Con sentenza n. 37 del 14 gennaio 2023, il Tribunale di Grosseto ha riconosciuto ai familiari di un paziente morto a seguito di infezione contratta dopo un intervento di nefrectomia, il risarcimento dei danni da perdita del rapporto parentale.
Con atto di citazione ritualmente notificato, L. M., B. M. e F. M., in proprio e nella qualità di eredi di G. M., convenivano in giudizio l’Azienda USL per ottenere accertamento e declaratoria di responsabilità della convenuta in relazione al decesso di G. M. avvenuto in data 27.03.2013; per l'effetto, chiedevano condannare l'Azienda convenuta al risarcimento di tutti i danni subiti dalle attrici sia in proprio che iure successionis; il tutto con vittoria di spese.
Deducevano in particolare L. M., B. M. e F. M., rispettivamente coniuge (la prima) e figlie (le altre due) di G. M.:
(i) l'inadeguatezza dell'operato dei sanitari della struttura ospedaliera convenuta, casualmente efficiente rispetto al decesso di G. M., evidenziando il ruolo di concausa insieme alla contaminazione da Klebsiella pneumoniae della formazione di un ematoma retro peritoneale in sede di intervento chirurgico di nefrectomia del 14.02.2013 il cui ristagno, stante l'omissione di interventi rivolti alla sua pronta rimozione, avrebbero favorito l'ulteriore crescita batterica artefice dell'aggravarsi delle condizioni cliniche del M. e del suo decesso;
(ii) la non tempestività dell'intervento dei sanitari per fronteggiare la patologia insorta, posto che dalla data dell'intervento di nefrectomia e quindi dall'insorgere della perdita ematica retro peritoneale al successivo intervento chirurgico di esplorazione del sito del sanguinamento, avvenuto in data 15.03.2013, sarebbe trascorso un mese;
(iii) l'inadeguatezza delle misure adottate dall'Azienda convenuta per prevenire l'infezione da Klebsiella Pneumoniae evidenziando in proposito carenze e la mancata predisposizione di presidi igienici ( copri calzature, cuffie , mascherine o guanti);
(iv) la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto al risarcimento vantato dalle attrici sia iure proprio che iure successionis, ivi compreso il c.d. danno biologico terminale asseritamente subito da G. M..
Il Tribunale ha nominato un collegio peritale composto da un medico legale e da uno specialista in anestesia e rianimazione che hanno ritenuto quanto segue.
1. Il M. era affetto da recidiva di tumore renale per cui è stato ricoverato e sottoposto a intervento chirurgico di asportazione della porzione di rene sinistro residuo e conseguentemente avviato alla terapia dialitica; non vi erano alternative terapeutiche a quella attuata; il comune decorso di un quadro patologico come quello del M., considerate anche le comorbidità, non era contrassegnato da prognosi negativa a breve/medio termine potendo dunque usufruire nel tempo di un trattamento dialitico cronico.
2. La storia del paziente, in estrema sintesi, è stata contrassegnata da un duplice severo episodio infettivo, il primo di 'ndd', il secondo da 'KPC'; le pesanti terapie antibiotiche, indicate ed efficaci per le infezioni in questione, hanno determinato lo sviluppo di una severa reazione mielotossica causativa, in ultimo, del decesso del paziente.
3. Le infezioni nosocomiali sviluppate dal paziente sono ovviamente conseguenza del regime di ospedalizzazione e, data la iniziale condizione di immunocompetenza del paziente, sono da ritenere 'evitabili'. In particolare, la seconda infezione, da KPC in paziente colonizzato durante la degenza in ospedale, costituisce l'evento forse più rilevante ai fini dello sviluppo di quella tossicità midollare che porterà a morte il paziente.
4. I comportamenti 'contestati' da parte attrice ai sanitari della Rianimazione in riferimento al fatto che non sarebbero state adottate le misure di cautela e di prevenzione a tutela della salute dei pazienti, con particolare riferimento al mancato isolamento dei pazienti e alle protezioni da imporre ai visitatori, non hanno alcun fondamento scientifico: il paziente è entrato in Rianimazione affetto da shock settico da germe non identificato e colonizzato da KPC, entrambi comunque contratti con verosimiglianza nel reparto di Nefrologia; sul punto tutta la letteratura scientifica è univoca nel dire che gli indumenti forniti ai visitatori non hanno nulla a che vedere con le colonizzazioni o con le infezioni nosocomiali. È oggi dimostrato che il solo strumento di rilievo nella prevenzione delle infezioni e delle colonizzazioni è costituito dal 'lavaggio delle mani'.
In conclusione, il Collegio peritale ha accertato che la storia clinica del M. è stata negativamente contrassegnata dallo sviluppo di colonizzazione e di infezione nosocomiale 'evitabile' (da germi assai verosimilmente contratti in Nefrologia) in quanto avvenute in paziente che, a quel momento, era immunocompetente. Il Collegio ha quindi ritenuto sussistente il nesso di causalità tra le infezioni contratte in ambito ospedaliero, la protratta politerapia antibiotica, la grave reazione mielotossica spinta fino ad un quadro di immunoparalisi, e il decesso del M..
Alla luce di tali rilievi, risulta raggiunta la prova dell'inadeguatezza dell'operato della struttura sanitaria, in stretto nesso causale con il decesso del M..
In merito alla quantificazione del danno, gli attori, nella loro qualità di prossimi congiunti ed eredi del paziente, hanno chiesto il risarcimento dei danni asseritamente subiti, iure proprio e iure hereditatis, in virtù del legame parentale tra essi ed il de cuius e della sofferenza da quest'ultimo patita a seguito dell'evento per cui è causa.
Quanto al danno non patrimoniale sofferto iure proprio dagli attori (cd. 'danno da morte del congiunto'), la domanda viene parzialmente accolta secondo le seguenti motivazioni.
In merito, si osserva che la giurisprudenza ha da tempo chiarito come ai prossimi congiunti della persona che abbia subito lesioni personali sia attribuibile il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire iure proprio contro il responsabile (cfr. Cass. S.S.U.U., 22 maggio 2002, n. 9556).
In merito occorre tuttavia premettere come sia orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio in ragione del quale il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, quale tipico danno - conseguenza non coincide con la lesione dell'interesse (ovvero non è in re ipsa) e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento; tuttavia trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire (cfr da ultimo Cass. n. 907/18).
La sua liquidazione avviene dunque in base a valutazione equitativa che tenga conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti e di ogni ulteriore circostanza allegata (cfr. Cass. Sez. 3, 11/11/2003, n. 16946; Cass. Sez. 3, 06/09/2012 n. 14931).
Giova richiamare, inoltre, la lettura costituzionalmente orientata data dalle Sezioni Unite in tema di presupposti e contenuti del risarcimento del danno non patrimoniale attraverso la quale, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, è stata estesa la tutela ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione e, per effetto di tale estensione, è stata ricondotta nell'ambito dell'art. 2059 c.c., anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2,29 e 30 Cost.); ciò con la precisazione che il danno non patrimoniale da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto consiste nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito della irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse protetto. Tanto precisato, le SSUU hanno altresì ribadito che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, non potendo condividersi la tesi che trattasi di danno in re ipsa, sicchè dovrà al riguardo farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva (Cass. Sez. U. 11/11/2008, n. 26972).
Infine, è stato sottolineato che ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno subito a causa della uccisione di un prossimo congiunto non hanno rilievo le qualificazioni adoperate dagli interessati, ma è necessario che il pregiudizio venga compiutamente descritto e che ne vengano allegati e provati gli elementi costitutivi (Cass. Sez. 3 17/07/2012, n. 12236).
Il Tribunale quindi ritiene non più condivisibile il principio enunciato da Cass. Sez. 3 n. 16/03/2012, n. 4253 : "nel caso di morte di un congiunto legato da uno strettissimo legame parentale o di coniugio come può essere il genitore, il coniuge ed il figlio o il fratello il danno dovuto alla perdita del congiunto è presunto dovendosi ritenere che nella ordinarietà delle relazioni umane, i parenti stretti sono fra loro legati da vincoli di reciproco affetto e solidarietà in quanto facenti parte dello stesso nucleo familiare...nel caso di specie ricorre tale figura poiché la vittima era figlio, fratello e coniuge degli appellati i quali, quindi, non erano onerati di fornire la prova di relazioni di convivenza o di vicendevole affetto e frequentazione".
Queste affermazioni non sono infatti in linea con i principi sopra richiamati tenuto conto che la possibilità di provare per presunzioni non esonera chi lamenta un danno e ne chiede il risarcimento da darne concreta allegazione e prova. Sarebbe, infatti, erroneo ritenere che il danno sia in re ipsa affermando in modo assertivo che dovesse spettare ai "parenti stretti" secondo il criterio presuntivo provvedendo sulla base dei criteri tabellari in uso a liquidare in maniera indiscriminata la medesima somma in favore di ciascuno dei congiunti in base al mero rapporto di parentela.
Quanto al criterio di liquidazione del danno, deve aderirsi in questa sede al recentissimo orientamento della Suprema Corte di Cassazione, la quale, proprio per sopperire al rischio di sperequazioni in sede di giudizi di merito ed al fine di garantire un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ha ritenuto idonea una tabella basata sul sistema a punti (sistema adottato dalle Tabelle predisposte dal Tribunale di Roma), che preveda, oltre l'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella (cfr. Cassazione Ordinanza 23 giugno 2022, n. 20292).
Ciò premesso, nella specie le attrici deducono la rottura del rapporto di unione familiare a seguito dell'evento per cui causa, e danni a vario titolo sofferti.
Alla luce dell'esame della documentazione versata in atti, nonché in considerazione del complessivo svolgersi dei fatti di causa, facendo ricorso, nei limiti di legge, ad elementi presuntivi che depongano per la fondatezza della domanda (sempre nei limiti di quanto allegato dagli attori), in linea con la giurisprudenza prevalente (cfr. Cass. Civ., Sez. III, Sent. 11200/2019 che cita espressamente altri orientamenti dello stesso segno quali Cass. Civ. Sez. III, n° 1410/2011 e n° 16018/2018, nonchè ancora Cass. Civ. SSUU, Sent. 26972/2008), dovrà dunque tenersi conto, nel caso di specie: (i) dell'età delle parti e del deceduto; (ii) dell'età media dei soggetti di sesso maschile secondo gli indici ISTAT relative all'anno 2013; (iii) dell'intensità del vincolo familiare (nei limiti di quanto allegato e provato); (iv) della eventuale situazione di convivenza, della consistenza più o meno ampia del nucleo familiare (e conseguentemente della residualità affettiva in capo ad ogni superstite); (v) delle abitudini di vita, dell'età della vittima e dei singoli superstiti.
Sulla base di tali parametri il Tribunale riconosce alla vedova la somma di Euro 230.000 ed alle figlie circa Euro 120.000 ciascuna.
© avvocaticollegati.it