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- Differenza tra artroscopia al ginocchio e riallineamento rotuleo
- Il caso
- La Consulenza Tecnica d’Ufficio disposta dal Tribunale
- Il risarcimento dei danni subiti dal paziente
- Sei stato vittima di responsabilità medica?
Riportiamo la sentenza del Tribunale di Lucca n. 1278 del 22.06.2017 che ha accolto la richiesta risarcitoria di una giovane donna che era ricoverata in Ospedale per sottoporsi ad un intervento di artroscopia al ginocchio ma, senza il suo consenso, veniva operata per un intervento di riallineamento rotuleo e subiva danni permanenti.
Alla paziente è stato riconosciuto dal Tribunale un risarcimento danni di 60mila euro, oltre alle spese legali.
Differenza tra artroscopia al ginocchio e riallineamento rotuleo
L’artroscopia al ginocchio è una tecnica chirurgica con cui, tramite piccolissime incisioni cutanee e l’utilizzo dell’artroscopio, si diagnosticano e curano patologie ed infortuni all’articolazione del ginocchio.
Tra le varie e più note patologie curate con l’artroscopia al ginocchio, ricordiamo la lesione o rottura del menisco, la lacerazione dei legamenti crociati o collaterali, le lesioni del tendine rotuleo.
L’intervento di riallineamento rotuleo, che prevede oltre alla fase artroscopica anche una chirurgica per fissaggio di viti, è invece quello praticato nei casi in cui la congruenza tra rotula e troclea crea una sintomatologia dolorosa persistente.
Il caso
Una paziente ha esposto che, ricoverata presso l’Ospedale di Lucca per sottoporsi ad un intervento di artroscopia di ginocchio, le venne tuttavia praticato un intervento di riallineamento rotuleo, per il quale non era stata informata e non aveva espresso il consenso.
Censurando la scelta di eseguire detto intervento in luogo di quello preventivato, trattandosi di operazione inutile, ha citato in giudizio i medici e l’ASL, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a causa dell’inadempimento dell’obbligo di ricevere il consenso informato del paziente, nonché di quelli derivanti dall’inabilità temporanea e dall’invalidità permanente differenziale, oltre al danno da lucro cessante per la perdita della capacità lavorativa e per le spese mediche sostenute.
L’ASL si è difesa dicendo che, nonostante il modulo di consenso informato facesse riferimento all’intervento di artroscopia, al momento del ricovero l’attrice era stata pienamente informata circa i possibili interventi che le potevano essere praticati per risolvere la sua patologia ed è stato con la stessa concordato quello poi effettuato.
L’ASL ha altresì ritenuto corretta la scelta di sottoporre la paziente a quell’intervento, in relazione alla patologia dalla quale era affetta, peraltro correttamente eseguito, per cui i residui difetti funzionali lamentati dall’attrice sarebbero da ricondursi alla preesistente patologia.
Ha inoltre contestato l’asserita lesione della libertà personale e del diritto di autodeterminazione, in assenza di un pregiudizio psico-fisico e stante l’esecuzione della prestazione secundum leges artis.
La Consulenza Tecnica d’Ufficio disposta dal Tribunale
L’espletata consulenza specialistica disposta dal Giudice ha permesso di valutare la sussistenza della responsabilità medica in capo ai chirurghi che ebbero ad operare l’attrice.
Dalla modulistica di consenso informato contenuta nella cartella clinica e sottoscritta nel corso della preospedalizzazione risulta quale diagnosi “condropatia femoro-tibiale ginocchio sin” e quale intervento da eseguire “artroscopia al ginocchio“, del quale sono indicati i potenziali rischi in “infiammazioni, versamento articolare, vasculopatia“.
Dalla scheda di preospedalizzazione anestesiologica nella stessa data, invece, sotto la voce intervento chirurgico, è riportata la dicitura “rotula“.
Nella diagnosi di ammissione si legge “sublussazione rotula a sinistra” e l’esame obiettivo dà conto di “rotula lateralizzata“.
Nella lettera di dimissione si trova scritto infine “affetta da sublussazione rotula a sinistra“.
Le richiamate evidenze documentali fanno riferimento a due patologie distinte e non connesse: la sofferenza osteocondrale dei condili femorali e la sublussazione rotulea del ginocchio sinistro.
Nella prospettazione attorea, la patologia dalla quale era affetta la paziente era solo la prima e solo in relazione a questa ella avrebbe prestato il proprio consenso informato, talché l’intervento concretamente eseguito dovrebbe ritenersi inutile e dannoso.
Simile prospettazione è stata confermata dal tecnico incarico d’ufficio, che ha ritenuto, sulla base di valutazioni scientificamente fondate e quindi intrinsecamente logiche, e supportate dagli atti di causa, che “la documentazione pre-operatoria reperita non consente di ritenere che vi fossero alterazioni a carico della rotula, tali da giustificare l’intervento chirurgico eseguito”. Né prima dell’intervento è stata ripetuta alcuna indagine radiologica, che sarebbe invece stata necessaria.
È dunque la stessa finalità dell’intervento praticato a confermarne l’inutilità nel caso di specie. Esso è infatti destinato al trattamento dei casi di lussazione recidivante accertata e documentata della rotula, risultati refrattari alle cure kinesiterapiche, purché il disturbo sia significativo e/o il disallineamento sia grave al punto da far prevedere un’artrosi precoce. Invece, dagli esami diagnostici in atti, l’analisi della rotula mostra solo un lieve atteggiamento di supero-lateralizzazione, in assenza di segni di iperpressione esterna.
L’intervento eseguito deve dunque considerarsi frutto di negligente ed imperita diagnosi del caso concreto, tanto che nessun miglioramento è derivato alla problematica osteocondritica originaria, risultata immodificata.
Ciò è ben affermato dal c.t.u. in risposta alle osservazioni formulate dal consulente di parte convenuta, laddove afferma che “la rotula non era coinvolta nel processo degenerativo artrosico” e che, seppure è vero che la rotula sta a contatto con i condili, questa “insiste sul condilo in una porzione totalmente estranea all’articolazione femoro-tibiale“. per cui la sua traslazione chirurgica non poteva apportare alcun beneficio alla patologia sofferta dall’attrice.
Dato il carattere invasivo dell’intervento, definito dal c.t.u. come destruente e foriero di importanti complicanze, l’attrice ha subito danni patrimoniali e non, che devono essere risarciti.
Il risarcimento dei danni subiti dalla paziente
Il Tribunale ha quindi ritenuto che la paziente abbia subito un danno permanente alla salute attribuibile all’erroneo ed inutile trattamento praticato liquidato in € 35.378,00 e una menomazione dell’integrità psicofisica di € 8.100.00.
All’attrice deve poi essere riconosciuta una personalizzazione del danno, per la modificazione che ne è conseguita alle attività della vita relazionale, che è circostanza ritenibile in via presuntiva, avendo accertato il c.t.u. la negativa incidenza, nella misura del 30%, sulle attività motorie che presuppongano validità funzionale degli arti inferiori, con aumento percentuale del danno biologico permanente nella misura del 20%.
Quanto alla lesione del diritto all’autodeterminazione della paziente, a causa della mancata prestazione di un consenso informato alla sottoposizione all’intervento, è da ritenersi che il diritto sia stato leso, a causa dell’inadempimento contrattuale dei sanitari intervenuti, che hanno acquisito il consenso informato dalla paziente solo per l’intervento di artroscopia, come risulta dal modulo sottoscritto contenuto nella cartella clinica.
E’ stata pertanto riconosciuta una ulteriore personalizzazione del danno biologico, tramite un incremento pari al 25%.
Il danno non patrimoniale complessivamente liquidato a favore dell’attrice è dunque pari ad € 59.398.10.
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