Segnaliamo l’ordinanza interlocutoria n. 32077 del 31.10.2022 con cui la Terza Sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della seguente questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale.
Trattasi della seguente questione: se l’accertamento, compiuto dalla Commissione medico-ospedaliera di cui all’art. 4 della l. n. 210 del 1992, circa la riconducibilità del contagio ad una emotrasfusione, con conseguente attribuzione dell’indennizzo ai sensi di detta legge, implichi, nel giudizio di risarcimento dei danni derivanti da emotrasfusioni promosso contro il Ministero della Salute, il riconoscimento, quale fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, del nesso causale tra la trasfusione e il contagio oppure se, al contrario, il verbale della citata Commissione formi piena prova esclusivamente in relazione ai fatti avvenuti in sua presenza ovvero dalla stessa compiuti, e non già con riguardo a valutazioni, diagnosi, manifestazioni di scienza o di opinione, costituenti materiale privo del valore di un vero e proprio accertamento e quindi soggetto al libero apprezzamento del giudice.
La Legge 210 del 1992 prevede un indennizzo (anche) per vittime di trasfusioni
Intanto è utile sapere che la Legge 210 del 1992 prevede un indennizzo per i danneggiati in modo irreversibile da vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati infetti.
La competenza a decidere sull’indennizzo è di competenza delle Regioni, che provvedono a far visitare il richiedente da apposita Commissione Medica Ospedaliera ed a liquidare l’indennizzo mensile e gli arretrati spettanti ai soggetti danneggiati o ai loro eredi.
Per la sola regione Sicilia è prevista la competenza del Ministero della Salute.
La procedura per ottenere l’indennizzo
Chi ritiene di aver subito danni irreversibili da trasfusioni deve per prima cosa presentare la domanda di indennizzo all’Azienda Sanitaria di residenza.
L’Azienda Sanitaria svolgerà una verifica preliminare di tutta la documentazione presentata e la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per presentare la domanda.
Dopodichè il caso sarà trasmesso alla Commissione Medica Ospedaliera che convocherà il richiedente per una visita e/o esame delle carte, al fine di redigere un verbale contenente il giudizio che invia all’Azienda Sanitaria.
Il verbale della Commissione viene anche notificato all’interessato.
Si segnala che il termine per la presentazione della domanda per i soggetti danneggiati da trasfusione o somministrazione di emoderivati è di tre anni, che decorrono dal momento in cui, sulla base della documentazione presentata, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno.
L’ordinanza interlocutoria
Riportiamo il testo integrale dell’ordinanza interlocutoria n. 32077 del 31.10.2022 della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione.
Con atto di citazione notificato il 26 ottobre 2007 L.M. conveniva davanti al Tribunale di Roma il Ministero della Salute e la Casa di Cura Anna-Policlinico della Città di Pomezia S.r.l., struttura privata convenzionata, esponendo di essere stato ricoverato, in conseguenza di incidente stradale, dal 6 maggio al 7 giugno 1988 presso la convenuta casa di cura, ove aveva ricevuto un intervento chirurgico in relazione al quale era stato sottoposto a emotrasfusione; nel settembre del 2004, poi, avrebbe appreso di essere affetto dal virus HIV; il 16 marzo 2005 aveva chiesto il riconoscimento del proprio stato invalidante e con verbale del 15 settembre 2005 la Commissione Medica di I Istanza di Roma glielo aveva riconosciuto al 100% L. n. 118 del 1971, ex artt. 2 e 12; il 24 aprile 2007 aveva presentato domanda di indennizzo in forza della L. n. 210 del 1992, accolta a seguito di verbale della C.M.O. del 1 aprile 2008.
Chiedeva quindi che fosse accertato che egli aveva subito danni riconducibili a un comportamento colposo, solidale e/o individuale dei convenuti, con conseguente condanna, in via solidale e/o alternativa, al risarcimento di tali danni, patrimoniali e non patrimoniali.
Si costituiva il Ministero della Salute, resistendo e, tra l’altro, negando la sussistenza del nesso causale tra l’emotrasfusione e la patologia.
Si costituiva anche Casa di Cura S. Anna, a sua volta resistendo e chiedendo altresì di essere manlevata da FIRS Italiana Assicurazioni S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa; quest’ultima pure si costituiva, eccependo il difetto di giurisdizione a favore del commissario liquidatore e comunque chiedendo il rigetto della domanda.
Durante l’istruttoria veniva disposta CTU, il cui esito escludeva la sussistenza di un nesso causale tra l’emotrasfusione e la patologia insorta.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 8172/2012, accertava la responsabilità del Ministero “per la commissione di fatti ed atti illeciti, ai sensi dell’art. 2043 c.c., nella raccolta e distribuzione a scopo trasfusionale del prodotto costituito dalla unità di sangue n. 900 somministrato al paziente.. produttivi del danno biologico irreversibile accertato e derivato dalla trasmissione del virus HIV”, condannandolo a risarcire all’attore i “danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali” come sarebbe stato determinato ne prosieguo del giudizio; rigettava la domanda attorea nei confronti di Casa di Cura S. Anna e dichiarava non esaminabile la domanda di questa nei confronti della chiamata compagnia assicuratrice in liquidazione coatta amministrativa; rimetteva le statuizioni sulle spese alla sentenza definitiva nei confronti del Ministero, compensandole negli altri rapporti processuali.
Rimessa dunque in istruttoria la causa per quantificare i danni, veniva disposta ulteriore CTU, e con sentenza definitiva n. 5260/2013 il Tribunale condannava il Ministero a risarcire l’attore per i danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali nella misura, comprensiva di rivalutazione ed interessi, di Euro 651.994,82, oltre a rifondergli le spese processuali.
Il Ministero proponeva appello principale, cui resisteva il L. proponendo appello incidentale in relazione alla responsabilità di Casa di Cura S. Anna e ad una superiore determinazione dell’importo risarcitorio. Casa di Cura S. Anna si costituiva, resistendo all’appello incidentale e insistendo in subordine nella domanda di garanzia. Si costituiva altresì resistendo FIRST Italiana Assicurazioni L.C.A..
Nelle more del giudizio, il 15 marzo 2017 L.M. decedeva; il 17 novembre 2017 si costituivano gli eredi Giuseppe P., L.G., L.M.L. e L.F., chiedendo il rigetto dell’appello principale e insistendo nell’appello incidentale.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 13 maggio 2019, rigettava l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale nei confronti del Ministero, condannava quest’ultimo a corrispondere una somma risarcitoria superiore, cioè Euro 926.688,62 oltre accessori; condannava altresì il Ministero a rifondere le spese “agli appellati”, dichiarava inammissibile l’appello incidentale nei confronti di Casa di Cura S. Anna e compensava le spese per tutti gli altri rapporti processuali.
Il Ministero ha presentato ricorso, articolato in tre motivi; dapprima chiamata in un ruolo camerale, a seguito di ordinanza interlocutoria del 24 giugno 2022 la causa è stata rimessa in pubblica udienza, e discussa dal Procuratore Generale – che, come da precedente memoria del 15 settembre 2022, ha chiesto l’accoglimento del ricorso nel primo motivo, assorbiti il secondo il terzo e respinto il quarto -, dal ricorrente nonché dai resistenti eredi di L.M..
Considerato che:
1. uno nuovo
Va preliminarmente rilevato che con comparsa del 12 dicembre 2019, quale difensore degli eredi di L.M., l’avvocato Paola Calvano ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per nullità della sua notifica – dagli atti risultante avvenuta il 12 giugno 2019 -, che sarebbe stata effettuata nei suoi confronti durante sospensione dall’attività forense; l’eccezione è stata ribadita dai nuovi difensori del solo P. nella loro posteriore comparsa di costituzione e nella successiva memoria.
Tuttavia il ricorso è stato notificato, tempestivamente e ritualmente, in tale data anche al difensore di Casa di Cura S. Anna – avvocato Maria Ester Balduini -, nonché è stata contemporaneamente intrapresa la notifica nei confronti del difensore di FIRST Italiana Assicurazioni L.C.A., avvocato Giosue’ Carcaterra, senza perfezionamento essendo quest’ultimo frattanto deceduto, con tempestiva rinnovazione della notifica; e, per quanto ha esposto lo stesso avvocato Calvano che ha depositato infatti l’atto difensivo, è stata revocata la sospensione de qua.
Da ciò consegue che il ricorso non è stato notificato tardivamente e che la notifica agli eredi L. non è stata nulla, poiché, alla luce dei principi interpretativi di tutela dell’esercizio di difesa e quindi di conservazione anche degli atti processuali in cui questo si manifesta, in difetto di lesione dei corrispondenti diritti di controparte, deve ritenersi che la revoca abbia prodotto effetto retroattivo sulla notifica avvenuta durante il periodo della (illegittima, sempre secondo quanto addotto) sospensione stessa.
Ma anche qualora l’effetto interruttivo della sospensione forense si fosse verificato, ben si può ritenere equivalente al riavvio dell’impulso processuale che l’interruzione rende necessario l’ulteriore attività di notifica svolta nei confronti degli altri intimati, per quanto concerne gli eredi di L.M. ritornando anche sotto questo profilo l’incidenza della retroattività della revoca, da cui è stata supplita una ulteriore attività riassuntiva.
2. Il ricorso è composto di quattro motivi: il primo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2043,2735 e 2733 c.c. e art. 116 c.p.c., nonché dell’art. 2700 c.c.; denuncia altresì violazione della L. n. 210 del 1992, art. 4 “in merito all’accertamento della commissione medica ospedaliera con inesatta attribuzione di valore di atto pubblico fidefacente, di prova legale e di confessione al relativo verbale”; il secondo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi e discussi, dimostranti l’insussistenza del nesso di causalità tra le emotrasfusioni e la malattia; il terzo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; il quarto, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed errata applicazione dell’art. 2947 c.c..
3.1 Prendendo dunque le mosse dal primo motivo, si rileva che il ricorrente espone che il giudice d’appello ha rigettato il suo motivo di gravame relativo all’assenza di prova del nesso causale tra la trasfusione e la malattia diagnosticata a L.M. reputando che ciò contrastasse con il principio dettato da Cass. sez. 3, ord. 15 giugno 2018 n. 15734, per cui, nel giudizio concernente risarcimento di danno da emotrasfusioni promosso dal danneggiato avverso il Ministero della Salute, l’accertamento della riconducibilità del contagio a una emotrasfusione effettuato dalla Commissione di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4 e in base al quale è stato riconosciuto l’indennizzo previsto da tale legge non può essere messo in discussione dal Ministero quanto appunto alla riconducibilità del contagio all’emotrasfusione, che il giudice deve ritenere fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo detta Commissione organo dello Stato, l’accertamento è imputabile allo stesso Ministero. Il che significa equiparare l’accertamento della Commissione, quanto alla sussistenza del nesso causale tra le emotrasfusioni e la patologia, a un atto confessorio e ad un’attestazione pubblica fidefacente.
L’arresto del 2018 ha così censurato un vizio in iure della motivazione avendo il giudice di merito trattato come indizio l’accertamento positivo del nesso causale effettuato da una commissione medica, mentre avrebbe dovuto essere riconosciuto fatto indiscutibile e non bisognoso di ulteriore prova.
3.2 Osserva il ricorrente che Cass. 15734/2018 contrasta con l’orientamento consolidato di questa Suprema Corte espresso anche dalle Sezioni Unite, per cui la decisione della Commissione Medica Ospedaliera sulla corresponsione dell’indennizzo ha un “valore meramente relativo”, non costituisce prova del nesso causale e non ha valore confessorio. Infatti sussiste differenza – nota ancora il ricorrente – tra il diritto al risarcimento del danno e il diritto all’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, che parte dalla natura e dai presupposti dei due diritti e si riflette quindi anche sulla prova, tenendo conto pure delle sentenze nn. 226/2000 e 118/1996 della Corte Costituzionale sulla “individuazione delle diverse situazioni che possono essere determinate dalla menomazione della salute per effetto di trattamenti sanitari”, nonché dei principi presenti nella giurisprudenza di legittimità sulla efficacia dei verbali delle commissioni mediche e dunque sulla loro rilevanza probatoria al di fuori del procedimento amministrativo per la concessione dell’indennizzo.
Nel caso in esame si tratta della commissione prevista dalla L. n. 210 cit., art. 4: “1. Il giudizio sanitario sul nesso causale tra la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati, il contatto con il sangue e derivati in occasione di attività di servizio e la menomazione dell’integrità psico – fisica o la morte è espresso dalla commissione medico-ospedaliera di cui al testo unico approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 165.
2.La commissione medico-ospedaliera redige un verbale degli accertamenti eseguiti e formula il giudizio diagnostico sulle infermità e sulle lesioni riscontrate.
3.La commissione medico-ospedaliera esprime il proprio parere sul nesso causale tra le infermità o le lesioni e la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati, il contatto con il sangue e derivati in occasione di attività di servizio”.
Al riguardo – osserva ancora il ricorrente – S.U. 11 gennaio 2008 n. 577 ha affermato il seguente principio di diritto:
“Al di fuori del procedimento amministrativo per la concessione dell’indennizzo di cui alla legge, tali verbali hanno lo stesso valore di qualunque altro verbale redatto da un pubblico ufficiale fuori dal giudizio civile ed in questo prodotto. Pertanto essi fanno prova, ex art. 2700 c.c., dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza, o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione in essi contenute costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutare l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuire a loro il valore di vero e proprio accertamento”.
3.3 Ciò è stato ribadito, invocando altresì ulteriori arresti nomofilattici, da Cass. sez. 1, 9 giugno 2015 n. 11889 (non massimata), per cui, “per quanto concerne la valenza dei verbali delle Commissioni mediche sul piano probatorio”, si applica pienamente l’art. 2700 c.c. come indicato dalle Sezioni Unite, onde il giudice “può valutarne… l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuire loro il valore di vero e proprio accertamento definitivo ed indiscutibile”, considerato che le deliberazioni collegiali mediche difettano “di qualsiasi efficacia vincolante, di natura sostanziale e processuale, trattandosi di atti di natura non provvedimentale, in quanto meramente strumentali e preordinati all’adozione del provvedimento di attribuzione di una determinata prestazione previdenziale, in corrispondenza di funzioni di certazione costituenti esercizio di mera discrezionalità tecnica e non amministrativa, assegnate dalla legge alle suddette commissioni mediche (cfr., ex plurimis, Cass. S.U. 222/2000; Cass. 7548/2006; Cass. S.U. 22550/2014)”.
Osserva inoltre il ricorrente che “la stessa Sezione III solo qualche mese prima della isolata decisione invocata dal Collegio nella sentenza… si pronunciava in sostanziale continuità con i riportati principi”.
Cass. sez. 3, ord. 20 marzo 2018 n. 6843, infatti, in un caso di utilizzazione appunto del verbale di commissione medica per accertare il nesso causale, ha affermato:
“Sebbene i presupposti dell’azione amministrativa, volta al riconoscimento dell’indennizzo, siano del tutto diversi dagli elementi costitutivi della responsabilità civile, ed indipendentemente dall’accertamento svolto in sede amministrativa, il Giudice deve raggiungere autonomamente la prova del nesso causale per poter pervenire ad un ragionevole convincimento della sua esistenza,… nella fattispecie in esame, essendosi le commissioni mediche ospedaliere pronunciate per il riconoscimento del diritto all’indennizzo, il giudice aveva la disponibilità di elementi presuntivi per ritenere raggiunta la prova del nesso causale tra le trasfusioni e la patologia… Quanto meno, in ogni caso, il giudice avrebbe dovuto motivare in merito alle ragioni per le quali riteneva di non poter accedere alla prova del nesso causale implicitamente costituita dalle relazioni tecniche, e fornire proprie adeguate ragioni in merito all’incertezza della prova. Non avendo, invece, per nulla motivato sul punto il ragionamento speso dal giudice si presta a vizi motivazionali…”.
3.4 Rileva, dunque, il ricorrente che la sentenza qui impugnata, laddove sulla dimostrazione del nesso causale dichiara di condividere la giurisprudenza di legittimità rappresentata da Cass. sez. 3, ord. 15 giugno 2018 n. 15734 per concludere che, non essendo contestato che L.M. “abbia conseguito un giudizio favorevole della commissione medica ospedaliera”, l’appello è infondato, “e’ errata”, ritenendo “sussistente una responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione per danni non riconducibili eziologicamente a condotte del Ministero sulla base di una erronea e illegittima applicazione degli artt. 2735-2733 c.c. e art. 116 c.p.c., nonché dell’art. 2700 c.c. e della L. n. 210 del 1992, art. 4”.
4.Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti discussi e decisivi, che avrebbero dimostrato l’inesistenza del nesso di causalità fra le emotrasfusioni praticate a L.M. e l’insorgenza in lui della malattia.
Si critica il giudice d’appello per avere omesso totalmente nell’accertare il nesso causale suddetto la consulenza tecnica d’ufficio – che lo negava – avendo attribuito in sostanza l’effetto accertatorio alla Commissione medica, essendosi infatti “limitato a recepire il verbale della CMO, attribuendogli valore di prova legale”. In tal modo sarebbe appunto incorso nell’omesso esame di un fatto, decisivo e oggetto di discussione tra le parti, costituito dalle risultanze della CTU (si invocano Cass. sez. 3, 31 maggio 2018 n. 13770, Cass. sez. 3, 29 maggio 2018 n. 13399 e Cass. sez. 3, 7 luglio 2016 n. 13922).
5.Il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
Si sostiene che le stesse argomentazioni del motivo precedente, qualora non fossero ritenute “utilmente sollevate ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, possono esserlo nella modalità descritte in rubrica, in quanto il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove e i fatti non specificamente contestati come impone l’art. 115 c.p.c., comma 1, laddove il giudice d’appello ha contravvenuto tale norma “omettendo di considerare le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio”, violando in tal modo pure il principio di valutazione delle prove secondo un prudente apprezzamento come esige l’art. 116 c.p.c., comma 1.
6.Il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed errata applicazione dell’art. 2947 c.c., non ritenendo prescritto il diritto risarcitorio in rispetto del termine prescrizionale quinquennale.
Pure questa censura verte sul rapporto dell’esito della CTU con quello emergente dal verbale della CMO, seppure da un altro punto di vista: “o aveva ragione il CTU (la cui valutazione non può essere ignorata invocando il verbale della CMO) e dunque non vi è nesso causale con l’emotrasfusione; oppure, se l’unico fattore causale possibile era l’emotrasfusione, il L. avrebbe dovuto percepire fin dalle prime diagnosi e comunque dal sommarsi delle successive… “il fatto quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo in tema di emotrasfusioni del Ministero”, tanto più dopo l’entrata in vigore della L. n. 210 del 1992″.
7.L’ordinanza interlocutoria precedentemente pronunciata in questa causa, la n. 20445/2022 depositata il 24 giugno 2022, condivisibilmente rileva che “le censure pongono (anche) la questione concernente il valore di prova o di mero indizio da assegnarsi ai verbali della Commissione medico-ospedaliera di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 4… in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la trasfusione e la malattia”; osserva altresì che “non sussiste uniformità di orientamento interpretativo nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass., 5/10/2018, n. 24523; Cass., 15/6/2018, n. 15734; Cass., 20/3/2018, n. 6843; Cass., 16/5/2017, n. 12009; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577. Cfr. altresì, con riferimento agli accertamenti sanitari delle Commissioni mediche per l’invalidità civile, ai sensi della L. 15 ottobre 1990, n. 295, art. 1Cass., 6/4/2021, n. 9235; Cass., 9/6/2015, n. 11889; Cass., Sez. Un., 23/10/2014, n. 22550; Cass., 22 maggio 2006, n. 11908; Cass., 30/3/2006, n. 7548. Cfr. anche Cass., 7/8/2015, n. 16569)”.
8.1 La questione, in effetti, come espressamente denuncia in particolare il primo motivo del ricorso, attiene a un conflitto sviluppatosi a partire dal 2018 in avanti tra certa giurisprudenza di questa sezione e un arresto rientrante nel noto ampio intervento dell’11 gennaio 2008 compiuto dalle Sezioni Unite sulla responsabilità sanitaria, cioè S.U. 11 gennaio 2008 n. 577, chiaramente massimato come segue: “I verbali della Commissione medico-ospedaliera di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 4 – istituita ai fini dell’indennizzo in favore di soggetti danneggiati da complicanze irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati – fanno piena prova, ai sensi dell’art. 2700 c.c., dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essi contenute costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova ma non può mai attribuire loro il valore di vero e proprio accertamento”.
Nella motivazione, dopo aver trascritto il testo della L. n. 210 del 1992, art. 4 le Sezioni Unite osservano a proposito dei verbali della suddetta commissione:
“Al di fuori del procedimento amministrativo per la concessione dell’indennizzo di cui alla legge, tali verbali hanno lo stesso valore di qualunque altro verbale redatto da un pubblico ufficiale fuori dal giudizio civile ed in questo prodotto. Pertanto essi fanno prova, ex art. 2700 c.c., dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza, o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione in esse contenute costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può mai attribuire a loro il valore di vero e proprio accertamento (Cass. 20/07/2004, n. 13449; Cass. 25/06/2003, n. 10128; Cass. 12/05/2003, n. 7201)”.
8.2 Le Sezioni Unite, quindi, si inserivano in un filone già ben sviluppato, e lo facevano al fine di decidere questioni di diritto insorte in una causa in cui l’attore aveva convenuto una società – Assa S.p.A. – nella cui casa di cura aveva subito un intervento chirurgico, adducendo che in tale circostanza gli era stato trasfuso del sangue infetto cagionandogli poi l’epatite C. Per quanto qui interessa, il giudice d’appello aveva negato che fosse stata raggiunta la prova del nesso causale, considerato l’esito della CTU e considerato altresì il verbale della CMO L. n. 210 del 1992, ex art. 4 “nessun valore probatorio” riconoscendo appunto a quanto accertato in detto verbale.
E’ significativo che, al principio del suo percorso, il giudice nomofilattico affermi con vigore l’irrilevanza attribuibile, nel quadro normativo dell’epoca, alla natura dell’entità sanitaria nei cui confronti era stata esercitata l’azione risarcitoria:
“Per quanto concerne la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente è irrilevante che si tratti di una casa di cura privata o di un ospedale pubblico in quanto sostanzialmente equivalenti sono a livello normativo gli obblighi dei due tipi di strutture verso il fruitore dei servizi, ed anche nella giurisprudenza si riscontra una equiparazione completa della struttura privata a quella pubblica quanto al regime della responsabilità civile anche in considerazione del fatto che si tratta di violazioni che incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale della Costituzione, senza possibilità di limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie a seconda della diversa natura, pubblica o privata, della struttura sanitaria”.
9.1 Per il successivo decennio la giurisprudenza delle sezioni semplici ha seguito senza particolari oscillazioni il dettato delle Sezioni Unite, in sostanza perimetrando entro il libero convincimento del giudice l’esito dell’accertamento effettuato dalla CMO, in generale per ogni fattispecie in cui commissioni mediche espletano accertamenti nell’ambito di un procedimento amministrativo, appunto come atti strumentali all’adozione di un provvedimento (così, per esempio, insegna come si è visto la pronuncia che nel primo motivo per sostenerlo il ricorrente ha affiancato a S.U. 577/2008 come sulla sua linea, ovvero la non massimata Cass. 11889/2015; solida nel medesimo senso è la giurisprudenza giuslavoristica).
Per quanto qui interessa, dunque, un novum divergente è insorto con Cass. sez. 3, ord. 15 giugno 2018 n. 15734, massimata come segue: “In tema di danni da emotrasfusioni, nel giudizio promosso dal danneggiato contro il Ministero della salute, l’accertamento della riconducibilità del contagio ad una emotrasfusione, compiuto dalla Commissione di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4 in base al quale è stato riconosciuto l’indennizzo ai sensi di detta legge, non può essere messo in discussione dal Ministero, quanto alla riconducibilità del contagio alla trasfusione o alle trasfusioni individuate come causative di esso, ed il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo la Commissione organo dello Stato, l’accertamento è da ritenere imputabile allo stesso Ministero”.
9.2 Nella motivazione, detta ordinanza afferma che la commissione medica è un organo dell’amministrazione della sanità che compie l’accertamento in quanto tale, “come dimostra la previsione della ricorribilità in via gerarchica contro il suo deliberato proprio al Ministro della Sanità, siccome prevede il D.Lgs. n. 2010 del 1992, art. 5”. Pertanto “l’accertamento positivo è atto espressione di un riconoscimento dell’ascrivibilità del contagio alla trasfusione operato sì dalla CTO, ma riferibile ed imputabile al Ministero e come tale da esso non discutibile”. Per il Ministero, infatti, nel caso che era in esame l’accertamento valeva come compiuto da un suo organo e per questo “gli era riferibile”.
Richiama a questo punto l’ordinanza proprio l’intervento di S.U. 577/2008 trascrivendone integralmente la massima per subito negarne l’applicabilità: “Ma tale affermazione è stata fatta con riferimento ad un giudizio nel quale l’accertamento veniva invocato contro un’A.S.L. e non contro il Ministero.” Questa specificità che scioglierebbe, dunque, dall’insegnamento delle Sezioni Unite in effetti non è rinvenibile per quanto sopra già riportato a proposito del contenuto della loro pronuncia, non risultando l’azione da cui sortì la causa proposta contro un’Asl bensì contro una società per azioni.
Tale è il nucleo dell’argomentazione con cui l’ordinanza del 2018 ha “estromesso” come non pertinente S.U. 577/2008, nucleo che trae origine dall’asserto di sussistenza della identità delle parti: e infatti viene pure trascritta la massima di Cass. sez. 3 ord. 16 maggio 2017 n. 12009 (“In tema di danni da emotrasfusioni, la sentenza di accertamento del diritto all’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992, emessa nei confronti del Ministero della salute, non ha efficacia di giudicato nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso contro l’azienda ospedaliera, mancando il necessario presupposto dell’identità delle parti, ma assume valore di indizio, soggetto alla libera valutazione del giudice. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, reiettiva della domanda di risarcimento del danno da emoderivati infetti, proposta da un malato di epatite C contro un’azienda ospedaliera, per difetto di prova in ordine al collegamento causale tra l’insorgenza della patologia e le emotrasfusioni avvenute presso quell’ospedale, atteso che il ricorrente era stato anche sottoposto ad un lungo trattamento di dialisi presso altra struttura sanitaria e che la sentenza con cui, in un precedente giudizio, gli era stata riconosciuta l’indennità di cui alla L. n. 210 del 1992, non offriva elementi probatori su tale aspetto).”) per argomentare ancora sulla medesima base: “Ma anche qui la precisazione, sebbene relativa al giudicato sull’accertamento del C.M.O., concerne l’efficacia nei confronti di una parte diversa dal Ministero, cioè dallo Stato, di cui il Ministero è articolazione”.
Infine, Cass. 15734/2018 rimarca: “Non è senza rilievo, d’altronde, che questa Corte fino da Cass., sez. Un., n. 584 del 2008 ha riconosciuto che l’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 dev’essere defalcato dall’importo del danno risarcibile dal Ministero, atteso che gli importi sono dovuti dallo stesso soggetto e per il medesimo fatto lesivo”.
Dunque, tutta la struttura argomentativa della nuova impostazione si nutre dell’asserto che la commissione medica costituisce una branca del Ministero, in essa radicalmente e solidamente inserita e tale da rappresentarlo appieno. La sua valutazione positiva del nesso causale diventa quindi, più che un accertamento, una confessione, che avvince il Ministero non solo per l’emissione di un provvedimento relativo all’attribuzione di una prestazione previdenziale, ma altresì in un giudizio civile ove è convenuto mediante un’azione risarcitoria imperniata proprio sul nesso causale tra emotrasfusione e patologia fonte di danni.
10.Si è aperta in tal modo una strada diversa rispetto a quella seguita (conformemente peraltro a una folta giurisprudenza anteriore) dalle Sezioni Unite dieci anni prima, e alcuni arresti l’hanno intrapresa – come già segnalava l’ordinanza interlocutoria n. 20445/2022 di questo giudizio -, talora anche attenunandola.
10.1 Pur sotto diverso profilo Cass. sez. 3, ord. 5 ottobre 2018 n. 24523 ha subito rimarcato il nucleo della nuova impostazione, cioè l’identità delle parti “In tema di danni da emotrasfusioni, la pronuncia di cessazione della materia del contendere, emessa nel giudizio intentato contro il Ministero della Salute per il riconoscimento dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, sul presupposto dell’accoglimento del ricorso amministrativo avverso il corrispondente diniego, ha efficacia di giudicato, circa la sussistenza del nesso causale tra le trasfusioni praticate al paziente e la patologia dallo stesso contratta, nel successivo giudizio di risarcimento del danno promosso contro il Ministero della Salute, sussistendo l’identità di parti che costituisce presupposto indispensabile per la configurazione del fenomeno del giudicato esterno.” -, fondandola però, come già si accennava, non sull’esito dell’attività della commissione medica, bensì sull’accoglimento di ricorso amministrativo avverso il diniego dell’indennizzo e sulla sua ricaduta giurisdizionale; e si consideri pure Cass. sez. 3, ord. 13 maggio 2022 n. 15379, che concerne ancora l’insorgenza di un giudizio e quindi il ruolo del Ministero come parte: “In tema di danni da emotrasfusioni, la pronuncia emessa nel giudizio intentato contro il Ministero della Salute per il riconoscimento dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 ha efficacia di giudicato, circa l’acquisizione della consapevolezza del nesso causale tra la somministrazione di emoderivati e la patologia contratta – funzionale all’individuazione del “dies a quo” della prescrizione del diritto al risarcimento del danno -, nel successivo giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della Salute, sussistendo l’identità di parti che costituisce presupposto indispensabile per la configurazione del fenomeno del giudicato esterno”.
10.2 Cass. sez. 3, ord. 5 settembre 2019n. 22183, non massimata, accoglie invece il ricorso proprio in forza di una completa adesione a Cass. 15734/2018, richiamandone semplicemente la massima; del tutto analoga è la decisione di Cass. sez. 6-3, ord. 30 giugno 2020 n. 13008, anch’essa non massimata.
10.3 Massimata semplicemente come conforme a Cass. 15734/2018 è invece Cass. sez. 6-3, ord. 17 novembre 2021 n. 34885, che in motivazione, in realtà riutilizza effettivamente l’intervento delle Sezioni Unite lasciando spazio per superare l’accertamento della commissione medica:
“la giurisprudenza di questa Corte, pur avendo escluso che i verbali della Commissione medico-ospedaliera di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4 possano aver efficacia di giudicato nel successivo giudizio risarcitorio (Sezioni Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 577, e ordinanza 16 maggio 2017 n. 12009), ha tuttavia affermato che l’accertamento della riconducibilità del contagio all’emotrasfusione compiuto dalla suddetta Commissione non può essere messo in discussione dal Ministero, almeno sotto il profilo della sussistenza del nesso di causalità (ordinanza 15 giugno 2018, n. 15734). Ne consegue che la Corte d’appello, se avesse voluto disattendere il giudizio positivo già dato dalla Commissione ai fini della spettanza dell’indennizzo, avrebbe dovuto positivamente indicare le ragioni dell’esclusione, non potendosi limitare ad affermare che la Demeco (la ricorrente: n.d.r.) non aveva fornito la prova adeguata… Il ricorso…, pertanto, è meritevole di accoglimento.”
11.1 La criticità della strada interpretativa avviata dal 2018 da alcuni arresti risiede, a ben guardare, nella natura delle commissioni mediche, che tale interpretazione riveste, quale organo del Ministero, della personalità giuridica del Ministero stesso, così da far di quest’ultimo parte che già si sarebbe espressa – mediante appunto l’accertamento delle commissioni mediche – nel vagliare la spettanza o meno dell’indennità di cui alla L. n. 210 del 1992 in capo alla persona emotrasfusa anche al fine dell’eventuale futuro giudizio diretto al risarcimento di danni: e ciò in relazione a quel che, dal punto di vista materialmente strutturale, è identico, cioè il nesso causale. Chi ottiene l’indennità, seguendo questa interpretazione, si deve ritenere che abbia, per così dire, ipotecato buona parte del giudizio risarcitorio, rimanendo gravato solo dell’onere probatorio vertente l’esistenza dei danni e il loro quantum.
L’insegnamento di S.U. 577/2008, tuttavia, ha alle sue spalle una forte corrente interpretativa proprio del ruolo delle commissioni mediche, insorta nel campo giuslavoristico e previdenziale e corroborata da altri interventi delle Sezioni Unite, anche in riferimento alla tematica della giurisdizione: in tal modo è stata chiarita la natura delle c.d. “certazioni” compiute dalle commissioni mediche.
11.2 S.U. 22 novembre 2006 n. 24862, per esempio, osserva in motivazione che “alle commissioni mediche compete una discrezionalità tecnica, non amministrativa, ossia non spetta alcun potere autorizzativo a cui possa contrapporsi un interesse legittimo del soggetto privato”; e “una siffatta attività di mero accertamento e valutazione puramente tecnica, svolta dalle commissioni, è ontologicamente sempre la medesima sia che serva al riconoscimento o alla negazione del diritto a pensione o ad assegno di invalidità civile, ecc., sia che si configuri come strumentale ad altri benefici”.
Su questa stessa linea si schierano, p. es., S.U. 25 luglio 2000 n. 522, S.U. 18 settembre 2002 n. 13665, S.U. 17 ottobre 2002 n. 14752, S.U. 11 dicembre 2003 n. 18960 nonché, più di recente, S.U. 23 ottobre 2014 n. 22550.
Tale limitazione delle commissioni mediche al dispiegamento di discrezionalità tecnica è stata sempre saldamente ribadita, appunto, dalla Sezione Lavoro di questa Suprema Corte, escludendo ogni natura provvedimentale nei loro accertamenti, che al provvedimento sono invece strumentali (da ultimo tra gli arresti massimati, Cass. sez. lav., ord. 6 aprile 2021 n. 9235: “Nelle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, le collegiali mediche sono prive, ai sensi dell’art. 147 disp. att. c.p.c., comma 1di qualsiasi efficacia vincolante, sostanziale e processuale, dovendosi ritenere, anche alla luce della L. n. 295 del 1990, art. 1 (nel testo applicabile “ratione temporis”), la natura non provvedimentale degli accertamenti sanitari, in quanto strumentali e preordinati all’adozione del provvedimento di attribuzione della prestazione, in corrispondenza di funzioni di certazione assegnate alle indicate commissioni”; conformi, p.es., Cass. sez. lav., 7 agosto 2015 n. 16569, Cass. sez. lav., 22 maggio 2006 n. 11908 e Cass. sez. lav., 30 marzo 2006 n. 7548).
12.Ritiene questo Collegio in effetti alquanto problematico riconoscere alle commissioni mediche che intervengono ai fini della indennità di cui alla L. n. 210 del 1992, in via d’eccezione, un ruolo che ordinariamente ad esse è negato, ovvero oltrepassare l’ordinaria attività accertatoria strumentale loro affidata per giungere invece a farle rappresentare giuridicamente il Ministero della Salute, così da elevare la propria valutazione tecnica a una stabilizzante esternazione di natura confessoria-dispositiva del Ministero stesso.
Si ritiene, altresì e soprattutto, che una siffatta interpretazione non sia compatibile con quanto dichiarato più volte dalle Sezioni Unite sulla natura dell’attività delle commissioni mediche e con quanto ne ha tratto, in questa specifica materia, l’ulteriore intervento delle Sezioni Unite attuato con la sentenza n. 577/2008: il che induce questo Collegio a ricorrere nuovamente alle Sezioni Unite in forza dell’art. 374 c.p.c., essendo necessario, per dirimere la decisione del ricorso in esame, a priori sciogliere l’attuale incertezza giurisprudenziale derivante, come sopra si è visto, da una “fuoriuscita” dall’ordinario approccio al ruolo delle commissioni mediche e, parallelamente, dalle modalità di intervento come parte in causa del Ministero della Salute nelle controversie risarcitorie asseritamente originate da emotrasfusioni: intervento che, seguendo la giurisprudenza insorta nel 2018 in questa sezione semplice, accadrebbe in epoca anteriore al giudizio risarcitorio, essendo propriamente preventiva nell’ambito, reso in tal modo prodromico, governato dalla L. n. 210 del 1992.
In conclusione, considerato tutto quanto esposto, derivante dal contenuto del primo motivo del ricorso – che, qualora fosse risolto seguendo la linea giurisprudenziale aperta da Cass. 15734/2018, assorbirebbe tutte le altre doglianze -, il Collegio reputa di dover rimettere il ricorso al Primo Presidente perché valuti l’opportunità della sua rimessione alle Sezioni Unite di questa Suprema Corte ai sensi dell’art. 374 c.p.c..
PQM
Visto l’art. 374 c.p.c. rimette il ricorso al Primo Presidente della Corte per la sua eventuale rimessione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2022
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