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Abbiamo già trattato l’argomento della colpa di medici e operatori sanitari per suicidio di pazienti affetti da malattie mentali ( Lo psichiatra è responsabile di autolesioni o morte del paziente) .
Con questo articolo riprendiamo il discorso, alla luce della giornata mondiale della salute mentale (10 ottobre 2022), di una ennesima pronuncia della Corte di Cassazione, e delle linee guida per la prevenzione dei suicidi in ambito ospedaliero dettate dal Ministero della Salute e consigliate dalla Società Italiana Psichiatria.
Il caso trattato di giudici
In primo grado due psichiatri venivano condannati dal GUP del Tribunale di Milano per omicidio colposo nei confronti di una loro paziente che si era suicidata, per la mancata attivazione della procedura di trattamento sanitario obbligatorio (“T.S.O.”) nei confronti della donna, ancorché affetta da “disturbo di personalità borderline“, “bulimia nervosa“, “disturbo del comportamento alimentare” e con pregressi ricoveri per episodi di autolesionismo e ingestione incongrua di farmaci.
In secondo grado, invece, la Corte d’appello di Milano, ritenendo che i medici non fossero tenuti a sottoporre la paziente a un T. S. O., riformava la sentenza assolvendo gli imputati per l’insussistenza del fatto.
Avverso la sentenza d’appello la Procura generale presso la Corte d’appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione, esclusivamente con riferimento alla posizione di uno dei due medici, ritenendo che la sentenza di secondo grado contrastasse con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in merito alla responsabilità dello psichiatra per la morte per suicidio del proprio paziente.
La Procura, in particolare, evidenziava che il medico aveva speso solo 11 minuti la valutazione clinica della paziente poi suicidatasi, e contestava la sentenza della Corte di Appello laddove asseriva che, comunque, in ogni caso, mancava la prova che qualsiasi intervento, anche di ricovero coatto, avrebbe “salvato la vita” della paziente.
La decisione della Corte di Cassazione
Con sentenza n. 24138 del 25.05.2022, la Corte di Cassazione Penale Sezione IV, ha accolto il ricorso della Procura, ritenendo che la sentenza della Corte di Appello non si sia adeguata ai principi governanti la materia della “responsabilità del medico psichiatra per morte del proprio paziente suicidatosi”.
Con specifico riferimento alla posizione del medico, in merito alla quale si appunta il ricorso per cassazione, nella specie sono stati ritenuti sussistenti tutti gli elementi idonei a far argomentare un pericolo concreto che la donna potesse porre in essere atti anticonservativi e che il sanitario avrebbe quindi potuto prevedere, in concreto, l’evento morte e, di conseguenza, dovuto apprestare le cautele specifiche volte a evitarlo.
La situazione psicopatologica della paziente, infatti, è stata ritenuta tale da presentare evidenti criticità in termini di atti anticonservativi.
Ai continui ricoveri, al perdurante rifiuto di cibo e ai gesti autolesivi si era in particolare aggiunta una recente interruzione di gravidanza, percepita dalla donna come un evento particolarmente traumatico e segnante.
In tale contesto si sono poi inserite le due condotte anticonservative del medico, particolarmente gravi e mai compiute prima, che avrebbero dovuto allarmare significativamente il sanitario, il quale, al contrario, come risultante dalle emergenze processuali, non li aveva valutati, erroneamente assimilandoli a quelli meramente autolesivi compiuti in precedenza. Il descritto comportamento del medico è stato infine ritenuto assolutamente negligente, imprudente per non aver adottato tutte le misure idonee a evitare il suicidio, compresa l’attivazione della procedura di T.S.O..
Ebbene, la Corte di Cassazione censura quindi la sentenza della Corte d’Appello milanese perché, nel dettaglio, ha ritenuto sussistente un rischio suicidario non trascurabile in capo alla persona offesa (in ragione della patologia della quale soffriva), in quanto aumentato a seguito dei due atti anticonservativi del medico, ma al tempo stesso l’ha considerato non imminente.
Lo psichiatra deve controllare e proteggere il paziente
La Corte di Cassazione ribadisce che “il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia che comprende un obbligo di controllo e di protezione del paziente, diretto a prevenire il pericolo di commissione di atti lesivi ai danni di terzi e di comportamenti pregiudizievoli per se stesso”.
Vengono citate alcune sentenze, tra cui la n. 43476/2017, che in applicazione del principio ha ritenuto immune da censure l’affermazione di responsabilità per il reato di omicidio colposo di un medico del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per il suicidio di una paziente affetta da schizofrenia paranoide cronica, avvenuto qualche ora dopo che la paziente, presentatasi in ospedale dopo avere ingerito un intero flacone di Serenase, era stata dimessa dal medico, senza attivare alcuna terapia e alcun meccanismo di controllo.
Nello stesso senso, Sez. 4, Sentenza n. 33609 del 14/06/2016, Drago, Rv. 267446-01, ha ritenuto immune da censure la pronuncia che aveva affermato la responsabilità di un medico del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per il suicidio di una paziente, ricoverata con diagnosi di disturbo bipolare in fase depressiva, nei confronti della quale aveva omesso di assicurare una stretta e continua sorveglianza, sebbene le notizie anamnestiche e la diagnosi di accettazione avessero reso evidente il rischio suicidario.
Si veda altresì Sez. 4, n. 48292 del 27/11/2008, Desana, Rv. 242390-01, circa la sussistenza della posizione di garanzia anche nei confronti di soggetto non sottoposto a ricovero coatto, che, in applicazione del principio, ha confermato l’affermazione di responsabilità del primario e dei medici del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per omicidio colposo in danno di un paziente che, ricoveratosi volontariamente con divieto di uscita senza autorizzazione, si era allontanato dal reparto dichiarando all’infermiera di volersi recare a prendere un caffe’ al distributore automatico situato al piano superiore, ed ivi giunto si era suicidato gettandosi da una finestra.
Quando si può escludere la responsabilità dello psichiatra
Nell’ipotesi di suicidio di un paziente affetto da turbe mentali, “è da escludere la sussistenza di un’omissione penalmente rilevante a carico dello psichiatra che lo aveva in cura quando risulti che il medico, nella specifica valutazione clinica del caso, si sia attenuto al dovere oggettivo di diligenza ricavato dalla regola cautelare, applicando la terapia più aderente alle condizioni del malato e alle regole dell’arte psichiatrica”.
Sul punto si veda, in particolare, Sez. 4,. 14766 del 04/02/2016, De Simone, Rv. 266831-01, la quale ha ritenuto immune da censure l’assoluzione del medico psichiatra e della psicologa, in servizio presso una casa circondariale, dall’imputazione di omicidio colposo per il decesso di un detenuto per impiccagione, sul rilievo che, alla luce dei dati clinici in loro possesso e ai parametri di valutazione individuabili nella letteratura scientifica, non poteva ravvisarsi un rischio di suicidio concreto e Imminente, dovendo per altro verso escludersi ogni loro responsabilità per le carenze organizzative della amministrazione penitenziaria, dovute alla presenza di una cella con finestra dotata di un appiglio per agganciare il lenzuolo utilizzato per il gesto autosoppressivo.
Parimenti Sez. 4, n. 4391 del 22/11/2011, dep. 2012, Di Lella, Rv., 251941-01, che ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la sussistenza della responsabilità, ex art. 589 c.p., del direttore sanitario di una casa di cura – nei confronti di un degente affetto da schizofrenia caduto da una finestra – il quale, nonostante la condizione del paziente fosse macroscopicamente peggiorata e gli fosse nota la necessità di nuove iniziative terapeutiche e assistenziali, si astenne dal porre in essere le relative iniziative, di cui, peraltro, egli stesso aveva dato conto nel corso di un “briefing”.
Si veda altresì, circa il rilievo, nella specifica materia, del fattore eccezionale quale causa interruttiva del nesso causale, Sez. 4, n. 10430 del 06/11/2003, dep. 2004, Guida, Rv. 227876-01, la quale, in fattispecie di responsabilità professionale del medico per il suicidio di un paziente, ha ritenuto che correttamente i giudici di merito, sulla base di un ragionamento probatorio esente da vizi logici e che aveva escluso ogni interferenza di fattori alternativi, avessero affermato l’efficacia causale della condotta del medico psichiatra che aveva autorizzato l’uscita dalla struttura sanitaria di una paziente malata di mente e con forti istinti suicidari, affidandola ad una accompagnatrice volontaria priva di specializzazione adeguata, alla quale non aveva fornito qualsivoglia informazione sullo stato mentale della malata e sui precedenti tentativi di suicidio dalla stessa attuati).
Le linee guida del Ministero della Salute per la “prevenzione del suicidio di paziente in ospedale”
Riportiamo la Raccomandazione n. 4 del marzo 2008, con cui il Ministero della Salute tratteggia le linee guida che il personale medico-sanitario è tenuto a seguire per prevenire suicidi di pazienti.
La letteratura internazionale ha individuato una serie di fattori di rischio relativi al suicidio e la loro Colpa medico sanitaria per suicidio pazienteconoscenza consente l’adozione di strategie efficaci per la riduzione dell’evento suicidio in ospedale agendo su:
1) strumenti di valutazione del paziente;
2) profili assistenziali per i pazienti che hanno una reazione suicidiaria o tentano il suicidio che prevedano la continuità della cura anche dopo la dimissione;
3) processi organizzativi;
4) formazione degli operatori;
5) idoneità ambientale e strutturale
Ridurre il numero di suicidi e/o tentati suicidi di pazienti all’interno dell’ospedale.
L’evento suicidio va considerato un fenomeno generale e non solo ospedaliero. Tuttavia va tenuto presente che l’ospedale può essere il luogo in cui un paziente decide di suicidarsi.
La presente Raccomandazione riguarda tutti i pazienti che si rivolgono all’ospedale per diagnosi e cura.
Il suicidio può avvenire in tutto l’ambito ospedaliero, ma possono essere considerati a maggiore rischio le aree cliniche quali il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC), le Unità Operative di Oncologia, Ostetricia e Ginecologia e il Dipartimento di emergenza, nonché gli spazi comuni quali scale, terrazze e vani di servizio.
Per la prevenzione del suicidio, gli ospedali debbono considerare le azioni di seguito descritte.
Per una efficace ed appropriata presa in carico del paziente vanno previste almeno le seguenti attività:
4.1.1. Anamnesi
L’anamnesi completa, effettuata in un clima accogliente che favorisca la comunicazione tra operatore e paziente, è uno strumento essenziale per l’identificazione dei fattori di rischio da monitorare.
La valutazione del rischio di suicidio si avvale di:
Una migliore valutazione del rischio e la conoscenza del problema consentono di mantenere un adeguato livello di vigilanza se il paziente è turbato o, paradossalmente, se i sintomi sembrano alleggerirsi.
Particolare attenzione va rivolta ai pazienti fragili sottoposti a repentini cambiamenti di vita e a coloro che:
4.1.2. Percorso clinico assistenziale
Il rischio di suicido è massimo nei primi giorni del ricovero e nella prima settimana dopo la dimissione. La presa in carico del paziente, oltre ad un’accurata valutazione, richiede:
All’atto della dimissione di pazienti che hanno tentato il suicidio è opportuno assicurare:
– la disponibilità immediata di un referente ospedaliero da contattare in caso di bisogno;
– l’integrazione con i servizi territoriali sociosanitari per fornire supporto fisico e psicologico in modo attivo e continuativo.
4.2. Caratteristiche strutturali dell’ospedale e processi organizzativi
Le caratteristiche dell’ambiente e degli spazi ospedalieri ed i processi organizzativi possono contribuire ad evitare il verificarsi dell’evento.
4.2.1. L’ospedale
E’ opportuno che l’ospedale, nel rispetto della dignità della persona, disponga, rispettando le priorità e i limiti di spesa, di:
I requisiti strutturali indicati sono indispensabili in caso di ristrutturazione di reparti o in caso di costruzione di nuovi ospedali.
4.2.2. I processi organizzativi
E’ necessario:
Inoltre, è necessario che la struttura sanitaria disponga di una procedura per la corretta gestione dell’accaduto che preveda la comunicazione dell’evento ai familiari ed a tutte le persone coinvolte ed il necessario supporto.
4.2.3 La Formazione
Per aumentare la capacità degli operatori di rilevare la predisposizione dei pazienti al suicidio ed adottare idonee misure di prevenzione, vanno incrementate le attività di orientamento e formazione del personale rispetto a tale problematica, nonché garantiti richiami sulla comunicazione e sui rischi connessi al suicidio in tutte le attività formative.
Va previsto, inoltre, un aggiornamento specifico periodico del personale operante in unità operative considerate critiche.
Le Direzioni Generali, le Direzioni Sanitarie, la Direzione Medica di Presidio, i Direttori di Dipartimento sono responsabili della implementazione della Raccomandazione.
Le Direzioni Aziendali devono predisporre e rendere disponibile a tutti gli operatori un protocollo operativo per la prevenzione e la gestione degli atti suicidiari.
La presente Raccomandazione sarà oggetto di revisione periodica e sarà aggiornata in base alle evidenze emerse ed ai risultati della sua applicazione nella pratica clinica.
L’Azienda deve favorire la segnalazione degli eventi sentinella tramite specifiche procedure aziendali. L’evento sentinella “Suicidio di paziente in ospedale” deve essere segnalato secondo il protocollo di monitoraggio degli eventi sentinella del Ministero della Salute.
Il protocollo della Società Italiana di Psichiatria del 17.10.2013
Oltre alla Raccomandazione Ministeriale n. 4/2008 (“Prevenzione del suicidio di paziente in Ospedale”), si segnala il protocollo adottato dalla Società Italiana di Psichiatria il 17 ottobre 2013, intitolato “Prevenzione del Suicidio nei Centri di Salute Mentale, Pronto Soccorso ed SPDC”, che ha tenuto presente nella stesura del protocollo della specifica Raccomandazione Ministeriale suddetta.
Il Protocollo affronta il problema tenendo presente i principali setting di incontro del paziente:
In tutti e quattro i casi, le due attività irrinunciabili per la prevenzione del suicidio sono:
– valutazione del rischio;
– gestione del paziente a rischio di suicidio.
Un operatore può trovarsi a dover valutare il rischio di suicidio in persone che non hanno un’anamnesi positiva per pregressi tentativi ma che, durante il colloquio, esprimono una perdita di speranza per il futuro o una iniziale elaborazione di idee suicidarie.
L’operatore può inoltre incontrare persone che hanno invece in anamnesi un tentativo (o più) di suicidio, oppure, in altri casi ancora, persone che hanno messo in atto un tentativo di suicidio e per questo sono state ricoverate in urgenza presso il Pronto Soccorso.
In quest’ultimo caso, a seconda della tipologia del mezzo impiegato, il paziente potrà prima esser ricoverato in un reparto chirurgico, internistico, o di rianimazione e successivamente nel Diagnosi e Cura Psichiatrico.
Nei casi in cui la persona ha un’intenzione suicidaria o ha messo in atto in precedenza tale intenzione, è necessario’ indagare quanto l’ideazione (o il proposito) possa trasformarsi in atto vero e proprio, riservandosi, l’operatore, di mettere in atto soluzioni che riterrà più opportuno tra le quali, se necessario, il ricovero.
Nei casi in cui la persona, per qualsivoglia ragione, sfugga a questa prima fase di indagine e metta in atto il gesto suicidario, non raggiungendo fortunatamente l’esito letale, si provvederà al ricovero secondo procedure di massima allerta per proteggere il paziente durante la degenza.
Altrettanto delicata per questa tipologia di pazienti è la fase della dimissione che deve essere opportunamente programmata col coinvolgimento di tutte le persone della rete assistenziale.
Poiché comunque il gesto suicidario e, e resta a tutt’oggi, un gesto imprevedibile, l’operatore deve conoscere e mettere in atto tutte le procedure possibili in caso di rischio per scongiurare l’evento suicidario, soprattutto dimostrare di averlo fatto, pur non avendo la certezza matematica che il paziente non metta in atto il suo proposito.
Quando l’operatore reputi necessario approfondire l’atteggiamento negativo della persona riguardo alla propria vita, deve metter in atto degli accorgimenti, quali:
instaurare un colloquio clinico fondato sul vissuto interiore e sulle sue credenze, sulla speranza, sulla disperazione, sul grado di sofferenza esistenziale oltre che sull’indagine psicopatologica, impiegando specifici strumenti di valutazione che possano aiutare ad aver una idea più chiara del mondo interiore;
metter in atto, durante il ricovero, una serie di ulteriori accorgimenti organizzativi, assistenziali, strutturali e terapeutici allo scopo di ridurre al massimo il rischio di passaggio all’atto suicidario.
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