Con questo articolo parliamo della donazione, ma anche di casi di malasanità legati al trapianto di organi infetti in pazienti sani e, quindi, del risarcimento che è a loro dovuto.
Come si diventa donatori: dopo la morte o in vita
Ciascuno di noi, purchè maggiorenne, può liberamente decidere di donare uno o più organi (ma anche tessuti e cellule) a favore di persone colpite da gravi e irreversibili malattie.
La donazione può avvenire dopo la morte o in vita.
Chi decide di lasciare a disposizione il proprio corpo dopo la morte, affinchè ne vengano prelevati organi, può manifestare la propria volontà nei seguenti modi:
Si può cambiare idea sulla donazione in qualsiasi momento.
Nel caso in cui non sia stata rilasciata alcuna dichiarazione in merito alla donazione, il prelievo di organi sarà consentito solo se i familiari del defunto non si opporranno alla donazione.
Gli organi che possono essere donati dopo la morte sono: cuore, polmoni, rene, fegato, pancreas e intestino; tra i tessuti: pelle, ossa , tendini, cartilagine, cornee, valvole cardiache e vasi sanguigni.
Quando si è in vita si possono donare il rene, una porzione del fegato (in quest’ultimo caso si parla tecnicamente di “split”) e, dal 2012, è consentito anche il trapianto parziale tra persone viventi di polmone, pancreas e intestino.
In vita si possono donare anche cellule staminali emopoietiche (che danno origine a tutti gli elementi del sangue come globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, e il sangue del cordone ombelicale.
I medici devono accertare che l’organo sia sano
L’ospedale pubblico o la clinica privata che procede all’asportazione di un organo dal soggetto “donante”, prima di trapiantarlo nel paziente che ne ha bisogno, è tenuto tramite i propri medici ad accertarsi che esso sia immune da problematiche che possano ulteriormente aggravare la salute del “donatario”.
Il paziente che è in attesa di trapianto, infatti, ha il diritto di essere curato da parte dei medici in modo diligente, prudente e perito.
Se l’organo trapiantato risultasse malato e/o inidoneo ad essere trapiantato, infatti, il paziente avrebbe diritto al risarcimento di tutti i danni subiti per lesioni, per aggravamento della propria salute o per la morte (in questo caso il risarcimento spetterebbe anche ai suoi familiari).
Vediamo un caso di malasanità legato al trapianto di organi.
Il caso: trapianto di cornea infetta
Riportiamo il caso che è stato deciso dalla sentenza n. 24213/2015 della Corte di Cassazione civile sez. III.
Il 9.3.2004 S.A.M. si sottopose ad un trapianto di cornea eseguito dal dott. F.S. nella clinica gestita dalla società CMO.
Il trapianto venne eseguito con cornee fornite dalla “banca degli occhi” gestita dalla Azienda Ospedaliera.
Le cornee impiantate provocarono un’infezione che a sua volta causò un danno permanente alla paziente.
Allegando questi fatti, nel 2005 S.A.M. convenne dinanzi al Tribunale di Roma F.S., l’Azienda e la CMO, chiedendone la condanna al risarcimento del danno.
Nel 2009 il Tribunale di Roma accolse la domanda e condannò i convenuti in solido.
La sentenza venne appellata in via principale da S.A.M. e in via incidentale da F.S. e dalla Azienda.
La Corte d’appello di Roma nel 2011 accolse l’appello principale del S.A.M., e liquidò il danno in misura più cospicua.
La sentenza d’appello è stata impugnata in via principale da S.A.M. ed in via incidentale dall’Azienda.
Ci interessa in questo caso analizzare la sentenza della Corte di Cassazione nel punto che segue.
Le “regole di condotta” dei medici
Espone l’Azienda che la Corte d’appello avrebbe errato nell’attribuire all’Azienda la responsabilità per l’infezione patita da S.A.M..
L’Azienda infatti non sarebbe stata tenuta ad analizzare i tessuti corneali custoditi nella “banca degli occhi”, e per di più sul contenitore della cornea c’era un’etichetta che “consigliava” di eseguire un esame microbiologico.
Ma la Corte di Cassazione ritiene infondata la censura per i seguenti motivi.
L’art. 2043 del codice civile stabilisce che ciascuno è responsabile del danno causato ad altri con una condotta colposa o dolosa. La colpa civile di cui all’art. 2043 c.c., consiste nella deviazione da una regola di condotta.
“Regola di condotta” è non soltanto la norma giuridica, ma anche qualsiasi doverosa cautela concretamente esigibile dal danneggiante.
Stabilire se l’autore dell’illecito abbia o meno violato norme giuridiche o di comune prudenza è accertamento che va compiuto alla stregua dell’art. 1176 c.c., pacificamente applicabile anche alle ipotesi di responsabilità extracontrattuale (ex multis, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 17397 del 08/08/2007, Rv. 598610).
L’art. 1176 c.c. impone al debitore di adempiere la propria obbligazione con diligenza.
La diligenza di cui all’art. 1176 c.c. è nozione che rappresenta l’inverso logico della nozione di colpa: è in colpa chi non è stato diligente, là dove chi tiene una condotta diligente non può essere ritenuto in colpa.
L’autore d’un illecito non è dunque per ciò solo in colpa: quest’ultima sussisterà soltanto nel caso in cui il preteso responsabile non solo abbia causato un danno, ma l’abbia fatto violando norme giuridiche o di comune prudenza.
Le norme di comune prudenza dalla cui violazione può scaturire una colpa civile non sono uguali per tutti.
Nel caso di inadempimento di obbligazioni comuni, ovvero di danni causati nello svolgimento di attività non professionali, il comma 1, art. 1176 c.c., impone di assumere a parametro di valutazione della condotta del responsabile il comportamento che avrebbe tenuto, nelle medesime circostanze, il “cittadino medio”, ovvero il bonus paterfamilias: vale a dire la persona di normale avvedutezza, formazione e scolarità.
Nel caso, invece, di inadempimento di obbligazioni professionali, ovvero di danni causati nell’esercizio d’una attività “professionale” in senso ampio, il comma 2, art. 1176 c.c., prescrive un criterio più rigoroso di accertamento della colpa.
Il “professionista”, infatti, è in colpa non solo quando tenga una condotta difforme da quella che, idealmente, avrebbe tenuto nelle medesime circostanze il bonus paterfamilias; ma anche quando abbia tenuto una condotta difforme da quella che avrebbe tenuto, al suo posto, un ideale professionista “medio” (il cd. homo eiusdem generis et condicionis). L’ideale “professionista medio” di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, nella giurisprudenza di questa Corte, non è un professionista “mediocre”, ma è un professionista “bravo”: ovvero serio, preparato, zelante, efficiente.
Il paziente deve essere risarcito
Nel caso di specie la Corte di Cassazione ritiene che deve escludersi che l’Azienda abbia rispettato le regole di condotte esigibili dall’homo eiusdem generis et condicionis, ovvero dal gestore “medio” ex art. 1176 c.c., comma 2, d’una “banca degli occhi”.
All’epoca dei fatti non essendo in vigore la L. 1 aprile 1999, n. 91, art. 6 bis introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 340, lett. c), la materia era disciplinata dalla L. 12 agosto 1993, n. 301 (recante “Norme in materia di prelievi ed innesti di cornea”), il cui art. 4 stabilisce: le regioni, singolarmente o d’intesa tra loro, provvedono all’organizzazione, al funzionamento ed al controllo dei centri di riferimento per gli innesti corneali regionali o interregionali.
La medesima norma attribuisce ai “centri di riferimento” il compito di provvedere all’organizzazione dei prelievi di cornea comma 2, lett. (b), nonchè di provvedere all’esame, selezione, eventuale trattamento e consegna delle cornee comma 2, lett. (d).
In attuazione di tale norma, l’Accordo Stato-Regioni del 14.2.2002, nell’articolo unico, p. B.3, ha stabilito che “nell’ambito degli specifici compiti attribuitigli dalla L. 1 aprile 1999, n. 91, art. 8, comma 6 (…) il Centro nazionale per i trapianti provvede alla stesura di linee-guida dedicate alla definizione di criteri e modalità, relativi ai centri individuati dalle regioni e dalle province autonome come strutture idonee per i trapianti di organi e di tessuti”.
All’accordo Stato-Regioni ha dato seguito il D.M. 2 agosto 2002 (recante “Criteri e modalità per la certificazione dell’idoneità degli organi prelevati al trapianto”), il quale all’art. 1, comma 4, ha demandato al Centro nazionale per i trapianti il compito di predisporre apposite linee guida, da approvare da parte della Conferenza Stato-Regioni.
Tali linee guida, nel testo applicabile ratione temporis, all’art. 2, 2, stabiliscono che le banche degli occhi hanno il compito di raccogliere, processare, conservare e distribuire i tessuti oculari prelevati da donatore cadavere, “certificandone idoneità e sicurezza”, ed all’art. 6, comma 4, stabiliscono che immediatamente dopo il prelievo “l’operatore posiziona in condizioni di asepsi il tessuto prelevato all’interno di un idoneo contenitore”.
Dal quadro normativo sopra riassunto si ricava che:
(a) all’epoca dei fatti, le linee-guida del Centro Nazionale per i Trapianti costituivano tecnicamente una norma (amministrativa) delegata;
(b) dal blocco normativo rappresentato dalla legge delega, dall’Accordo Stato-Regioni e dalle linee-guida (artt. 2 e 4, sopra trascritti) emerge una regola di condotta, consistente nel dovere dell’ente gestore della “banca degli occhi” di garantire la sepsi dei tessuti corneali;
(c) la deviazione da tale obbligo costituisce dunque una condotta colposa ex art. 1176 c.c., comma 2.
Per tali motivi la Corte di Cassazione ha confermato il diritto del paziente ad essere risarcito in solido da medico, clinica e azienda sanitaria.
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