Una donna si è rivolta al Tribunale di Napoli perché, nel corso di un ricovero per “coleciste calcolosi”, non le fu diagnosticata anche una pancreatite che poi è diventata cronica.
Il Tribunale ha quindi condannato i medici al risarcimento dei danni subiti dalla paziente, con sentenza n. 1925 del 22 febbraio 2018, per colpa consistita nell’aver omesso gli opportuni accertamenti.
La pancreatite acuta e cronica
Il pancreas è un organo ghiandolare situato nell’addome che produce diversi ormoni, tra cui l’insulina e il glucagone (che regolano il livello degli zuccheri nel sangue), e vari enzimi (per esempio, la tripsina) che, trasportati dai dotti pancreatici nell’intestino, contribuiscono alla digestione e all’assorbimento dei nutrienti.
La pancreatite è un’infiammazione del pancreas che può essere diagnosticata in due fasi distinte: la pancreatite acuta e la pancreatite cronica.
Nel 90% dei casi le cause della pancreatite acuta sono: calcolosi biliare, ancora più frequente nel sesso femminile; abuso di alcool.
Rispetto alla forma acuta, la pancreatite cronica presenta sintomi e segni più sfumati o subdoli e, talvolta, può presentarsi come asintomatica, non generando alcun tipo di disturbo al paziente, o paucisintomatica, con pochi sintomi.
Il caso: i medici non diagnosticano alla paziente una pancreatite acuta
Una donna fu ricoverata, in data 29.6.2007, presso una Casa di Cura con diagnosi di ingresso di “colecistite, calcolosi” e, in data 2.7.2007, fu sottoposta ad intervento chirurgico di colecistectomia per via laparotomica.
Gli esami ematochimici eseguiti durante il ricovero mostrarono un aumento degli indici di funzionalità epatica e pancreatica, e la paziente fu dimessa in data 5.7.2007 con prescrizione di terapia domiciliare, nonostante la paziente lamentasse nausea, vomito e dolori addominali.
Per il peggioramento del quadro clinico, caratterizzato da coliche addominali e disturbi digetisti, in data 9.12.2007 la donna fu trasportata in Ospedale, con diagnosi di ingresso di “pancreatite acuta”.
Gli esami ematochimici eseguiti in regime di ricovero mostrarono ipertransaminasemia, iperbilirubinemia e iperamilasemia e la donna fu sottoposta a terapia farmacologica con antibiotici.
In data 14.12.2007 fu sottoposta ad esame colangio RM e RM dell’addome superiore, da cui emerse la presenza di “ectasia relativa del coledoco con aspetto irregolare del lume per evidenza di alcune immagini micro nodulari di assente segnale, suggestive per micro litiasi”. Fu quindi dimessa il 16.12.2007 con diagnosi di coledocolitiosi.
In data 27.12.2007 fu nuovamente ricoverata in Ospedale con diagnosi di ingresso di “pancreatite acuta, litiasi UBP”; durante la degenza, un esame ERCP evidenziò la presenza di calcolosi della via biliare principale, per cui si procedette a papillotomia e all’estrazione dei calcoli. Fu poi dimessa il successivo 2.1.2008.
Successivamente, a causa di attacchi di panico ricorrenti, disturbi dell’umore e del sonno, venne sottoposta all’osservazione dei Sanitari del Centro di Salute Mentale, che certificarono la presenza di una “sindrome depressiva reattiva media con disturbo da attacchi di panico con agofafobia in seguito all’episodio di pancreatite acuta … manifesta grave fobia per le malattie, paura di rimanere da sola e di allontanarsi da casa, paura di mangiare (è dimagrita circa 10 kg), crisi di panico, apatia grave astenia, insonnia, tensione nervosa, ideazione ossessiva riguardante la malattia che l’ha messa in pericolo di vita”.
Per colpa dei medici la pancreatite è diventata cronica
Secondo i periti nominati dal Tribunale: a) dagli esami ematochimici praticati nelle prime fasi di ricovero e antecedentemente all’intervento chirurgico del 2.7.2007 appariva già uno stato di sofferenza epatica (“epatopatia satellite”); b) nonostante fosse attendibile l’ipotesi che si versasse in ipotesi di empiema della colecisti (raccolta di materiale settico in cavità anatomica preformata, nel caso specifico la colecisti), patologia confermata successivamente, nel diario operatorio dell’intervento del 2.7.2007, il chirurgo operatore ed i sanitari non eseguirono, sia nella fase antecedente all’intervento che in quella successiva, esami ematochimici volti ad indagare la funzionalità pancreatica, attraverso indagini laboratoristiche e strumentali di facile e routinaria esecuzione; c) una volta accertata la diagnosi di empiema, i sanitari, “non si preoccuparono di mantenere la signora (omissis) sotto attenta osservazione”, dimettendola nonostante la manifesta iperamilasemia, indicativa di una pancreatite acuta in atto: “Per vero la perizianda, dopo trattamento a base di Gabesato mesilato (Foy), inibitore delle proteasi pancreatiche, avrebbe dovuto eseguire una colangio RMN per venam: detto esame strumentale avrebbe permesso di valutare le reali condizioni sia del pancreas che delle residue vie biliari.
A riprova di ciò vi è la somministrazione di detto farmaco durante il successivo ricovero del 9.12.2007 che ha determinato la riduzione dei livelli di anilasemia (30.12 – 272.U.I)”; d) tale comportamento omissivo da parte dei sanitari della Clinica ha determinato, di fatto, “la persistenza di un quadro acuto di pancreatite con tendenza alla recidiva, foriero successivamente a sua volta di episodi di coliche addominali, per le quali la p. fu costretta suo malgrado a ricorrere più volte a cure mediche con successivi ricoveri”.
Difatti, “se a tempo debito fosse stata controllata la funzionalità pancreatica attraverso indagini di laboratorio e strumentali e se la pancreatite acuta fosse stata precocemente trattata, si sarebbe avuta verosimilmente la restituito ad integram dell’organo”.
I periti, inoltre, hanno ulteriormente precisato quanto segue: precedentemente all’intervento per cui è causa non veniva eseguito esame ecografico dell’addome né la perizianda era sottoposta ad esami ematochimici per valutarne i valori dell’amilasi pancreatica.
A tal proposito, è universalmente riconosciuto che l’esecuzione di dette indagini strumentali è non solo necessaria, ma diventa un obbligo cui ottemperare allorquando trattasi di pazienti in condizioni analoghe a quelle in cui versava la paziente, affetta da “empiema della colecisti”.
Detta patologia etiologicamente è determinata dall’ostruzione da calcoli del dotto cistico, (la via biliare che porta la bile dalla colecisti al coledoco … etc.), successivamente sulla bile intrappolata nella cistifellea si ha una contaminazione batterica con il formarsi dell’empiema della cistifellea.
Detta condizione settico-flogistica in primis riconducibile alla presenza ostruente dei calcoli nel cistico si può facilmente propagare e per contiguità e per migrazione dei calcoli e.o della bile, con la conseguente contaminazione a carico delle restanti vie biliari (duttite e coledocite se interessa nello specifico i dotti epatici e il coledoco), delle papille valvolari (papillite stenosante del Wirsung e.o del Vater) e del pancreas (pancreatiti acute e.o croniche).
Orbene resta comprensibile come nel caso di un empiema della colecisti, il chirurgo chiamato ad intervenire deve necessariamente avere preoperatoriamente la completa conoscenza semeiologica strumentale organica non solo della colecisti e del suo relativo cistico, ma anche delle vie biliari attigue e contigue, nonché del fegato e del pancreas.
Nel caso di specie le procedure semiologiche necessarie all’uopo non furono adottate, (l’eco del fegato, delle vie biliari e del pancreas, l’amilasemia, etc.) di conseguenza non fu previsto l’accadimento di quelle complicanze possibili ad aversi in una paziente con un diagnosticato “empiema della colecisti” (la pancreatite) e per le quali nulla fu fatto e come prevenzione e come terapia in tempi e termini adeguati.
Per concludere si ribadisce che in caso di empiema della colecisti sarebbe dovuta essere una scelta obbligata sottoporre il paziente ad adeguata semeiologia clinica strumentale preoperatoria su tutte le vie biliari e sul pancreas, esaminandone così e la condizione organica e funzionale.
I medici avrebbero dovuto effettuare esami adeguati al caso di specie
Quanto sopra in definitiva porta a dire che vi è una concreta correlazione tra la mancata esecuzione del dosaggio dell’amilasemia pancreatica e dell’esame ecografico dell’addome con l’insorgenza, della pancreatite acuta.
Infatti, se i medici avessero indagato “adeguatamente” la funzionalità pancreatica sia attraverso indagini di laboratorio (dosaggio dell’amilasemia) che attraverso indagini strumentali (esame ecografico dell’addome), avrebbero posto diagnosi di pancreatite acuta, con possibilità di un successivo adeguato trattamento, con elevata possibilità di restituitio ad integram del pancreas e, consequenzialmente, la paziente non avrebbe riportato alterazioni della funzionalità pancreatica né turbamenti psichici sfociati nel disturbo di adattamento.
Il risarcimento dei danni subiti dalla paziente
Venendo alla quantificazione dei danni, i periti hanno correttamente descritto i postumi residuati (pancreatite acuta ricorrente e cronica e disturbo psichico dell’adattamento), quantificandoli nella misura del 10% di danno biologico, con una invalidità temporanea di gg. 15 ed una parziale di gg. 60 al 50%.
Ciò posto, considerato che in sede di liquidazione del danno da invalidità per postumi permanenti il valore da attribuirsi ai punti di invalidità deve essere rapportato all’entità percentuale dell’invalidità riscontrata, e che l’aumento progressivo del predetto valore, per punto di invalidità, deve essere differenziato a seconda dell’età (dovendosi rapportare la liquidazione del danno biologico alla diversa incidenza dell’invalidità sul bene salute compromesso a seconda dell’arco vitale trascorso e dell’aspettativa di vita residua), avuto riguardo ai criteri di liquidazione del danno alla persona in uso presso il Tribunale di Milano (tabelle 2014), l’importo astrattamente liquidabile – in via di equità – per una lesione dell’integrità psico-fisica del 10% in soggetto di sesso femminile di 36 anni di età all’epoca dei fatti risulta corrispondente alla somma di Euro 22.772,00, nonché ad Euro 4.320,00 per l’invalidità temporanea.
Per quanto concerne, invece, l’ulteriore voce di danno non patrimoniale richiesta dall’attrice (danno morale), il Tribunale, alla luce della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 26972.2008, che ha riconosciuto la valenza unitaria del danno non patrimoniale, negando al contempo l’autonoma risarcibilità sia del danno morale che del danno esistenziale e sottolineando la necessità di evitare duplicazioni risarcitorie, ritiene di aderire alla soluzione prospettata in tale sentenza, per cui, ritiene in via equitativa, e tenuto conto della presumibile sussistenza delle sofferenze derivanti dalle lesioni patite (confermata dalla deposizione dei testi escussi all’udienza del 10.11.2014), quale personalizzazione del danno non patrimoniale complessivamente inteso, di aumentare del 20% la somma sopra individuata, per una cifra complessiva, già valutata all’attualità, di Euro 27.326,40, che, sommata alla somma spettante all’attrice per l’invalidità temporanea, determina il complessivo importo di euro 31.646,40.
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