Commentiamo la sentenza n. 2403/2017 della Corte di Cassazione civ. sez. III in materia di malasanità.
La Corte ha ritenuto responsabile il medico ospedaliero che, senza fare un esame istologico, ha provveduto all’asportazione di un rene del paziente, ciò che poteva essere evitato: condannati medico e ospedale!
L’esame istologico: di cosa si tratta
L’esame istologico (o istopatologico) è un test che si effettua, tramite microscopio, su campioni di tessuto organico, ed è un esame fondamentale per la diagnosi di un tumore, maligno o benigno che sia.
Il prelievo del campione biologico avviene generalmente tramite biopsia, che può avvenire con prelievo di tessuto nella sua interezza come nel caso di un nodulo (biopsia escissionale), a mezzo di prelievo di una minima parte (biopsia incisionale), tramite prelievo di una porzione di tessuto sottocutaneo mediante un ago (biopsia percutanea), o con l’aspirazione del materiale con un ago molto sottile previo monitoraggio radiografico o ecografico (agoaspirato).
Siccome nel caso giudiziario che andremo a descrivere si parla di “esame istologico estemporaneo”, è bene sapere che è quello che viene effettuato nel corso di un intervento chirurgico per avere un risultato immediato.
Il chirurgo ha omesso di fare l’esame istologico
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza 11.10.2013 n. 372, accertava la responsabilità per inadempimento contrattuale di Asl e di un proprio medico chirurgo in relazione alla esecuzione della operazione di asportazione totale di un rene, cui era stata sottoposta una paziente su consiglio del sanitario.
Quest’ultimo aveva diagnosticato una neoplasia in base alla presenza di una estesa neoformazione evidenziata dalla indagine ecografica, confermata dal risultato della TAC all’addome, omettendo tuttavia di approfondire la indagine diagnostica mediante esecuzione di esame bioptico estemporaneo.
Infatti, l’organo asportato, al successivo esame istologico, risultava affetto da una patologia infettiva (pielonefrite xantogranulomatosa con ampia area emorragica) che avrebbe richiesto una nefrectomia soltanto parziale in luogo della asportazione totale dell’organo
La biopsia era prevista dal protocollo operatorio
La sentenza della Corte di Appello è stata impugnata per cassazione dall’Asl che ha dedotto che le risultanze della CTU medico-legale non consentivano di pervenire ad accertare la incidenza eziologica della omessa diagnosi sulla successiva asportazione totale del rene, in quanto l’ausiliario aveva ritenuto che la esecuzione dell’esame bioptico estemporaneo non avrebbe consentito con certezza di pervenire ad una corretta diagnosi, essendo comunque estremamente difficoltoso distinguere la infezione dal carcinoma.
Ma la Corte è di contrario avviso: la difficoltà di indagine diagnostica, e più correttamente la difficoltà che, secondo quanto affermato dal CTU, il medico incontra nella interpretazione del dato biologico ai fini della individuazione della particolare patologia infettiva – successivamente riscontrata dall’esame istologico post operatorio – ricade, infatti, sul piano della verifica dell’elemento soggettivo (condotto secondo il parametro della negligenza, imprudenza, imperizia e della scorretta applicazione delle leges artis), e dunque si colloca in un momento logicamente successivo rispetto a quello della verifica della causalità materiale che richiede invece la correlazione tra la condotta (nella specie omessa) e I’ “eventum damni” (asportazione del rene).
<<In caso di mancata attuazione della condotta “dovuta” (come nel caso di specie in cui l’esame bioptico estemporaneo è prescritto dal protocollo operatorio chirurgico), la sussistenza della relazione eziologica non può che essere ipoteticamente dedotta alla stregua di un criterio di prevedibilità oggettiva (desumibile da regole statistiche o leggi scientifiche), verificando se il comportamento omesso poteva o meno ritenersi idoneo – in quanto causalmente efficiente – ad impedire l’evento dannoso, con la conseguenza che deve escludersi dalla serie causale l’omissione di quella condotta che non sarebbe riuscita in alcun modo ad evitare l’evento>> (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 16123 del 08/07/2010).
Quindi, la difficoltà di diagnosi di quella specifica patologia tumorale in sede di biopsia estemporanea non vale ad escludere la astratta idoneità della indagine “non effettuata” ad individuare la corretta patologia, e quindi ad impedire l’erronea asportazione totale del rene.
Dunque trattavasi di condotta eziologicamente rilevante rispetto alla successiva scelta terapeutica di asportazione totale o invece solo parziale del rene.
L’Asl non ha provato che sarebbe comunque stata inutile
L’Asl ha sostenuto che non vi è certezza che la biopsia estemporanea avrebbe condotto ad escludere la indicazione di neoplasia.
Ma la Corte di Cassazione risponde che, secondo gli ordinari criteri di riparto dell’onere probatorio in materia di inadempimento contrattuale, era compito dell’Asl dimostrare che l’esecuzione della biopsia avrebbe, con certezza, in ogni caso dato un risultato negativo per diagnosi di infezione ovvero un dato non oggettivamente interpretabile come di pielofrenite xantogranulomartosa.
Deve al riguardo essere ribadito il principio di diritto secondo cui in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo invece a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
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