Riportiamo il caso di un paziente che, dopo essersi sottoposto ad interventi di erniectomia rimaneva paralizzato ad entrambe le gambe per colpa medica.
In primo grado il Tribunale condannava l’Ospedale, dopodichè la Corte di Appello riformava la sentenza asserendo che, comunque, il paziente era destinato per la propria malattia a rimanere paralizzato, a prescindere dalla negligenza o meno dei chirurghi.
Ma la Corte di Cassazione, a cui l’uomo ricorre, con sentenza n. 3136/2017 emessa dalla terza sezione civile, ha annullato la sentenza della Corte di Appello perché “anticipare un evento, che si sarebbe comunque nel tempo verificato, costituisce in ogni caso un illecito”.
I fatti di causa
Un paziente, nonché la moglie ed i loro figli, convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo l’Azienda Ospedaliera “Villa Sofia-CTO” chiedendo il risarcimento del danno per essere stato il primo sottoposto a due interventi di erniectomia ed essere successivamente rimasto paralizzato ad entrambi gli arti inferiori. I familiari chiedevano il danno riflesso per le lesioni subite dall’uomo. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale adito, previa CTU, accolse la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di Euro 578.080,63, oltre interessi, in favore del solo paziente, disattendendo le ulteriori domande attoree. Osservò il giudice di prime cure che la scelta di operare esclusivamente una laminectomia posteriore aveva comportato un pericolo concreto di insulto ischemico e meccanico del midollo.
Avverso detta sentenza propose appello l’Azienda Ospedaliera. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello.
Con sentenza di data 10 febbraio 2014 la Corte d’appello di Palermo, previa nuova CTU, accolse l’appello, rigettando la domanda proposta dal M..
Osservò il giudice di appello, premesso che i consulenti tecnici avevano rilevato che il M. era stato informato ed aveva prestato il proprio consenso, che alla paralisi degli arti inferiori il M. appariva ineluttabilmente destinato, in mancanza d’intervento chirurgico, stante l’inarrestabile processo degenerativo del suo parenchima nervoso e che doveva escludersi una condotta colposa nell’operato dei medici.
Aggiunse che l’intervento di sola decompressione posteriore, effettuato secondo i principi di perizia, prudenza e diligenza, costituiva uno degli interventi meno pericolosi e che difettavano in materia precisi protocolli che indicassero condivisibili schemi di comportamento diagnostico e terapeutico predefiniti, essendo diagnosi e terapia affidate in larga parte alla sperimentazione ed alle teorie, il più delle volte contrastanti, praticate.
Il ricorso alla Corte di Cassazione
Hanno proposto ricorso per cassazione sia il paziente che i suoi familiari sulla base di due motivi. Resisteva con controricorso la parte intimata.
Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 116 e 196 c.p.c., artt. 2043 e 2051 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..
Osserva la parte ricorrente che non sono stati rispettati gli artt. 116 e 196 c.p.c. in quanto non è stata fornita una adeguata motivazione. Aggiunge che errato è escludere il danno perchè l’evento si sarebbe comunque verificato in tempi più lontani, in quanto anche anticipare l’evento costituisce un danno e che un intervento correttamente eseguito avrebbe eliminato la possibilità che il danno si verificasse.
Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Lamenta la parte ricorrente che nulla era stato detto in ordine al consenso informato. Aggiunge che il giudice di appello aveva omesso di esaminare i rilievi sollevati dagli appellati (il paziente era affetto da stenosi del canale vertebrale e non lombare; l’intervento praticato era in disuso) e che non era stata disposto il rinnovo della CTU senza motivare.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso
Per la Corte di Cassazione i motivi, da valutare unitariamente stante il vincolo di connessione, sono fondati.
Nel primo motivo si ascrive alla decisione impugnata l’errore di diritto di non aver considerato che anticipare un evento, che si sarebbe comunque nel tempo verificato, costituisce comunque illecito. Trattasi di censura fondata.
Come già affermato dalla Corte di Cassazione rispetto all’evento morte, con considerazioni che valgono non solo per il bene-vita ma anche per il bene-salute, il nesso di causalità può esistere non solo in relazione al rapporto tra fatto ed evento dannoso, ma anche tra fatto ed accelerazione dell’evento; sicchè per escludere il nesso di causalità, in relazione alla lesione del bene “vita”, è necessario non solo che il fatto non abbia generato l’evento letale, ma anche che non l’abbia minimamente accelerato, costituendo pregiudizio anche la privazione del fattore “tempo” (Cass. 27 novembre 2012, n. 20996;10 maggio 2000, n. 5962).
Per la Corte, la ratio decidendi della sentenza impugnata è tuttavia integrata dall’ulteriore rilievo della valutazione in termini di correttezza dell’operato dei sanitari. Tale ratio è incisa dal secondo motivo nella parte in cui si denuncia l’omesso esame del fatto che l’uomo era affetto da stenosi del canale vertebrale e non lombare. Rispetto a tale circostanza di fatto rappresentata dalla parte ricorrente manca la valutazione del giudice di merito. Trattasi di fatto decisivo in quanto suscettibile di condurre ad un esito diverso della valutazione della diligenza professionale nella specie adoperata.
Inoltre, per i Giudici è omesso anche l’esame della circostanza di fatto rispondente al denunciato carattere fuorviante del consenso scritto, con riferimento ai diversi aspetti richiamati nel motivo (rischi operatori, scopi dell’intervento, approccio chirurgico). Sul punto il giudice di merito si limita ad esporre che i consulenti tecnici avevano rilevato che il paziente era stato informato ed aveva prestato il proprio consenso. Trattasi di considerazione in fatto in ordine a quello che è stato lo svolgimento del processo ma non costituisce valutazione della circostanza nell’ambito della motivazione della decisione. Il fatto storico relativo al consenso informato, per come rappresentato nel motivo di censura, resta quindi non esaminato.
Per questi motivi la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando la causa per il prosieguo ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.
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