Prendiamo spunto dalla sentenza del Tribunale Civile di Terni, numero 60 del 14 gennaio 2022, per parlare del caso in cui un paziente non viene adeguatamente curato, né dai medici del primo ospedale in cui accede, né da quelli dell’ospedale in cui viene inviato, con conseguente decesso addebitabile ad entrambe le strutture sanitarie.
Il caso è quello del passaggio di consegne tra equipe mediche, in cui entrambe devono ritenersi responsabili laddove non si siano coordinate o siano entrambe incorse in azioni o omissioni che abbiano contribuito al decesso del paziente.
Handover: passaggio di consegne fra equipe medico assistenziali
Il passaggio di consegne (handover) è definibile come il trasferimento di responsabilità e del ruolo di referente per alcuni aspetti o per l’interezza della cura di un paziente o di un gruppo di pazienti, da una fase ad un’altra del percorso di cura, da un professionista o da una equipe medica all’altra su base temporanea o permanente.
Nei sistemi sanitari i trasferimenti dei pazienti fra diversi setting sono molto frequenti. E più team si prendono cura di uno stesso paziente perchè la complessità delle cure è aumentata.
Conseguentemente il passaggio di consegne è divenuto più frequente e costituisce un momento di rischio per la sicurezza del pazienti.
E i problemi legati alla comunicazione sono la causa radice della maggior parte dei casi di malasanità: il passaggio di consegne è un processo comunicativo e come tale prevede la relazione fra differenti attori sociali in un terreno comune di riferimento.
Nel contesto sanitario gli attori sono definibili come l’unità operativa/setting ricevente e l’unità operativa/setting di origine.
L’unità di origine trasferisce le informazioni, il ruolo di referente e di responsabile per la cura del paziente all’unità ricevente.
L’handover sicuro ed efficace avviene attraverso l’impiego di uno schema comunicativo condiviso strutturato ed aggiornato dagli operatori dei setting assistenziali mediante progetti locali che facilitano ed incoraggiano l’integrazione fra i percorsi e la sicurezza del paziente.
Per questo i protocolli sanitari raccomandano l’impiego di più modalità di comunicazione diversificate che insieme garantiscano la ridondanza del messaggio (es. comunicazione scritta, orale e faccia-a-faccia).
Il caso: omessa diagnosi di insufficienza aortica e decesso del paziente
Con atto di citazione ritualmente notificato alla parte convenuta gli attori Pa. Du., Pa. Ma., Cr. Ec., Ap. An., Ca. Ma., Co. Ol., nella qualità i primi due di genitori e le altre quattro di sorelle di Pa. Fl., nato il –omissis–, chiedevano la condanna al risarcimento per i danni asseritamente subiti a seguito del decesso di quest’ultimo, esponendo quanto segue:
– Pa. Fl. decedeva in data 17 gennaio 2013 alle ore 17,40 presso l’Ospedale Santa Maria di Terni ove si trovava ricoverato a seguito di trasferimento dagli ospedali di Amelia e di Narni;
– in data 16 gennaio 2013, Pa. Fl., alle ore 20,00 circa, fu accompagnato presso il Pronto Soccorso del Presidio ospedaliero di Amelia per un profondo malessere caratterizzato da dolori addominali, in sede anamnestica, veniva riportato: ‘riferita ipertensione arteriosa. Problemi valvolari che il paziente non sa precisare. Insufficienza aortica. Coartazione aortica’, malgrado la riportata anamnesi, confermata dalle dichiarazioni del Pa., non veniva eseguito alcun accertamento specifico per problemi cardiaci;
– alle ore 22.30 del 16 gennaio 2013 il Pa. venne trasferito al Presidio Ospedaliero Territoriale di Narni, nel quale sarebbero stati posti in essere, secondo le allegazioni di parte attrice, una serie di grossolani errori diagnostici, non praticando al paziente le cure che avrebbero impedito la progressione della patologia verso l’esito letale;
– dopo lunghe ore trascorse presso l’ospedale di Narni ed a seguito dell’ematemesi massiva che colpì il Pa. alle ore 15,15 del 17/01/2013, quest’ultimo fu nuovamente trasferito all’Ospedale di Terni ove morì alle ore 17,40 dello stesso giorno, a causa di ‘Shock emorragico in paziente con fistola aorto-esofagea secondaria e perforazione di aneurisma metastenotico post-coartazione’.
Tanto premesso in fatto, gli attori hanno allegato la violazione da parte dei medici della ASL Umbria 2, in particolare degli Ospedali di Amelia e Narni, delle regole della corretta scienza medica, lamentando negligenza e imperizia nel percorso diagnostico e terapeutico del de cuius, con violazione delle regole di condotta contenute nelle linee guida della Società Italiana ecografia cardiovascolare.
In particolare, quanto alla condotta dei sanitari del Pronto Soccorso di Amelia, gli attori hanno lamentato: la mancata valorizzazione del dato relativo al marcato stato ipertensivo del soggetto, anche in considerazione della giovane età (25 anni); errori nella esecuzione dell’esame obiettivo non avendo i sanitari rilevato che il paziente al momento dell’accesso in Pronto Soccorso era portatore di insufficienza aortica non considerando oltre ai dati obiettivi le dichiarazioni del paziente che aveva segnalato la presenza di pregressi problemi cardiaci; errore nella scelta della struttura verso la quale trasferire il paziente indirizzato alla Divisione di Medicina dell’Ospedale di Narni, mentre avrebbe dovuto essere trasferito, per la gravità dei sintomi, presso struttura di II livello.
Con riferimento alle prestazioni ricevute presso la Divisione di Medicina dell’Ospedale di Narni gli attori hanno lamentato: errori nella raccolta dell’anamnesi per non avere i sanitari valutato adeguatamente quanto dichiarato dal paziente in merito a pregresse patologie cardiache; superficialità nell’esecuzione del primo esame obiettivo; negligenza ed omissioni nell’esecuzione degli esami diagnostici; omessa visita del paziente a fronte dei forti dolori addominali dallo stesso lamentati; grossolani errori nella esecuzione dell’esame obiettivo del giorno successivo al ricovero e nella interpretazione degli esami diagnostici; grave omissione nel non richiedere un accertamento ecocardiografico urgente e nel non trasferire il paziente in struttura sanitaria di secondo livello.
Rilevando l’esistenza di un nesso di causalità tra le condotte negligenti e le omissioni evidenziate e l’evento morte, con possibilità di ravvisare il presupposto del ‘più probabile che non’ , affermando che un’esatta diagnosi e corretti e tempestivi interventi avrebbero potuto scongiurare il rischio del verificarsi del decesso e che, pertanto, le condotte tenute dai sanitari durante il periodo di degenza sarebbero state la causa della perdita di chances di sopravvivenza del paziente, come evidenziato dalla perizia medico legale di parte, gli attori hanno chiesto la condanna della parte convenuta al risarcimento dei danni.
Una prima Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) nega responsabilità mediche
Nella prima CTU i consulenti, rispondendo al quesito che chiedeva di verificare la correttezza della diagnosi, specificando se vi fossero stati errori od omissioni e in caso rilevazione di un errore diagnostico se vi fosse stato nesso di causalità tra evento morte ed errore e/o ritardo nella prospettazione nella diagnostica differenziale, e se l’errore e/o ritardo nella prospettazione nella diagnostica differenziale avesse comportato la perdita per il paziente della ‘chances’ di vivere per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello poi effettivamente vissuto, hanno concluso ritenendo che ‘al momento degli avvenimenti descritti non vi era alcun elemento che potesse indirizzare i Sanitari verso la diagnosi della patologia toracica urgente, che è poi stata la causa dell’exitus per cui si ritiene non censurabile il loro comportamento’.
I consulenti, nella prima CTU, hanno affermato che ‘durante tutti i ricoveri (Cagliari e Terni) cui il paziente è stato sottoposto, non è mai stata effettuata diagnosi di aneurisma toracico, né è mai stata valutata la coartazione aortica, nominata solo in una breve nota presso il Primo Soccorso di Amelia …..In conclusione, noi riteniamo che l’aneurisma del Sig. Pa. riconosca l’origine in una dilatazione post-stenotica, causata dalla coartazione aortica, successivamente colonizzata ed evoluta in una fistola aorto-esofagea. Questa condizione clinica ne ha condizionato un comportamento rapido ed anomalo…. Gli stessi sanitari che hanno assistito il paziente nella fase finale della vicenda clinica, avevano in mente una patologia addominale. Infatti il primo sospetto di un qualcosa non di origine addominale è apparso solo all’esofagogastroscopia eseguita presso l’Ospedale ternano alle h.17.24 del 17.01.2013…. In sostanza va segnalato come in nessun momento è mai comparso un singolo elemento che potesse far pensare ad una patologia acuta a carico dell’aorta toracica….. Vanno infine analizzati gli altri aspetti messi in luce dall’esame autoptico. In particolare è opportuno menzionare l’infarto intestinale. … Non esiste, purtroppo, una sintomatologia tipica né dei segni clinico strumentali in grado di consentire una diagnosi precoce’.
Quanto alla formulazione della diagnosi nella prima CTU si legge: ‘Dalla complessità del quadro clinico descritto, si evince come la diagnosi ed il successivo comportamento terapeutico abbiano rappresentato una grande difficoltà per i Sanitari coinvolti, a vario titolo, nella gestione del sig. Pa….. In questo primo, breve soggiorno presso l’Ospedale territoriale di Amelia, si vede come il paziente sia stato trattato come un malato con dolori addominali che non presentava sintomatologia con caratteri di urgenza, ma da ricoverare per inquadrare con successive indagini’.
Per la prima CTU ‘è importante notare, per come si sono svolti successivamente gli avvenimenti, che nella cartella clinica non vi è mai accenno di dolore toracico. Una volta ricoverato all’Ospedale di Narni, alle 22.22 del 16.01.2013, l’orientamento diagnostico del medico di reparto è Dolori addominali’.
Inoltre: ‘anche in questo ricovero, l’orientamento dei Sanitari è stato quello di procedere ad una più approfondita ricerca di una patologia addominale Se noi valutiamo gli avvenimenti con criterio ‘ex ante’, in effetti tutti gli elementi presenti indirizzavano verso una patologia addominale. In nessuna circostanza si è mai presentato un dolore toracico o toraco-addominale. Le indagini radiologiche eseguite non hanno mai posto il sospetto della presenza di un aneurisma dell’aorta toracica. Era presente febbricola ed un aumento dei globuli bianchi, elementi che non possono essere riconducibili alla presenza di un aneurisma toracico in fase di rottura. Il paziente non presentava caratteri d’urgenza, ed il sospetto di patologia intestinale, ci sembra che era dal punto di vista clinico, ben fondato. D’altra parte la rottura di un aneurisma toracico senza dolore, in maniera rapida ed improvvisa, come nel caso di specie, è evenienza sicuramente eccezionale e ben si spiega con una genesi infettiva….’.
Da tutte queste considerazioni il primo collegio peritale rileva: ‘possiamo concludere che al momento degli avvenimenti descritti non vi era alcun elemento che potesse indirizzare i Sanitari verso una patologia toracica urgente, che è poi stata la causa dell’exitus’.
In definitiva, sempre secondo la prima CTU, non vi erano elementi clinici che indirizzassero verso una patologia toracica, ma tutti gli elementi a disposizione suggerivano una qualche forma di sofferenza intestinale. Anche se si fosse proceduto con una valutazione Tac prima della rottura aortica, i curanti si sarebbero trovati ad affrontare una seria difficoltà nel decidere quale delle due patologie, entrambe potenzialmente mortali, affrontare per prima.
Analizzando le alternative terapeutiche percorribile nell’ipotesi in cui fosse stata formulata la corretta diagnosi nella prima consulenza, i CCTTUU hanno affermato: ‘si sarebbe dovuto procedere a più interventi complessi successivi, gravati ciascuno da altissima mortalità, in un paziente peraltro settico, con uno stato tossico, e nutrito per via parenterale protratta, con le note conseguenze dismetaboliche…Come si vede da questa breve descrizione degli interventi che il sig. Pa. avrebbe dovuto subire, le concrete prospettive di sopravvivenza, anche se operato prima della rottura dell’aneurisma, sarebbero state estremamente remote.’
I familiari della vittima contestano la prima CTU
Le conclusioni della prima CCTTUU sono state oggetto di critiche da parte dei CCTTPP e della difesa degli attori che hanno lamentato la mancata risposta ai quesiti sottoposti, e in particolare hanno contestato la conclusione relativa alla correttezza della diagnosi contestando i presupposti a monte di tale conclusione nella parte in cui nella consulenza si afferma ”…in nessuno degli atti sanitari esaminati viene mai riportata la presenza di dolore toracico…‘, laddove al contrario il paziente in sede di accesso al Pronto soccorso del nosocomio di Amelia aveva riferito di un dolore che proveniva dalla sede toracico-addominale e di pregresse diagnosi di cardiopatie e rilevando come l’esecuzione tempestiva di esami diagnostici molto semplici (‘semplice Rx torace’ e dunque affrontabile), tendenti ad accertare patologie aortico-toraciche avrebbe consentito intervento tempestivo, in primo luogo indirizzando il paziente verso un centro ospedaliero di secondo livello.
I CCTTPP hanno inoltre contestato l’affermazione dei CCTTUU nella parte in cui è stato sostenuto che ‘il rischio di decesso sarebbe stato elevatissimo nell’ordine dell’80-90%…Il trattamento chirurgico della lesione dell’aneurisma aortico sarebbe stato molto complesso ed elevatissimo rischio di insuccesso visto lo stato infettivo…‘.
Conclusione ritenuta apodittica perché non sostenuta da riferimenti bibliografici e comunque non idonea a far ravvisare l’assenza di responsabilità in capo ai sanitari in quanto un corretto intervento, avrebbe lasciato statisticamente anche applicando i non condivisi riferimenti dei CCTTUU, un 15% di possibilità di sopravvivenza al paziente.
I CCTTPP di parte attrici hanno concluso come segue: ‘Se la patologia aortica fosse stata tempestivamente diagnosticata (eseguendo la TC già presso l’Ospedale di Narni), si sarebbe potuto effettuare prontamente, mediante trasferimento del paziente già dalla sera del 16.01.2013 presso il vicino Ospedale di Terni, un intervento cardiochirurgico salvavita (effettuabile anche in presenza di infezione batterica, come avviene quotidianamente nei centri di cardiochirurgia senza alterare significativamente la sopravvivenza media) grazie al quale il Sig. Pa. avrebbe avuto altissime possibilità di sopravvivenza (>80%) e di guarigione’. Dunque, possiamo concludere che, nel caso in esame, con elevata probabilità l’evento morte non si sarebbe verificato, qualora fosse stata praticata la condotta in tesi omessa’.
Il Tribunale dispone una seconda CTU che da ragione ai familiari
In accoglimento, della richiesta della parte attrice il Tribunale ha proceduto alla rinnovazione della CTU, nominando diverso collegio peritale che ha concluso come segue.
– sull’errore nella diagnosi: ‘La diagnosi, sia presso il Pronto Soccorso Di Amelia che di Narni, non è stata né corretta, né tempestiva’; ‘i dati clinici a disposizione dei sanitari, in particolare l’anamnesi unitamente al riscontro della grave ipertensione, non erano di difficile interpretazione.‘;
– sulla sussistenza del nesso causale tra errore diagnostico, mancati corretti interventi e evento: ‘Il grande ritardo, 20 ore circa, nella prospettazione diagnostica è in rapporto causale con l’evento morte.’
– con riferimento alla c.d. perdita per il paziente della “chance” di vivere per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello poi effettivamente vissuto ‘Certamente la mancata diagnosi della patologia in essere, ha comportato la possibilità per il paziente di vivere un periodo di tempo più lungo rispetto a quello effettivamente vissuto.’
Il Tribunale ritiene più corretto l’esame del caso clinico effettuato dal secondo collegio peritale per i motivi che seguono.
Dall’esame delle valutazioni contenute nelle due CTU disposte nel corso dei giudizio si desume che, mentre la prima CTU non ha spiegato le ragioni per le quali, pur in presenza di precisa anamnesi in merito a problemi cardiaci e alla rilevazione di elevata ipertensione (definita nella seconda CCTTUU di grado severo), i medici di entrambi gli ospedali non abbiamo compiuto alcun accertamento specifico e non abbiano neppure considerato una diagnosi differenziale. Al contrario nella seconda CCTTU tali aspetti sono approfonditi e con accurata spiegazione degli interventi terapeutici e chirurgici possibili una volta individuata la rilevata la patologia da cui era affetto il paziente.
Parimenti, a fronte della affermazione contenuta nella prima CCTTUU che l’evento morte si sarebbe prodotto anche in presenza di corretta diagnosi per la complessità degli interventi chirurgici ai quali avrebbe dovuto essere sottoposto il paziente con elevatissima probabilità di esiti infausti, senza che tali affermazioni siano state sostenute con riferimento a congrua letteratura specialistica, nella seconda CCTTUU questi riferimenti sono presenti e copiosi e non sono stati efficacemente contestati dai consulenti di parte convenuta.
Risarcimento iure haereditatis del danno “catastrofale”
Accertato per quanto sopra esposto il nesso causale tra la morte di Pa. Fl. e gli errori colposi commessi dai sanitari dell’Ospedale di Amelia e di Narni, cui consegue l’accertamento della responsabilità dei sanitari dell’Azienda convenuta, il Tribunale quantifica i danni prodotti.
Gli attori hanno chiesto il risarcimento iure haereditatis dei danni che si sarebbero prodotti nella sfera giuridica del de cuius nel lasso di tempo intercorso tra il ricovero e l’evento morte, evidenziando la responsabilità contrattuale della parte convenuta con la quale il Pa. aveva concluso un contratto di spedalità.
Preliminarmente il Tribunale scrive che deve rilevarsi come non possa essere risarcito il ‘danno da perdita della vita’, essendo il bene ‘vita’, nella disponibilità del solo titolare dello stesso ed insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, mancherebbe pertanto in capo agli odierni attori la legittimazione a far valere il credito risarcitorio (v. Cass., SS.UU., 15350/2015, ‘La vita è un bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure haereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo’, e da ultimo Cass. 13261/2020).
Secondo consolidata giurisprudenza può essere, invece, risarcito iure haereditatis il danno non patrimoniale identificato (ferma la unitarietà del danno non patrimoniale e utilizzando le definizioni che seguono solo a livello definitorio):
– nel c.d. danno biologico terminale definito come ‘Quel pregiudizio che si verifica tutte le volte in cui ‘tra la lesione e la morte si interponga un apprezzabile lasso di tempo’ (…) ‘tale periodo giustifica il riconoscimento, in favore del danneggiato, del c.d. danno biologico terminale, cioè il danno biologico stricto sensu (ovvero danno al bene salute)‘;
– nel danno c.d. catastrofale (o danno Morale Terminale) definito come ‘il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall’avvertita imminenza dell’exitus, se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di “lucidità agonica”‘ in questo caso è ‘irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale e il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta “manifestamente lucida”.
Applicando la più recente giurisprudenza di legittimità (per tutte Cass. civ. n. 18056/2019) elementi per ritenere la sussistenza:
– del danno biologico terminale sono: sussistenza di un lasso di tempo significativo tra l’evento dannoso e la morte; fondamento medico legale; forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità; sussistenza anche quando la vittima sia stata incosciente;
– del danno catastrofale sono: è ravvisabile anche se non sussiste un lasso di tempo rilevante; non ha fondamento medico legale; consiste in un moto dell’animo; sussiste solo quando la vittima sia stata cosciente e consapevole.
Ebbene, secondo il Tribunale, nella specie il breve lasso di tempo intercorso tra il ricovero del Pa. e l’evento morte (meno di un giorno dalle ore 20,00 del 16 gennaio 2013 quando il paziente faceva ingresso nel Pronto Soccorso dell’Ospedale di Amelia fino alle ore 17,40 quando sopraggiungeva il decesso) impedisce di ritenere risarcibile il c.d. danno biologico terminale, in quanto il danno alla salute da invalidità temporanea si apprezza in giorni, e non in frazioni di giorni.
Al contrario sussistono i presupposti per la liquidazione del canno c.d. catastrofale, essendo provato che il Pa. ha avuto coscienza e percezione della sofferenza e dell’imminente evento letale. Infatti, dalle riportare cartelle cliniche si evince che il Pa. era vigile sia durante la permanenza nel Pronto Soccorso di Amelia, sia durante il ricovero in Narni (quando ha avuto un prima crisi superata con gli interventi sanitari ma perfettamente percepita essendo svenuto in bagno). Era inoltre vigile nel corso del trasporto di urgenza all’Ospedale di Terni avendo parlato in ambulanza con il medico, ed essendo indicato come cosciente dal medico rianimatore poco prima del decesso in sala tac (cfr. quanto sopra riportato).
La liquidazione viene effettuata utilizzando i valori equitativi che per non essere arbitrari devono essere ancorati agli indici indicati nelle apposite tabelle elaborate in materia.
In particolare, le tabelle in uso presso il Tribunale di Roma (alle quali il Tribunale di Terni si riporta) indicano per la liquidazione del danno c.d. catastrofale nel caso di decesso senza che i postumi si siano stabilizzati, un importo pari ad E 10.000 per ogni giorno di sopravvivenza dopo la acquisizione della consapevolezza della concreta probabilità del decesso fino a 5.
Ancorando la liquidazione a tale parametro equitativo tenendo conte delle circostanze del caso concreto e valutando che il de cuius secondo quanto emerge dalla lettura delle cartelle cliniche riportate ha presumibilmente avuto percezione dell’imminenza della morte nella fase finale del ricovero (svenimento, sanguinamento, rianimazione, trasferimento d’urgenza all’Ospedale di Terni) si ritiene equo determinare un importo totale di E 10.000 (oltre interessi come di seguito indicati).
Risarcimento iure proprio ai familiari del “danno parentale”
Quanto al danno non patrimoniale iure proprio richiesto dagli attori, il c.d. danno parentale, tale danno ha il fondamento nel danno direttamente sopportato dai prossimi congiunti per la perdita del loro caro, dovendo ravvisarsi in tale evento la lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona (art.. 2,29 e 30 Cost.). E’ riconducibile a tale categoria di danno la lesione del rapporto parentale intercorrente con il prossimo congiunto deceduto.
Trattandosi di danno conseguenza è necessario accertare la prova del danno, anche applicando criteri presuntivi, nelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, non risulti un particolare atteggiarsi del concreto assetto dei rapporti intercorrenti prima della morte tra vittima e congiunto, e sempre che non emergano elementi da cui desumere la sussistenza di contrasti e dissapori tra defunto e congiunti.
In applicazione di criteri presuntivi, secondo l’id quod plerumque accidit, potrà riconoscersi la lesione del rapporto e, quindi, l’invocato risarcimento ai congiunti più prossimi, tra i quali sicuramente devono essere compresi i genitori e le sorelle. Pertanto, in caso di morte, il prossimo congiunto che chieda il risarcimento della voce di danno in esame sarà tenuto ad allegare e provare il pregiudizio patito in conseguenza della lesione del rapporto parentale, potendo i congiunti più stretti usufruire, come detto, delle semplificazioni probatorie fondate su massime di esperienza.
Nel caso di specie essendo gli attori genitori e sorelle del defunto possono essere applicate le richiamate presunzioni; è inoltre incontestato che nessuno degli attori risultava convivente al momento dell’evento dannoso, ed anzi risulta dagli atti che il defunto si era trasferito da tempo in Italia (come indicato nella narrativa degli stessi atti della parte attrice).
Per costanze giurisprudenza il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale non è previsto per i soli familiari conviventi, poiché il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio finalizzato a provare l’intensità del legame, non può essere considerato elemento di prova della mancanza del legame in assenza di convivenza (v. di recente Cass. 24689/2020).
La liquidazione del danno viene effettuata in applicazione dei parametri contenuti nelle tabelle del Tribunale di Roma che danno i seguenti risultati:
– E 180.000,00 per ciascuno dei genitori (importo calcolato considerando l’età della vittima 25 anni, l’età media dei due genitori 58 anni padre 61 madre 55 grado di parentela, pervenendo così ad importo massimo liquidabile di E 264.780,90, importo da ridurre nei termini indicati in considerazione della mancanza di convivenza da lungo tempo e della presenza di altri familiari e valutando altresì a livello di ulteriore elemento di personalizzazione la congenita situazione di salute del de cuius, e la resistenza a seguire le cure);
– E 90.000 per ciascuna delle sorelle (importo calcolato considerando l’età della vittima 25 anni, l’età media delle sorelle arrotondata per eccesso – 27, 30, 34, 35 età considerata nel calcolo 32 grado di parentela pervenendo così ad importo massimo liquidabile di E 175.520,60, importo da ridurre, in misura percentuale maggiore rispetto alla riduzione applicata ai genitori non essendo stata data prova della convivenza con le sorelle nel periodo pregresso all’arrivo in Italia, e considerati gli altri elementi già richiamati per la liquidazione del danno subito dai genitori).
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2 Comments
Buonasera vorrei sapere se potete farmi una perizia per un caso che riguarda mia madre. Si tratta di problemi cardiaci che secondo me non sono stati curati e che hanno fatto morire mia madre nel 2018. Mi chiamo Alessandro e scrivo da Venezia. Grazie!
Caro Alessandro, il termine per una eventuale richiesta risarcitoria, laddove ci sia stata colpa medica, è di 5 anni, per cui dovrebbe essere più preciso sulla data del decesso. Ci chiami pure per una valutazione del caso senza spese a suo carico. Saluti