Commentiamo la recente sentenza n. 4323 del 2 febbraio 2022 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV, con cui è stata dichiarata la responsabilità penale di sanitari che hanno effettuato una trasfusione di sangue con gruppo sanguigno diverso da quello del paziente, tanto da provocarne la morte.
I gruppi sanguigni e la loro compatibilità
Il sangue è composto da plasma (liquido formato da acqua, proteine e nutrienti) ed elementi corpuscolati che sono i globuli rossi (che trasportano ossigeno alle cellule dell’organismo e ne rimuovono l’anidride carbonica), i globuli bianchi (che sono parte del sistema immunitario) e le piastrine (che coagulano il sangue).
Il gruppo sanguigno rappresenta una classificazione del sangue che, in base ad una componente ereditaria, si indentifica grazie alla presenza o meno di antigeni presenti (proteine, carboidrati, glicoproteine o glicolipidi) sui globuli rossi.
I gruppi sanguigni sono quattro (A,B, AB, e 0) e ogni gruppo può essere Rh positivo o Rh negativo.
Il sistema immunitario reagisce alla presenza di sangue che non riconosce come proprio, per cui è fondamentale che in caso di trasfusione di sangue o di trapianto d’organo il sangue del donatore e quello del ricevente siano compatibili.
Medico e infermiera accusati di omicidio colposo del paziente
Un medico e un’infermiera in servizio presso il reparto di Rianimazione effettuavano una trasfusione per 15 minuti di 50 ml di sangue di tipo “A Rh positivo” ad un paziente con gruppo sanguigno “0 Rh positivo“, il quale era ricoverato in reparto per grave insufficienza respiratoria.
La somministrazione di sangue con gruppo sanguigno incompatibile con quello del paziente provocava in quest’ultimo un brusco peggioramento del quadro clinico, per insufficienza multiorganica, con compromissione cardiaca terminale che, a poche ore dalla errata trasfusione, lo conduceva a morte.
L’accusa per entrambi era quindi quella di omicidio colposo ed essi venivano condannati sia in primo che in secondo grado, ritenuta dai giudici la sussistenza del nesso causale tra le condotte colpose ascritte agli imputati e la morte del paziente a seguito dell’infusione di sangue di un gruppo incompatibile che fece precipitare la pur gravissima situazione clinica, eliminando le seppure limitate chances di sopravvivenza.
I giudici affermavano che il doppio controllo affidato all’infermiera ed al medico, circa la corrispondenza del nominativo della sacca con quello del paziente da sottoporre alla trasfusione e del gruppo sanguigno dello stesso, era regolato da un protocollo interno all’ospedale che richiedeva che anche le manovre tecniche della trasfusione fossero compiute sotto la sorveglianza medica, proprio per evitare errori nella esecuzione materiale dell’operazione.
La procedurale per effettuare la trasfusione
Sia il medico che l’infermiera hanno proposto ricorso per Cassazione, ma i giudici hanno confermato la loro condanna, anche in virtù della procedura per le trasfusioni riportata dal Decreto del Ministro della Salute 3 marzo 2005.
Un medico e un infermiere devono procedere ai controlli di identità, corrispondenza e compatibilità immunologica teorica confrontando i dati presenti su ogni singola unità di emocomponenti con quelli della richiesta e della documentazione resa disponibile dal servizio trasfusionale, quali il referto di gruppo sanguigno e le attestazioni di compatibilità delle unità con il paziente. Tali controlli devono essere documentati.
L’identificazione del ricevente deve essere effettuata al letto del paziente individualmente da due operatori sanitari immediatamente prima dell’inizio della trasfusione. I controlli devono essere documentati e registrati su una scheda, compilata e sottoscritta da entrambi gli operatori.
La trasfusione è eseguita sotto la responsabilità del medico, che deve essere tempestivamente disponibile in caso di reazioni avverse. Il paziente è tenuto sotto osservazione, in particolare nei primi 15-20 minuti dall’inizio della trasfusione, al fine di rilevare tempestivamente eventuali reazioni avverse.
Quindi, in base alla suddetta procedura, il medico non avrebbe dovuto lasciare da solo l’infermiera, rilevando che la stessa raccomandazione ministeriale per la prevenzione della reazione trasfusionale da incompatibilità afferma che sono numerosi fattori associati agli errori trasfusionali e la maggiore parte di questi dipendono dal fattore umano e dal fatto che il livello di attenzione degli operatori non è sempre costante.
A fronte di detta compiuta motivazione non è contestabile l’efficienza causale, rispetto all’evento morte, che si deve attribuire all’errore nella trasfusione di sangue di gruppo incompatibile con quello del paziente assistito.
Il principio di affidamento in caso di condotte colpose indipendenti
La Corte di Cassazione afferma il seguente principio:
<< in caso di condotte colpose indipendenti, non può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità>>.
Questo principio comporta che il medico, che esegue una trasfusione, non può delegare ad altri il compito di verificare la corrispondenza del gruppo del sangue da trasfondere con quello del paziente.
Quindi del reato di omicidio colposo del paziente risponde, sia il medico che si è colpevolmente affidato all’infermiera, sia quest’ultima che ha errato la trasfusione.
Anche in altri casi è stato applicato questo principio, come in quello in cui è stata riconosciuta la responsabilità per la morte di un paziente conseguente alla trasfusione di sangue non emocompatibile con il suo gruppo sanguigno, del tecnico addetto al servizio trasfusione che aveva consegnato all’infermiere le sacche destinate ad altro paziente, dei medici che avevano ordinato la somministrazione senza verificare la corrispondenza del gruppo sanguigno del paziente con quello indicato sulle sacche, e dell’anestesista rianimatore – chiamato per un consulto in seguito alla crisi ipotensiva del paziente – che aveva omesso di ricercare autonomamente la causa di tale crisi (Cassazione penale Sez. 4, sentenza n. 50038 del 10.10.2017).
I familiari del paziente morto possono chiedere il risarcimento?
Il caso che abbiamo trattato è relativo ad un processo penale in cui medico e infermiera sono stati imputati e condannati per omicidio colposo di un paziente.
All’interno del processo penale, i familiari del paziente deceduto, possono costituirsi parte civile tramite un avvocato al fine di richiedere il risarcimento dei danni morali subiti.
Ma, all’esito del processo penale, il risarcimento non sarà comprensivo anche degli ulteriori danni non patrimoniali e patrimoniali subiti, sia dal paziente (finchè è stato in vita), sia dai prossimi congiunti che hanno subito la sua perdita.
Si renderà quindi necessario, per accorciare i tempi e avere maggiori possibilità di successo, decidere se costituirsi parte civile all’interno del processo penale o affrontare direttamente una causa civile.
I nostri avvocati hanno esperienza ventennale in casi di responsabilità medico-sanitaria, sia in ambito civile che penale, quindi se hai subito un caso come quello che abbiamo esposto contattaci senza impegno per un parere gratuito!
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