Il paziente che riporta danni permanenti per colpa medica ha diritto di ottenere il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali e patrimoniali subiti.
Il risarcimento per le lesioni, detto danno non patrimoniale o biologico, viene sistematicamente liquidato sotto forma di capitale, ossia in una unica soluzione e comprensivo di rivalutazione ed interessi legali.
Per quanto riguarda invece il danno da “lucro cessante”, ossia per perdita di capacità specifica lavorativa e spese mediche e di assistenza future, talvolta, seppur raramente, il giudice può optare per riconoscere al danneggiato una rendita vitalizia.
La norma che tratta la rendita vitalizia è l’art. 2057 del codice civile, che prevede che “quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita vitalizia; in tal caso il giudice dispone le opportune cautele”.
Come detto, trattasi di una norma scarsamente applicata, considerato che normalmente al danneggiato, anche se gravato da invalidità grave, viene riconosciuto un risarcimento sotto forma di capitale, quindi in una unica soluzione.
Tuttavia, è opportuno parlare anche di questa modalità di liquidazione, considerato che il giudice ha facoltà di applicarla anche d’ufficio, quindi senza che vi sia stata richiesta delle parti, soprattutto quando sia impossibile stabilire in modo oggettivo la durata presumibile di vita del danneggiato.
La Corte di Cassazione in passato ha avuto modo di precisare che “ai fini della valutazione del danno patrimoniale da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica, sono applicabili i criteri indicati dall'art. 2057 c. c., in base ai quali, quando il danno alla persona ha carattere permanente, la liquidazione può essere fatta dal giudice sotto forma di rendita vitalizia, valutando d'ufficio le particolari condizioni della parte danneggiata e la natura del danno” (sentenza n. 24451/2005).
A tutela del danneggiato è previso: a) che il debitore non può liberarsi dell'obbligazione offrendo il pagamento di un capitale; b) che il debitore non può invocare la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta; c) che in caso di inadempimento del debitore, il creditore della rendita può far sequestrare e vendere i beni dell'obbligato.
Inoltre, in tema di liquidazione del danno alla persona sotto forma di rendita vitalizia ex art. 2057 c. c., è ammissibile la revisione della rendita determinata dal giudice in caso di aggravamenti che non fossero accertabili, né prevedibili, al momento della pronuncia.
La Corte di Cassazione ha di recente precisato che il danno patrimoniale futuro da perdita della capacità lavorativa specifica, in applicazione del principio dell'integralità del risarcimento sancito dall'articolo 1223 c. c., deve essere liquidato moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione.
A tal fine, devono essere utilizzati, quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall'altro, coefficienti di capitalizzazione di maggiore affidamento, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali, oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano.
Ai fini di procedere ai suddetti calcoli si ritengono ormai desueti quelli di cui al Regio Decreto n. 1403/1922 - che, a causa dell’innalzamento della durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse, non garantisce l’integrale ristoro del danno e, con esso, il rispetto della regola di cui all’art. 1223 del codice civile – ed anche quelli elaborati nel corso di un incontro di studio del C. S. M. tenutosi a Trevi nel 1989.
Per tali motivi, il 25 maggio 2023 l’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha elaborato nuovi “criteri per la capitalizzazione anticipata di una rendita”.
Si tratta di un documento redatto per far fronte alla inadeguatezza degli strumenti finora utilizzati dai giudici di merito per la liquidazione di cui trattasi, ossia per quella del danno permanente da incapacità di guadagno.
Secondo questo studio, per calcolare la capitalizzazione di una rendita futura a valori attuali, si parte da una tabella in cui si incrocia il dato sull’età del danneggiato con quello sul numero di anni futuri per i quali la somma verrà percepita, individuando un coefficiente numerico moltiplicativo che andrà poi moltiplicato per l’importo annuo perso (detto rendita) la cui determinazione viene demandata al giudice in base a criteri giuridici che non vengono esaminati nello studio.
Il primo esempio che riporta l’Osservatorio è quello di un lavoratore maschio di 45 anni a cui mancano 22 anni per andare in pensione, a cui è riconosciuta una invalidità lavorativa del 100%, che percepiva un reddito annuale di 24.000 euro che perderà fino alla pensione.
L’arco temporale che si considera è dai 45 anni fino all’età pensionabile di 67 anni, per cui la durata della rendita sarà di 22 anni.
In base alla tabella, incrociando il dato sull’età con quello degli anni della rendita, si individua un coefficiente moltiplicativo di 23,55.
Moltiplicando il reddito annuo di 24.000 euro per 23,55 si ottiene come risultato € 565.200,0.0 che costituisce la capitalizzazione (rectius: l’attualizzazione) di quella rendita per la durata di 22 anni.
Il secondo esempio è quello di una ragazza di 18 anni che perde l’unico genitore deceduto, il cui reddito annuo era di 15.000 euro, fino alla presumibile indipendenza economica stimata dal giudice a 28 anni.
L’arco di tempo da considerare è quindi di 10 anni (28-18=10), ed incrociando il dato sull’età con quello di durata della rendita si ottiene un coefficiente di 10,48 che, moltiplicato per 15.000 euro da come risultato 157.200 euro, che costituisce l’attualizzazione di quella rendita per 10 anni.
I genitori di un neonato si sono rivolti al Tribunale di Milano lamentando il fatto che, per colpa medica, fosse affetto da meningoencefalite grave, con presenza di lesioni focali multiple sia del tronco encefalico che a livello degli emisferi cerebrali, che lo rendevano invalido permanentemente.
Sia in primo grado che davanti alla Corte di Appello di Milano i giudici ritenevano provata la responsabilità medica nella causazione del fatto dannoso.
In quanto invalido ed essendo arduo stabilire una aspettativa di vita del bambino, i giudici riconoscevano a titolo di danno da lucro cessante per incapacità specifica lavorativa e spese di cura una rendita vitalizia.
In Corte di Cassazione, ove il fatto non è stato revisionato, sono stati dettati i seguenti principi.
Il danno biologico permanente di non lieve entità può essere risarcito tramite una condanna del danneggiante ad una rendita vitalizia, con decisione che può essere assunta dal giudice anche d'ufficio, indipendentemente dalla volontà della parte. Costituisce forma privilegiata di risarcimento in quanto idonea a cogliere la dimensione diacronica del danno, purché restituisca un valore finanziario equivalente alla somma da cui sia stata ricavata e sia soggetta a rivalutazione sia per essere adeguata al valore di acquisto della moneta sia nel caso di aggravamenti non precedentemente accertabili o prevedibili. Tale forma risarcitoria altresì scongiura il rischio di dispersione di ingenti capitali per malafede o condotte colpose di congiunti inesperti .
Affinché il risarcimento del pregiudizio derivante da una grave lesione della salute, attraverso la costituzione di una rendita vitalizia, consenta di cogliere appieno la proiezione diacronica di tutte le componenti del danno che, di giorno in giorno, il danneggiato avrebbe subito dal momento dell’evento in poi, il valore della rendita deve essere computato tenendo conto non delle concrete speranze di vita del danneggiato, bensì della vita media futura prevedibile secondo le tavole di mortalità elaborate dall’ISTAT, applicando altresì un coefficiente di capitalizzazione che garantisca la compensazione di ogni rateo di rendita con il nocumento sofferto dalla vittima nel corrispondente arco temporale, come quello stabilito per la liquidazione del danno da incapacità lavorativa.
Disposto il risarcimento dei danni sotto forma di una rendita vitalizia, deve ritenersi astrattamente ammissibile l'ipotesi di una revisione della rendita, oltre che di proposizione di una nuova e diacronica domanda risarcitoria in presenza di aggravamenti che non fossero accertabili né prevedibili al momento della pronuncia. Ai fini dell'instaurazione di un nuovo giudizio, è necessario che la parte individui specificamente gli elementi idonei a consentire la revisione della liquidazione del danno a causa di aggravamenti successivi e sopravvenuti alla formazione del giudicato, che sono da ricondurre: a) ad un'obiettiva impossibilità di accertare, al momento della prima liquidazione, fattori attuali capaci, nell'ambito di una ragionevole previsione, di determinare l'aggravamento futuro; b) all'impossibilità, ancora con riferimento alla prima liquidazione, di prevederne gli effetti; c) all'insussistenza di un evento successivo avente efficacia concausale dell'aggravamento. L'instaurazione di un nuovo giudizio è quindi possibile, quando non si violino i principi del giudicato e del dedotto e deducibile, nelle ipotesi in cui la sentenza non abbia statuito su quel profilo nuovo di danno (e non sul suo prevedibile aggravamento), e le osservazioni e le pretese ad esso legate non avrebbero potuto essere dedotte all'interno del primo processo. Applicando tali principi alla rendita vitalizia, deve pertanto ammettersi la possibilità di una sua revisione nei limiti in cui è ammesso adire il giudice in ragione dell'insorgere di danni del tutto imprevedibili e non accertabili al momento del primo giudizio.
Il contratto atipico di 'vitalizio alimentare' o 'vitalizio assistenziale' consiste nel sinallagma per cui, dietro corrispettivo della cessione di un immobile, un soggetto si obbliga a prestare all'altro, per tutta la durata della sua vita, un'assistenza materiale e morale.
La rendita vitalizia, invece, è connotata dalla dazione periodica di denaro o di cose fungibili.
L'elemento che accomuna le due figure è l'alea, ma nel vitalizio alimentare-assistenziale l'alea è più marcata rispetto al contratto di rendita vitalizia, perché correlata a due fattori incerti (la durata della vita del vitalizio e la variabilità delle prestazioni in rapporto allo stato di bisogno e di salute del beneficiario).
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