Riportiamo un caso di malasanità relativo ad infezione contratta da una paziente in una struttura sanitaria dove era andata per sottoporsi ad interventi chirurgici.
Per ottenere il risarcimento il danneggiato deve provare di aver contratto l’infezione, restando a carico della struttura sanitaria, per andare esente da colpa, provare di aver seguito validi protocolli sull’igiene.
Come ridurre l’impatto delle infezioni ospedaliere
Tra le misure chiave indicate dal Ministero della Salute ricordiamo:
Il caso: paziente rimane invalida (anche) per infezione nosocomiale
I coniugi P.T. e L.V., in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulle tre figlie minori, hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna la (OMISSIS) per sentirla condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla sig.ra P. in esito a due interventi eseguiti dal Dott. Pi.Ge. presso la suddetta casa di cura.
Gli attori hanno dedotto che: i) in data (OMISSIS) la sig.ra P. si ricoverava presso la (OMISSIS) e, nello stesso giorno, veniva sottoposta ad intervento di “asportazione dell’ernia e neurolisi bilaterale“; ii) l’intervento non riusciva perfettamente in quanto, dopo circa due mesi, la paziente accusava una sciatalgia bilaterale più accentuata a sinistra; iii) in data (OMISSIS) si ricoverava di nuovo a (OMISSIS) dove subiva un ulteriore intervento per recidivante erniaria di “neurolisi L5-S1 bilaterale e foraminectomia bilaterale di L5” eseguito sempre dal Dott. Pi.; iv) dopo circa una settimana sopraggiungeva una “infezione chirurgica della ferita operatoria” che rendeva necessario, in data (OMISSIS), il ricovero presso il nosocomio (OMISSIS) dove veniva eseguita una “revisione chirurgica della ferita lombare infetta” ed accertata la positività al batterio Serratia Marcenscens.
Il Tribunale rigettava la domanda, sulla scorta della CTU medico-legale espletata, secondo cui non si era ritenuta raggiunta la prova in ordine al danno, nonchè in ordine alla riferibilità causale degli esiti patologici accusati dall’attrice agli interventi medici eseguiti.
In particolare, in relazione alla plegìa e all’incontinenza lamentata dalla paziente, ha evidenziato una sostanziale inconciliabilità tra l’obiettività clinica mostrata dalla sig.ra P. all’esame dei periti e i sintomi lamentati, ritenuti di natura psicosomatica.
In ordine all’infezione da “Serratia Marcescens“, invece, ha escluso ogni responsabilità della (OMISSIS) non ritenendo provato il nesso causale tra l’infezione e l’operato dei sanitari, in virtù dell’esistenza di altre possibili cause anche prevalenti dell’infezione
Gli attori proponevano appello alla Corte di Appello di Bologna che, tuttavia, rigettava l’impugnazione.
La struttura sanitaria deve provare di non aver diffuso infezioni
Contro la sentenza della Corte d’Appello, i coniugi P.- L. hanno proposto ricorso per cassazione, e la Corte ha dato loro ragione con sentenza n. 4864 del 23.02.2021. Vediamo i passi salienti.
La Corte intanto precisa che: “mentre il danneggiato deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario, il sanitario deve provare l’esatta esecuzione della prestazione o l’impossibilità dell’esatta esecuzione dovuta ad una causa imprevedibile ed inevitabile>>.
Dopodichè la Corte di Cassazione ritiene provato che il secondo intervento era stato necessitato dal primo, in quanto eseguito per recidivante dell’ernia originariamente operata. Il terzo intervento, a sua volta, era stato necessitato dal secondo, trattandosi di revisione della ferita operatoria infetta.
Gli attori, dunque, avevano provato la correlazione, in termini di efficienza causale, tra il progressivo aggravamento patologico e la condotta del sanitario, spettando a quel punto, alla convenuta (OMISSIS) e al Dott. Pi. provare l’esatto adempimento della prestazione ovvero il fattore causale alternativo da solo idoneo a cagionare l’evento, nonchè la sua imprevedibilità.
Vieppiù che le stesse conclusioni peritali avevano valutato la correlazione del quadro patologico presentato dalla paziente con gli interventi eseguiti, ritenendolo quale possibile esito degli stessi, seppure aggravato dall’infezione contratta, la cui genesi nosocomiale definivano “altamente probabile“.
Ora, “una volta ritenuta altamente probabile dai consulenti la natura esogena dell’infezione, causata da germi di tipo ospedaliero, doveva operarsi la valutazione della responsabilità giuridica del medico e della casa di cura alla luce della prova liberatoria offerta in ordine al corretto adempimento dei sanitari”, da soddisfarsi sotto due specifici profili, vediamo quali sono.
La struttura sanitaria deve adottare misure di salvaguardia dell’igiene
Se la struttura vuole andare esente da colpe, deve dimostrare, sul piano generale, di aver adottato, ai fini della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica eventualmente adoperata, di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, onde scongiurare l’insorgenza appunto di patologie infettive a carattere batterico.
I medici devono praticare una corretta terapia pre e post intervento
Abbiamo visto l’onere probatorio della struttura.
Per quanto riguarda quella del personale, sul piano individuale, i sanitari devono dimostrare di aver praticato un necessario e doveroso trattamento terapeutico valutando se, nel caso specifico, fosse stata praticata una corretta terapia profilattica pre e post-intervento.
Alcuni casi di infezioni nosocomiali
L’ente ospedaliero è tenuto, una volta che il paziente è stato ricoverato, ad adottare un modello organizzativo e di prevenzione finalizzato ad evitare, o perlomeno ridurre, il rischio di insorgenza di infezioni di tipo nosocomiale, per tutta la durata del ricovero e ad apprestare cure e trattamenti terapeutici adeguati al contagio; all’ente, quindi, spetta dimostrare di aver adottato e rispettato tutte le procedure per una adeguata asepsi (misure di prevenzione e di profilassi), così da far escludere la sussistenza di alcun profilo di colpa e ricondurre l’infezione all’interno di quella percentuale di casi non evitabili e rientranti nel c.d. rischio consentito. Corte appello, Genova ,sez. II ,24/11/2021 , n. 1194.
Qualora sia stata provata la riconducibilità causale del danno alla salute al fatto della struttura sanitaria, incombe su detta struttura l’onere di fornire la prova della riconducibilità dell’inadempimento a una causa autonoma ad essa struttura non imputabile, in coerenza al principio in forza del quale, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’insorgenza di una nuova malattia e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza (fattispecie in tema di responsabilità della struttura sanitaria per infezione nosocomiale contratta durante intervento chirurgico). Corte appello, Napoli, sez. VII, 28/01/2020, n. 350.
Sussiste nesso causale tra il fatto illecito e l’ulteriore evento lesivo, rappresentato dalla sepsi, sviluppatasi a causa dell’impianto protesico e perciò di origine nosocomiale, che non può considerarsi evenienza eccezionale ed atipica, tale da integrare causa sopravvenuta autonoma ed imprevedibile, atta ad escludere il nesso causale, ai sensi e per gli effetti dell’ art. 41, comma 2, c.p. Non rileverebbe in senso opposto, ove anche dimostrata, l’eventuale imperizia o negligenza da parte dei sanitari, che abbia causato o favorito l’insorgenza della sepsi poiché la colpa del sanitario, ancorché grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell’autore dell’illecito. Corte appello, Venezia, sez. IV, 2/06/2017, n. 1233.
In tema di responsabilità professionale del medico, in relazione al nesso causale tra la condotta colposa del medico e l’evento lesivo è da escludere che possano avere una efficacia interruttiva le infezioni sopraggiunte durante il ricovero ospedaliero. Non è infatti configurabile il sopravvenire di un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto alla condotta originaria, cui possa annettersi valore interruttivo del rapporto di causalità: ciò perché l’infezione nosocomiale è uno dei rischi tipici e prevedibili da tener in conto nei casi di non breve permanenza nei raparti di terapia intensiva, ove lo sviluppo dei processi infettivi è tutt’altro che infrequente in ragione delle condizioni di grave defedazione fisica dei pazienti. Cassazione penale, sez. IV, 06/06/2017, n. 33770.
L’insorgenza di un’infezione nosocomiale su pazienti a lungo ricoverati in reparti di terapia intensiva, non potendosi qualificare come rischio nuovo o imprevedibile, non integra una concausa o una causa sopravvenuta di per sé sufficiente ad interrompere il nesso eziologico tra la precedente condotta colposa del sanitario e l’evento morte. L’inosservanza delle linee guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali da parte del medico è elemento sufficiente ad escludere la non punibilità della condotta imperita del medico. Cassazione penale, sez. IV, 06/06/2017, n. 33770.
Nell’ipotesi di infezione contratta in ambito ospedaliero – cd. infezione nosocomiale – graverà sul soggetto danneggiato, oltre alla prova dell’esistenza del contratto e dell’aggravamento della patologia ovvero dell’insorgenza di nuove patologie, anche la prova del nesso causale tra il pregiudizio lamentato e l’infezione, secondo un criterio di probabilità logica, mentre graverà sulla struttura sanitaria – una volta accertata la sussistenza di tale nesso causale – l’onere di dimostrare di avere diligentemente operato, sia sotto il profilo dell’adozione, ai fini della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica eventualmente adoperata, di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, onde scongiurare l’insorgenza di patologie infettive a carattere batterico, sia sotto il profilo del trattamento terapeutico prescritto e somministrato al paziente dal personale medico, successivamente alla contrazione dell’infezione. Il mancato raggiungimento della prova in ordine agli enunciati profili da parte della struttura sanitaria, ne comporta la responsabilità diretta nella causazione dell’infezione. Tribunale, Agrigento, 02/03/2016, n. 370.
Allorchè venga accertata la natura nosocomiale di una infezione per la presenza di un batterio nell’ambiente ospedaliero, la responsabilità è da imputarsi alla struttura ospedaliera (nella specie, un neonato aveva contratto una meningite da staffilococco in seguito all’applicazione di un catetere; la Corte ha ritenuto che la responsabilità per colpa dei medici, per aver trattenuto il catetere ombelicale oltre il tempo strettamente necessario, dovesse qualificarsi come lieve, atteso che la letteratura dell’epoca non censurava il mantenimento del catetere per tale periodo, l’uso di vasi arteriosi più piccoli non era comunque esente da rischi e, infine, perché si provvide alla somministrazione anticipata di antibiotici proprio al fine di prevenire infezioni). Cassazione civile, sez. III, 10/12/2012, n. 22379.
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