Il Tribunale di Lucca ha emesso la sentenza n. 757 del 3 settembre 2021 con cui ha riconosciuto un risarcimento di più di 130mila euro a una donna vittima di errato intervento chirurgico di asportazione di polipo intestinale.
Il polipo intestinale
Il polipo è un rigonfiamento anomalo di tessuto che si forma sulla mucosa di un organo, e può crescere su diverse parti del corpo: naso, orecchio, laringe, esofago, stomaco, intestino, vescica, cervice e utero.
Per quanto riguarda quelli intestinali, essi sono più rari nell’intestino tenue e più frequenti nel colon.
I polipi intestinali non provocano sintomi e spesso vengono scoperti casualmente.
I polipi intestinali sono principalmente di origine benigna ma, con il passare del tempo, alcuni tipi possono evolvere in una forma maligna, soprattutto quelli del colon.
Per queste caratteristiche è molto importante sottoporsi agli esami di controllo per il cancro del colon che comprendono sia la ricerca del sangue occulto nelle feci, sia la rettosigmoidoscopia.
La ricerca del sangue occulto nelle feci (in sigla SOF) è consigliata dal Ministero della Salute ogni due anni nelle persone tra i 50 e i 69 anni!
La ricostruzione dei fatti
Una donna ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Lucca la locale Azienda USL, per sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dei seguenti fatti:
– si era sottoposta ad una colonscopia di controllo, dalla quale era emersa l’esistenza di un polipo intestinale e, di conseguenza, era stata sottoposta ad un intervento chirurgico di asportazione del polipo;
– i medici avevano ritenuto di procedere ad una linfoadenectomia estesa e ad una resezione del retto e del sigma, secondo la tecnica chirurgica nota come Total Mesorectal Excision;
– tuttavia, secondo la paziente, da un lato i sanitari avevano errato nella scelta del tipo di trattamento, poiché, vista la natura benigna del polipo da asportare, non era necessario un intervento ampiamente demolitorio e che espone il paziente ad un maggior rischio di lesione neurologica, dall’altro avevano errato nella modalità concreta di esecuzione dell’intervento, che era stato praticato in difformità rispetto alla buona pratica clinica per quel tipo di operazione;
– il suddetto intervento aveva causato due gravi conseguenze, da ricondursi alla lesione intraoperatoria del nervo pudendo: la totale ritenzione urinaria per incapacità di minzione ed una grave incontinenza fecale, da cui era derivata l’installazione di un catetere urinario permanente ed una grave forma di depressione.
Lo svolgimento della causa
Il Tribunale ha ritenuto incontestato tra le parti che a seguito di una serie di accertamenti diagnostici, svolti per comparsa di sangue occulto nelle feci (colonscopia con esame istologico del prelievo bioptico, ecografia addome/ecografia transrettale, TC Total Body), la paziente è stata avviata a consulto multidisciplinare, a seguito del quale veniva formulata diagnosi di polipo del retto.
I sanitari hanno ritenuto che tale polipo del retto non fosse trattabile endoscopiscamente, ma fosse necessario un intervento chirurgico maggiormente invasivo, noto come Total Mesorectal Excision, poi praticato.
E’ altresì incontestato che la paziente ha regolarmente sottoscritto il modulo di consenso informato, nel quale sono stati esplicitati sia il tipo di intervento che le possibili complicanze, tra le quali figurano occlusioni intestinali e disturbi urologici o della sfera sessuale, con necessità di posizionamento di catetere vescicale.
In causa, la difesa della donna ha ricollegato due conseguenze dannose al suddetto intervento: 1) la totale ritenzione urinaria per incapacità di minzione; 2) una grave incontinenza fecale.
Si tratta dunque di indagare se le disfunzionalità dalla quali è affetta la donna, che sono pacificamente di origine post-chirurgica, debbano qualificarsi come complicanze note della tipologia di intervento praticato, non riconducibile alla colpa dei sanitari, o se di contro possa ascriversi a questi una responsabilità sotto il profilo della scelta di intervento, valutando se vi fossero altre modalità, meno invasive, comunque idonee all’asportazione del polipo ed altresì sotto il profilo dell’esecuzione dell’intervento, nel rispetto delle buone pratiche e linee guida.
La Consulenza Tecnica d’Ufficio
In punto di ritenuta sussistenza della colpa dei sanitari, il Tribunale recepisce integralmente le conclusioni rassegnate dal Collegio peritale, che tengono puntualmente conto della documentazione versata in atti e delle rispettive prospettazioni delle parti e che sono intrinsecamente coerenti e congrui, evidenziando la correttezza metodologica dell’approccio seguito.
Per quanto concerne la scelta dell’intervento praticato, si è sottolineato che la Total Mesorecatal Excision non poteva considerarsi operazione chirurgica errata, poiché quello da asportare era un polipo circonferenziale ed esteso.
Di contro, seppur ritenendo che la Total Mesorectal Excision fosse adeguata, nelle modalità concrete di esecuzione dell’intervento in questione è risultata provata, all’esito dell’istruttoria espletata, la responsabilità dei sanitari, cui sono state ascritte le conseguenze dannose riscontrate.
Come evidenziato dal Collegio peritale, è vero che la disfunzionalità urinaria costituisce una complicanza nota del tipo di intervento praticato, di talché l’esito non può ritenersi del tutto anomalo, ma, appunto, quale possibile conseguenza iatrogena del tipo di trattamento.
Difatti, i danni funzionali (complicanze) derivanti da lesioni dei plessi pelvici possono essere disfunzioni intestinali, disfunzioni urinarie, disfunzioni sessuali e la ritenzione urinaria da paralisi neurogena della vescica rientra nelle disfunzioni urinarie.
Tuttavia, il collegio peritale, prospettando un’articolata ricostruzione delle linee guida e buone pratiche per la gestione della tipologia di trattamento, ha ben evidenziato che, proprio perché vi sono concreti rischi di lesione delle aree innervate, nel praticare la resezione in oggetto “l’operatore chirurgo colonrettale deve essere a conoscenza dei riferimenti anatomici e dei rischi di lesioni iatrogene durante la dissecazione, al fine di evitare danni ai nervi e deve operare con lo scopo dedicato di preservare la funzione dei nervi autonomi“.
Ciò premesso, ha rilevato il Collegio che “valutando la condotta dei sanitari, (…) nel caso della paziente non erano presenti fattori specifici che possano giustificare un aumentato rischio di lesione iatrogena delle strutture nervose e tali, dunque, da poter ritenere estranea sul piano causale la condotta dell’operatore rispetto al verificarsi del danno neurologico: la pelvi è quella femminile, meno a rischio perché più ampia, non si operava su un tumore esteso oltre la fascia, ma su un polipo con semplice sospetto di neoplasia maligna, non c’erano gli effetti della radioterapia etc.; pertanto, pur se la vescica neurogena è una complicanza descritta nella chirurgia rettale, il rischio in questo caso era particolarmente basso mentre l’entità del danno è molto grave (catetere a permanenza senza alcun recupero funzionale)“.
La condizione clinica complessiva della paziente, che non aveva particolari rischi specifici, dovuti ad altre e diverse condizioni patologiche pregresse, e nei riguardi della quale l’intervento poteva ritenersi riconducibile ad un rischio del tutto ordinario, non giustificano quindi l’esito infausto verificatosi, evento da ritenersi evitabile usando la normale diligenza e facendo adeguata applicazione delle buone pratiche e linee guida note per il tipo di trattamento.
Risarcimento del danno fisico e morale
Il Collegio peritale ha sottolineato che, “pur trattandosi di lesione nervosa instauratasi in maniera irreversibile sin dall’esecuzione dell’intervento chirurgico e considerando che un periodo di inabilità temporanea parziale sarebbe comunque conseguito all’esito favorevole dell’intervento chirurgico, si può considerare, quale ulteriore prolungamento dei tempi di stabilizzazione clinica, il periodo resosi necessario per l’esecuzione di accertamenti clinico-diagnostici di natura neuro-urologica ed il periodo di addestramento della paziente all’autocateterismo e di definitivo adattamento alla condizione di disfunzionalità vescicale, che è possibile quantificare in circa 6 mesi di DBT al 25%”, mentre ha ricondotto all’intervento, tenuto conto del caso concreto “un danno biologico permanente aderente alla soglia massima del range, cioè nella misura del 30% (trenta per cento)“.
Precisa altresì il Collegio che “tale stima percentuale tiene ovviamente conto di eventuali, ma assai probabili, turbamenti personali correlati ai disagi quotidiani imposti da tale menomazione, riverberantisi anche sul piano sociale e relazionale in senso stretto e pertanto tali da giustificare a nostro parere, una adeguata personalizzazione del danno biologico in fase risarcitoria”.
Nel caso di specie, quindi, il Collegio peritale afferma che il danno andrebbe adeguatamente personalizzato, in ragione dei turbamenti quotidiani e dell’incidenza sulla vita dinamico relazionale.
A ben vedere, tuttavia, secondo il Tribunale le conseguenze pregiudizievoli ulteriori rispetto a quelle fisiche, non giustificano tanto una personalizzazione, quanto il riconoscimento di un danno morale a titolo di ristoro della sofferenza patita.
Dunque, oltre al danno biologico, accertato mediante l’esperita consulenza medico legale, il Tribunale ritiene comprovato uno stato di sofferenza interiore della donna, per la particolare tipologia di conseguenze subite, che la costringono ad indossare un catetere urinario, che comportano una frequente minzione e che hanno necessariamente inciso sullo stato d’animo della medesima, provocando senz’altro uno stato di prostrazione e vergogna, al cui ristoro deve provvedersi.
Sicché, facendo riferimento alle Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, il Tribunale di Lucca ha riconosciuto alla donna un risarcimento di 134mila euro!
Un vecchio caso di omicidio per asportazione di polipo
Ricordiamo un vecchio caso di responsabilità medica trattato all’inizio degli anni ’90 dalla Corte di Assise di Firenze.
Si trattava di un caso di omicidio preterintenzionale, ai sensi dell’art. 584 c.p., commesso da un chirurgo che, effettuando su soggetto in età assai avanzata (83 anni), portatore solo di polipo rettale benigno recidivante, l’intervento (demolitore) di amputazione totale addominoperineale del retto, anziché quello, preventivo, di asportazione transanale dell’adenoma villoso.
Tale intervento avvenne senza alcuna necessità ed urgenza giustificatorie di sì grave e debilitante intervento, ed altresì senza notiziarne il paziente od i suoi familiari, che non erano stati nè interpellati, nè in alcun modo informati dell’entità e dei concreti rischi del più grave e devastante atto operatorio, e che avevano quindi prestato il consenso solo all’atto operatorio di semplice resezione transanale, loro proposto ed annunciato.
L’intervento aveva provocato al soggetto passivo lesioni definitive talmente gravi ed anche psicologicamente deleterie, da determinare, dopo qualche tempo, il decesso, preceduto peraltro da strazianti sofferenze e da penoso e sempre più decadente stato postoperatorio.
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4 Comments
Ho letto il vostro articolo e purtroppo mio padre ha avuto lo stesso tipo di problema e è morto. Vorrei sapere come posso procedere per richiedere il risarcimento dei danni. I fatti risalgono al 2021. Grazie e complimenti per il vostro lavoro
Cara Cristina, intanto la ringraziamo per i complimenti. Per quanto riguarda il caso di suo padre siamo ancora in tempo per chiedere il risarcimento, sia dei danni subiti da lui finchè è stato in vita, che dei familiari. Sarà opportuno che lei disponga della cartella clinica e ce la faccia avere (o telematicamente o recandosi presso uno dei nostri studi) in modo che i nostri consulenti medici legali possano darci un parere. Ci contatti pure telefonicamente per coordinarci
Ho subito un caso simile a quello che avete descritto. Vi contatto da Latina potete aiutarmi?
Buongiorno Nadia, può contattarci telefonicamente o tramite l’icona WhatsApp per fissare un appuntamento presso il nostro studio legale di Latina. Grazie