Il settore della chirurgia è quello da cui scaturisce la percentuale più alta di casi di malasanità in Italia e ciò, evidentemente, è connesso al fatto che, a differenza di altre branche del diritto, il chirurgo “ci mette le mani”, e non solo la faccia.
A parte l’ironia, con questo articolo parliamo di un errato intervento di appendicectomia e dei danni che sono stati riconosciuti al paziente che ne è stato vittima.
Il caso è stato recentemente deciso dal Tribunale di Napoli con la sentenza n. 9675 del 30.11.2021.
In cosa consiste l’appendicectomia
L’appendicectomia è un intervento chirurgico volto ad asportare l’appendice, che è una piccola sporgenza situata nel punto in cui l’intestino crasso si unisce all’intestino tenue.
Quando l’appendice si infiamma, e ciò può avvenire per presenza di parassiti, calcoli alimentari o feci, ipertrofia del tessuto linfoide, tumori benigni o maligni…, si è in presenza di appendicite.
Nei casi più lievi è possibile non intervenire chirurgicamente, ma solo con somministrazione di antibiotici.
Diversamente, nei casi di appendicite acuta complicata (con perforazione, ascesso, peritonite, appendicite cronica, tumori dell’appendice) si procede chirurgicamente.
Il caso giudiziario
Un paziente si è rivolto al Tribunale di Napoli affermando di essere stato ricoverato in Ospedale con la diagnosi di ammissione “colica addominale” e sottoposto ad un intervento chirurgico urgente di “appendicectomia”.
Al risveglio manifestò una forte crisi lipotimica, svenendo per i forti dolori, tanto che veniva sottoposto ad ulteriori analisi da cui risultava la presenza di un versamento ematico in addome, e ad un secondo intervento chirurgico.
Deduceva, altresì che l’emorragia era stata determinata dalla “lesione colposa del mesenteriolo e del peritoneo determinata dalla prima operazione”.
All’esito dell’operazione il paziente veniva dimesso, continuando tuttavia nel tempo a lamentare continui dolori nella sede dell’intervento chirurgico patito, stipsi cronica e turbe digestive, nonché disagio relazionale per le cicatrici che turbano l’estetica.
Per tali motivi chiedeva all’Ospedale il risarcimento di tutti i danni subiti per responsabilità del chirurgo che aveva eseguito il primo intervento.
La Consulenza Tecnica d’Ufficio da ragione al paziente
Come nella stragrande maggioranza delle cause promosse da pazienti per responsabilità medico-sanitaria, anche in questo caso il Giudice ha disposto una C. T. U., ossia ha incaricato un medico legale ed uno specialista affinchè, in modo imparziale, riferissero al Giudice se c’è stata responsabilità del chirurgo e, se si, quali sono i danni subiti dal paziente.
Ebbene, la consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Tribunale ha accertato la responsabilità del chirurgo nella produzione del danno sofferto dal paziente.
Sul punto i consulenti hanno evidenziato “Il paziente è stato operato di appendicectomia, intervento che si è complicato con una emorragia post operatoria. Il primo segno clinico della complicanza emorragica è stata una lipotimia, messa in evidenza il giorno stesso dell’intervento, a meno di 12 ore di distanza da esso. Le manovre di emostasi chirurgica messe in atto al reintervento hanno prontamente e definitivamente risolto il problema emorragico ed il paziente è stato dimesso clinicamente guarito dopo una settimana. Gli esami di laboratorio e lo stesso decorso clinico di fatto hanno escluso una meiopragia coagulativa. Risulta pertanto evidente che, con più probabilità che non, la causa dell’evento emorragico, succeduto a breve distanza di tempo dall’intervento, va ricercata nell’ambito delle manovre chirurgiche durante la appendicectomia“.
Gli esiti cicatrizzanti e il prolungamento della malattia
In merito ai postumi i consulenti riferiscono che: “è emerso che il paziente presenta, quali postumi del trattamento chirurgico effettuato per la complicanza insorta, esiti cicatriziali chirurgici addominali con moderata diastasi dei retti addominali della porzione sovraombelicale della cicatrice longitudinale mediana“.
I postumi residuati, in rapporto di causalità con gli errori accertati, hanno determinato un danno biologico permanente risarcibile nella misura di dieci punti percentuali, per esiti cicatriziali chirurgici addominali, longitudinali mediani, di circa 23 cm., con segni di indebolimento di parete e ripercussione estetica; tali esiti non si sarebbero generati affatto in assenza degli errori accertati.
In conseguenza a ed a causa degli errori di trattamento sopra discussi si è inoltre generata una lieve maggior durata della malattia con valutazione equa di una maggior ITT di 5 (cinque) giorni ed una maggior ITP, mediamente al 50% di 10 gg..
Come si quantifica il danno da risarcire?
Il Giudice applica le cosiddette Tabelle del Tribunale di Milano che, secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, risultano essere quelle statisticamente maggiormente testate e pertanto le più idonee ad essere assunte quale criterio generale di valutazione che, con l’apporto dei necessari ed opportuni correttivi ai fini della c.d. personalizzazione del ristoro, consenta di pervenire alla relativa determinazione in termini maggiormente congrui, sia sul piano dell’effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti – sul territorio nazionale (cfr. Cass. sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402).
Ciò posto, considerato che in sede di liquidazione del danno da invalidità per postumi permanenti il valore da attribuirsi ai punti di invalidità deve essere rapportato all’entità percentuale dell’invalidità riscontrata, e che l’aumento progressivo del predetto valore, per punto di invalidità, deve essere differenziato a seconda dell’età (dovendosi rapportare la liquidazione del danno biologico alla diversa incidenza dell’invalidità sul bene salute compromesso a seconda dell’arco vitale trascorso e dell’aspettativa di vita residua), avuto riguardo ai criteri di liquidazione del danno alla persona in uso presso il Tribunale di Milano l’importo astrattamente liquidabile per una lesione dell’integrità psico-fisica dell’10% in soggetto di sesso maschile di 23 anni di età all’epoca dei fatti risulta corrispondente alla somma di Euro 25.206,00 nonché a Euro 495,00 per ITT e Euro 495 ,00 per l’inabilità temporanea al 50% per un totale di Euro 26.196,00.
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1 Comment
Credo che mio figlio abbia subito un caso di malasanità coma questo. Ho tutta la documentazione. Vi prego contattarmi quando possibile.
Angela da Roma