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27/06/2022Non è così raro che pazienti ricoverati in ospedale contraggano infezioni (dette nosocomiali) da cui derivino un prolungamento del ricovero, un peggioramento della salute o, addirittura, come nel caso che trattiamo con questo articolo, la morte.
Un caso recentemente trattato dal Tribunale Civile di Roma, con sentenza del 7 ottobre 2020, ci da lo spunto per spiegare come ottenere il risarcimento dei danni, sia quelli subiti in vita dal paziente che quelli subiti dai suoi familiari.
- Infezione contratta in ospedale
- La responsabilità dell’ospedale
- Come si ottiene il risarcimento dei danni subiti dalla vittima
- Come si ottiene il risarcimento dei danni subiti dai familiari
- Perché rivolgersi a noi per casi di malasanità
Infezione contratta in ospedale
Un uomo veniva sottoposto ad intervento di sostituzione valvolare aortica e dell’aorta ascendente con reimpianto delle coronarie per malfunzionamento protesico.
L’intervento risultava perfettamente riuscito, ma dopo alcune settimane dalle dimissioni si manifestavano i primi sintomi di una infezione nosocomiale che portava l’uomo alla morte.
Infatti, a seguito di una Consulenza Tecnica d’Ufficio disposta dal Tribunale, veniva accertata come causa della morte, l’arresto cardiaco determinato da mediastinite post chirurgica e dalle sue successive complicazioni (sepsi e shock settico).
In particolare, veniva accertata un’infezione post chirurgica da “Pseudomonas aeruginosa”, che ha provocato un ascesso peri-protesico e mediastinite, sepsi, ascesso cerebrale ed infine il decesso del paziente.
La responsabilità dell’ospedale
Il Tribunale di Roma ci fa comprendere in modo preciso e puntuale in cosa consiste la responsabilità medico-sanitaria in caso di infezione nosocomiale.
Sul punto, occorre premettere che le infezioni correlate all’assistenza (ICA) si definiscono come infezioni che insorgono nel corso di un ricovero ospedaliero o in un luogo di cura e assistenza, non presenti né clinicamente, né in incubazione, al momento del ricovero stesso oppure si manifestano dopo la dimissione, pur essendo causalmente riferibili per tempo di incubazione, agente eziologico e modalità di trasmissione al ricovero stesso (tale nozione è riportata dall’O.M.S. in Prevention of hospital-acquired infections – A practical guide, 2nd ed. 2002).
Poi, che le infezioni correlate all’assistenza sono uno dei più importanti eventi avversi in sanità e si stima che a livello europeo esse siano responsabili di circa 37.000 decessi all’anno (Moroni, 2014) dei quali non meno di 4.000 in Italia.
Ancora, che le infezioni del sito chirurgico rappresentano una complicanza temibile, anche se evitabile, di qualunque procedura chirurgica e malgrado gli sforzi dedicati alla loro prevenzione continuano ad essere relativamente frequenti.
Inoltre, che l’accettazione di un degente presso una struttura ospedaliera comporta l’assunzione di una prestazione strumentale e accessoria – rispetto a quella principale di somministrazione delle cure mediche, necessarie a fronteggiare la patologia del ricoverato – avente ad oggetto la salvaguardia della sua incolumità fisica e patrimoniale quantomeno dalle forme più gravi di aggressione, tra le quali certamente rientra la protezione dal rischio infettivo.
L’infezione nosocomiale costituisce però una complicanza sempre possibile, pur in presenza di procedura chirurgica corretta, di profilassi antibiotica adeguata e di assoluta correttezza dell’attività di sterilizzazione e prevenzione; ed, infatti, possono intervenire infezioni nosocomiali non addebitabili all’ospedale, per essere esse prevedibili ma non sempre prevenibili (soprattutto nel caso di pazienti ad elevato rischio).
Come si ottiene il risarcimento dei danni subiti dalla vittima
I familiari del paziente morto hanno fatto causa alla clinica per ottenere, sia il risarcimento dei danni subiti dal paziente nel periodo intercorso tra l’intervento chirurgico e la morte, che spetterebbero loro in qualità di eredi (ossia “iure successionis”), sia i danni da perdita del rapporto parentale, ossia per aver perso il congiunto (ossia “iure proprio”).
Per quanto riguarda il risarcimento dei danni subiti dal paziente finchè è stato in vita, per ottenere il risarcimento dei danni, si applicano i principi della responsabilità contrattuale.
Con specifico riferimento all’onere della prova, una volta accertato che il paziente abbia contratto una infezione nosocomiale, non vi può essere alcun dubbio che “incombe sulla struttura ospedaliera l’onere di provare di avere adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta e consapevole sanificazione, al fine di evitare la contaminazione dei pazienti ad opera dei batteri c.d. nosocomiali”.
Quindi, spetta alla struttura sanitaria offrire la prova liberatoria e, cioè, dimostrare che il danno subito dal paziente si sia verificato per causa a sé non imputabile; in particolare, una volta accertata la sussistenza del nesso causale, spetta alla struttura ospedaliera l’onere di dimostrare di avere diligentemente operato, sia sotto il profilo dell’adozione, ai fini della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica eventualmente adoperata, di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, onde scongiurare l’insorgenza di patologie infettive a carattere batterico, sia sotto il profilo del trattamento terapeutico prescritto e somministrato al paziente dal personale medico, successivamente alla contrazione dell’infezione.
Nel caso di specie, il Tribunale di Roma ha ritenuto che la clinica non abbia dato prova di una corretta applicazione delle misure standard di profilassi delle infezioni ospedaliere e delle misure generali di prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza e, pertanto, non ha potuto escludere che a livello della struttura ospedaliera considerata nel suo complesso si sia verificata una qualche violazione delle norme di comportamento generale di asepsi prevista dalla migliore scienza medica e dalle Linee Guida.
La struttura non ha dimostrato di aver adottato e messo a disposizione del paziente tutte le attrezzature idonee ad evitare l’insorgenza della complicanza infettiva post-chirurgica; in altri termini, il paziente risulta avere contratto una fatale infezione nosocomiale che l’ha condotto al decesso imputabile al comportamento della struttura convenuta la quale – così come, invece, sarebbe stato suo preciso onere probatorio – non ha provato di avere adeguatamente protetto l’ammalato dal rischio infettivo suddetto (e, cioè, non ha offerto la prova positiva del corretto adempimento, sulla base di quanto era possibile ed esigibile, in quel determinato momento, dalla scienza del settore, al fine di ridurre al minimo il rischio di esposizione ad infezioni nosocomiali dei pazienti).
Quindi gli eredi del paziente deceduto hanno ottenuto il risarcimento dei danni subiti da quest’ultimo.
Come si ottiene il risarcimento dei danni subiti dai familiari
Se il rapporto che si crea tra paziente ed ospedale è di tipo contrattuale, quello tra i familiari del paziente e l’ospedale è invece di tipo extracontrattuale.
Ne discendono alcune notevoli differenze, tra cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno (5 anni, anziché 10 come per la responsabilità contrattuale) e un diverso onere della prova per i familiari, laddove intendano ottenere il risarcimento dei danni subiti per perdita del rapporto parentale.
Infatti, in questo caso, “essi devono dimostrare (anche in via presuntiva) l’esistenza di una qualche omissione e/o negligenza posta in essere dalla struttura sanitaria nell’adozione ed attuazione delle misure di prevenzione volte a ridurre al minimo il rischio infettivo”.
Infatti, i prossimi congiunti hanno la possibilità di agire per il risarcimento dei danni che abbiano subito in conseguenza dell’inadempimento della struttura o del sanitario nei confronti di un loro congiunto, ma in tal caso la condotta inadempiente non potrà rilevare come tale, bensì unicamente come illecito extracontrattuale, da far valere e da accertare ai sensi dell’art. 2043 c.c..
E, nel caso trattato dal Tribunale di Roma, è stato ritenuto che essi non abbiano dimostrato in cosa sia consistita la negligenza della struttura, non avendo essi prodotto alcun documento, né avendo articolato alcun mezzo di prova (interrogatorio formale e/o prova per testi, ad esempio, sulle condizioni igieniche dei locali; sull’uso da parte dei sanitari dei dispositivi di protezione individuale, quali guanti e mascherine; sull’igiene delle mani del personale sanitario; sulle modalità attuate per il controllo e la limitazione dell’accesso ai visitatori, etc.), né essendosi attivati chiedendo alla struttura convenuta l’esibizione e/o la produzione dei rapporti di sanificazione della sala operatoria, dei certificati di sterilizzazione degli strumenti chirurgici, etc..
Quindi la loro richiesta risarcitoria è stata rigettata.
Perché rivolgersi a noi per casi di malasanità
Il caso che abbiamo trattato è simile a uno dei tanti casi di malasanità di cui i nostri avvocati e consulenti medici si occupano da venti anni.
Se tu o un tuo familiare siete vittima di malasanità, potete contattarci tutti i giorni per avere un parere, sia dai nostri avvocati, sia dai nostri consulenti.
Ti basterà raccontarci il caso e consegnarci copia della cartella clinica e, entro pochi giorni, sapremo dirti se puoi ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti!
Affidati ad avvocati esperti nel settore della responsabilità medico-sanitaria, che conoscono bene la procedura per denunciare il medico responsabile e richiedere all’ospedale il risarcimento di tutti i danni!
NOTA BENE: avvocaticollegati.it invita gli utenti interessati a promuovere azioni di risarcimento danni per responsabilità medico-sanitaria, a contattarci solo se il caso riguarda decessi o grandi invalidità. Si informa inoltre che, al fine di evitare azioni temerarie o meramente speculative, gli avvocati presteranno assistenza legale solo previa valutazione del caso da parte dei nostri consulenti medici, e solo ove questi ultimi abbiano effettivamente ritenuto sussistente una responsabilità-medico sanitaria.
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