Di cosa si occupa il medico endocrinologo
L’endocrinologo è quel medico che cura le malattie ormonali e, più in generale, il sistema endocrino, che è l’insieme di tutte le ghiandole endocrine che producono ormoni che, a loro volta, si propagano attraverso il sangue in tutto il corpo.
Le ghiandole endocrine si dividono in maggiori (ipotalamo, ipofisi, epifisi, tiroide, paratiroidi, surreni, pancreas, gonadi) e minori (cuore, stomaco, intestino, reni, timo, tessuto adiposo, placenta).
Il medico endocrinologo può occuparsi anche, indirettamente, della prescrizione di farmaci per una dieta dimagrante, come vedremo nel caso che segue.
Il caso: paziente morta per errata cura farmacologica dimagrante
Un medico veniva condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato di omicidio colposo perchè, in qualità di medico endocrinologo e diabetologo che assisteva una donna nel corso della dieta dimagrante a cui era sottoposta, per colpa generica e per colpa specifica, consistita nella violazione di disposizioni normative, ne cagionava la morte.
In particolare, veniva accusato: di aver prescritto un farmaco vietato (fendimetrazina), pur conoscendo i rischi che l’uso di tale farmaco poteva determinare (tra cui l’aumento della pressione arteriosa, sia diastolica che sistolica, oltre che effetti anoresizzanti, dopanti e tossici), e per aver prescritto altri farmaci dannosi per una paziente il cui stato psico-fisico era debilitato per aver perso, nel corso degli ultimi sei mesi, circa 40 kg di peso, omettendo di acquisire le informazioni anamnestiche e di disporre gli accertamenti clinici strumentali necessari per valutare l’opportunità di prescrivere detti farmaci in associazione e di valutare i rischi di insorgenza di eventuali complicanze.
Farmaci che, risultando assunti nelle ore immediatamente precedenti il decesso, determinavano un’azione aritmogena sul miocardio ed uno squilibrio idroelettrico che cagionavano la morte della donna.
Il medico si rivolgeva alla Corte di Cassazione, contestando che la sua condotta avesse determinato la morte della paziente.
La decisione della Corte di Cassazione Penale (sentenza 8086 del 2018)
La Corte di Cassazione ha rigettato il cirorso del medico, ritenendo giusta la sua condanna, esprimendo quanto segue.
Gli effetti nocivi della fendimetrazina sulla circolazione sanguigna e sull’attività cardiaca sono quelli tipici dei farmaci simpaticomimetici, in ragione del loro effetto di aumentare il tono adrenergico con conseguente incremento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.
Gli aggregati piastrinici riscontrati in sede autoptica costituivano conferma che la morte costituiva la fatale evoluzione di processi innescatisi subito prima del decesso e connessi all’assunzione della fendimetrazina, atteso che i farmaci simpaticomimetici hanno anche la caratteristica di essere proaggreganti.
Anche gli altri medicinali prescritti dall’imputato potevano aver avuto un ruolo nel determinismo della morte, amplificando gli effetti nocivi della fendimetrazina, in quanto la fluoexetina, farmaco antidepressivo, ha un effetto proaritmico al pari dei diuretici che, creando uno squilibrio elettrolitico, possono innescare una crisi aritmica.
L’ipertrofia del ventricolo sinistro, certamente preesistente all’assunzione della fendimetrazina, non giustificava da sola il decesso poichè non si trattava di ipertrofia di tale gravità da cagionarlo; l’assunzione della fendimetrazina, tuttavia, aveva aumentato il rischio di morte in una paziente affetta da tale ipertrofia.
L’assunzione prolungata della fendimetrazina, anche in associazione con le altre sostanze, aveva aumentato il rischio di una crisi aritmica in ragione della condizione fisica della paziente, obesa e quindi già esposta a crisi ipertensive.
A loro volta, anche gli altri, ulteriori, farmaci prescritti alla R. potevano aver avuto un ruolo concausale proprio in quanto assunti in associazione con la fendimetrazina.
Sulla base delle suddette emergenze, le contestazioni del medico si rivelavano infondate.
Quindi, l’evento morte era evitabile: “con elevato grado di probabilità logico-razionale” non sarebbe deceduta ove non avesse assunto le sostanze prescritte dall’imputato, “nelle forme e nella cronologia al dunque registrate“, attesa l’assenza di “chiavi di lettura alternative a quella complessivamente identificata come riconducibile al meccanismo di azione proprio dei simpaticomimetici (…)“.
“Se il medico avesse agito con la dovuta diligenza, se cioè non avesse somministrato il trattamento terapeutico (vietato), o comunque se avesse rispettato la durata massima di tre mesi (con ciò evitando che la paziente per oltre cinque mesi venisse sottoposta ad uno stimolo iperadrenergico costante), e, ancora, se avesse prescritto accertamenti clinici prima e durante il trattamento, l’evento morte non si sarebbe verificato”.
Il principio
Integra il reato di omicidio colposo la condotta del medico endocrinologo che, nel corso della dieta dimagrante sottoposta ad una paziente, ne abbia provocato il decesso attraverso la prescrizione del farmaco fendimetrazina nonostante il divieto disposto da diversi decreti ministeriali succedutisi negli anni, per un periodo superiore a tre mesi in violazione dell’art. 2, co. 2, lett. e), d.m. 18 settembre 1997, pur conoscendo i rischi legati all’uso di tale farmaco in combinazione ad altri, ed omettendo di acquisire le informazioni anamnesiche e di disporre gli accertamenti clinici strumentali necessari per valutare l’opportunità della cura per una paziente debilitata dalla perdita di 40 kg in sei mesi.
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