasione delle visite mediche e degli accertamenti prodromici al rilascio del certificato di idoneità agonistica nonché al nesso causale tra tale comportamento colposo e il decesso della vittima.
La Corte di appello ha infatti rilevato quanto segue:
1) L'analisi del tracciato l'ecg al massimo sforzo del paziente mostrava segni ampiamente significativi di "ischemia miocardica infero-laterale" e, pertanto, doveva essere considerata positiva per ischemia miocardica inducibile, per cui il medico non avrebbe dovuto rilasciare il certificato di idoneità agonistica.
2) L'ecg di base del paziente raffrontato con quello dell'anno precedente mostrava segni di peggioramento; l'ecg a culmine dello sforzo risultava non leggibile; il primo ecg eseguito nella fase di recupero evidenziava segni significativi del permanere della patologia suindicata, che avrebbero dovuto indurre il medico a non rilasciare il predetto certificato.
3) Le indagini effettuate dall'imputato sono abitualmente effettuate dai medici dello sport; non si ravvisano, nell'interpretazione degli esami svolti, particolari difficoltà interpretative e la competenza e l'attenzione richieste per una corretta analisi dei dati acquisiti dall'imputato erano esigibili dall'imputato, specializzato in medicina dello sport ed esercente la professione da diversi anni.
La Corte di appello ha anche ritenuto irrilevante che il decesso non fosse avvenuto nel corso di una competizione sportiva ma durante un allenamento perchè, in caso di corretta valutazione degli esiti degli esami (e, in particolare, di ecg da sforzo e in fase di recupero) e di esatta diagnosi della patologia, si sarebbero potuti suggerire al paziente (anche tramite il proprio medico di medicina generale): a) una completa valutazione cardiologica e una coronarografia che avrebbero portato all'approntamento di una terapia medica; b) un antiaggregante piastrinico (aspirina o simili); c) una statina per ridurre il livello ematico di colesterolo e proteggere la parete delle arterie; d) un beta bloccante per ridurre il consumo di ossigeno del miocardio e proteggerlo da possibili aritmie ipercinetiche da ipertono simpatico"; e) la non sottoposizione a sforzi fisici intensi quali l'attività sportiva agonistica caratterizzata da attività motoria al di sopra della pericolosa soglia ischemica, idonea provocare discrepanza ossigenativa su una parte del muscolo cardiaco. Tali azioni avrebbero certamente evitato il decesso del paziente.
L’imputato ricorre alla Corte di Cassazione contro la sentenza d’appello, deducendo che quest’ultimo giudice non avesse fornito nessuna motivazione in merito alla qualificazione del fatto materiale di reato ed all'inquadramento del giudizio sul nesso di causalità.
Ma la Corte di Cassazione ritiene inammissibile il ricorso per i seguenti motivi.
I giudici di merito hanno chiaramente evidenziato che già il primo ecg del paziente si era dimostrato indicativo di un'ischemia miocardica infero-laterale con test positivo per ischemia miocardica inducibile e che il successivo ecg aveva mostrato la comparsa di inversione dell'onda T in A VL, V1 e V2 ed extrasistolie in fase di recupero, aspetti tutti indicativi di un peggioramento nel corso dell'ultimo anno.
E' stato correttamente sottolineato, pertanto, che, stante la presenza di elementi diagnostici indicativi con certezza di ischemia miocardica inducibile e di aritmie ventricolari complesse, il medico avrebbe dovuto astenersi dal rilasciare i certificati di idoneità allo svolgimento di attività sportiva agonistica sulla base dei "Protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità allo sport agonistico".
Si è quindi sottolineato che gli esiti degli ecg avrebbero dovuto ingenerare nel medico il sospetto della sussistenza di una cardiopatia ischemica, per cui sarebbe stato necessario svolgere esami strumentali maggiormente specifici rispetto ad un semplice ecocardiogramma.
Quanto alla sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva colposa e il decesso si è chiarito che, a fronte di un tracciato ECG patologico, se il medico non avesse rilasciato il certificato di idoneità alla pratica agonistica del ciclismo e avesse indirizzato il paziente ad una completa valutazione cardiologica, in modo da prevenire future aritmie; l'omesso riconoscimento dell'idoneità alla pratica sportiva agonistica lo avrebbe indotto a non proseguire gli allenamenti intensi in bicicletta, idonei a provocare "una discrepanza ossigenativa su una parte del muscolo scheletrico".
Si è conseguentemente attribuita la morte dello sportivo, avvenuta per arresto cardiaco improvviso nel corso di attività sportiva, alla scarsa ossigenazione di una parte del tessuto miocardico - circostanza ascrivibile all'ischemia del miocardio non diagnosticata - aggravata dal superamento di una certa soglia di sforzo fisico, che aveva innescato le aritmie ventricolari maligne.
L'impiego esigibile della media diligenza e perizia medica avrebbe dovuto comportare, non già la superficiale diagnosi che aveva dato luogo al rilascio del certificato di idoneità sportiva, bensì l'effettuazione di esami maggiormente approfonditi che avrebbero evitato, con ampio margine di probabilità, la morte del predetto, la quale invece, avveniva improvvisamente durante la rischiosa attività fisica espletata.
In altri termini, i giudici di merito hanno accertato che la morte improvvisa del paziente poteva e doveva essere scongiurata mediante un diligente ed oculato comportamento professionale del medico, per cui, quello diverso da lui tenuto, nel caso concreto, si palesava, sotto il duplice profilo della negligenza e dell'imperizia, colposo ed eziologicamente incisivo sul determinismo dell'evento mortale, avendo consentito l'automatica ammissione del soggetto all'attività sportiva, incompatibile con la sua situazione clinica ed essendo, di contro, razionalmente altamente credibile che la sua morte sarebbe stata evitata, se non avesse svolto l'allenamento ciclistico (Sez. 4, n. 38154 del 05/06/2009, R.C., Rv. 245781-2, secondo cui risponde di omicidio colposo il cardiologo, che attesti l'idoneità alla pratica sportiva agonistica di un atleta, in seguito deceduto nel corso di un incontro ufficiale di calcio a causa di una patologia cardiologia - nella specie, "cardiomiopatia ipertrofica" - non diagnosticata dal sanitario per l'omessa effettuazione di esami strumentali di secondo livello che, ancorché non richiesti dai protocolli medici, dovevano ritenersi necessari in presenza di anomalie del tracciato elettrocardiografico desumibili dagli esami di primo livello; Sez. 4, n. 18981 del 09/03/2009, Giusti, Rv. 243993).
A fronte di tale apparato motivazionale, le obiezioni difensive non sono state ritenute meritevoli di accoglimento.
Il caso che abbiamo trattato rientra in quelli di malasanità, ossia nei casi in cui un soggetto si rivolge ad un medico e riporta la morte come conseguenza diretta di una condotta negligente del professionista.
Quando un paziente muore, i familiari di quest’ultimo hanno diritto di richiedere al medico, e per esso all’ospedale o alla clinica per cui esercitava, il risarcimento del danno subito per la perdita del congiunto (c. d. danno da perdita del rapporto parentale), che è un danno non patrimoniale che deve ristorare la perdita del legame intrattenuto con il paziente finchè è stato in vita e che viene liquidato dai giudici sulla base di tabelle “a punti”, in base al grado di parentela, all’età del paziente morto e del parente rimasto in vita, al fatto che i due convivessero o meno etc..
Ma oltre al danno da perdita del rapporto parentale, i familiari potranno anche chiedere il risarcimento di altri tipi di danno, quale ad esempio quello patrimoniale, derivante dalla perdita di introiti che il paziente morto destinava alla famiglia.
In questi casi, se vi è un processo penale contro il medico, i familiari della vittima potranno costituirsi parte civile per ottenere in sede penale il risarcimento, tramite la rappresentanza di un avvocato che si costituirà parte civile e parteciperà alle udienze.
In alternativa alla costituzione di parte civile nel processo penale, i familiari della vittima di malasanità potranno procedere davanti al giudice civile, sempre tramite un avvocato, per chiedere il risarcimento di tutti i danni subiti.
Se un tuo congiunto è morto per colpa medica puoi contattarci tutti i giorni per avere un parere gratuito da parte dei nostri avvocati e consulenti medici legali, che hanno esperienza nel settore della malasanità da più di venti anni ed assistono sia online che in tutta Italia!
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Credo che mio figlio sia stato vittima di un caso del genere, vorrei fare una denuncia. Vi contatto da Roma
Ci contatti pure quando vuole per fissare una videocall o un appuntamento presso il nostro studio di Roma