Il ruolo dello psichiatra
La psichiatria rappresenta una branca specialistica della medicina ed è volta a prevenire, curare e riabilitare soggetti che presentino disturbi mentali.
Il medico psichiatra per prima cosa deve procedere alla diagnosi, ossia all’individuazione della patologia del paziente tramite valutazioni anamnestiche, colloqui, test, esami.
Dopodichè provvederà, solitamente, a prescrivere al paziente una cura farmacologica (sia tramite farmaci generici che psicofarmaci), talvolta abbinata ad un percorso psicoterapeutico.
Allo psichiatra è “consentito” il rischio
La responsabilità dello psichiatra deve inquadrarsi nell’ambito del cd “rischio consentito” (così si esprimeva la Corte di Cassazione con sentenza n. 4391 del 22.11.2011).
I Giudici hanno invero osservato che, a seguito dell’abbandono delle deprecate pratiche di isolamento e segregazione, la cura del paziente con terapie rispettose della sua dignità non può eliminare del tutto il potenziale pericolo di condotte inconsulte: il rischio connesso alla gestione del paziente è insuperabile, ma è comunque accettato dalla scienza medica e dalla società; esso, dunque, è “consentito”.
Si pensi quando era consentito legare ad un letto il malato, con conseguente eliminazione del rischio che si facesse male. Oggi ciò non è possibile, per cui resta il rischio che possa essere vittima di autolesionismo.
Tuttavia, lo psichiatra ha un dovere di controllo, equiparando il paziente ad una fonte di pericolo, e di protezione del paziente medesimo, soggetto debole, da comportamenti pregiudizievoli per se stesso.
Il contenuto della posizione di garanzia assunta dallo psichiatra deve essere quindi configurato tenendosi nel dovuto conto la contemporanea presenza di vincoli protettivi e pretese di controllo, unitamente alla particolare complessità della situazione rischiosa da governare: tra il perimetro della posizione di garanzia e il rischio consentito esiste infatti uno stretto collegamento, nel senso che è proprio l’esigenza di contrastare e frenare un determinato rischio per il paziente (o realizzato dal paziente verso terzi) che individua e circoscrive, sul versante della responsabilità colposa, le regole cautelari del medico.
Allora quando è responsabile lo psichiatra?
Vero è che la psichiatria ha dei margini di rischio consentito, ma quando il rischio non è da considerarsi inevitabile e imprevedibile, anche lo psichiatra può rendersi colpevolmente responsabile di pregiudizi subiti dal paziente a causa di omessa o errata diagnosi o di omesso o errata terapia.
Vediamo come i Giudici accertano se vi è o meno responsabilità dello psichiatra.
In tali casi, i Giudici devono verificare, con valutazione ex ante, l’adeguatezza delle pratiche terapeutiche poste in essere dal sanitario a governare il rischio specifico, pure a fronte di un esito infausto sortito dalle stesse; che, in tale percorso valutativo, che involge la delimitazione del perimetro del rischio consentito insito nella pratica medica, possono venire in rilievo le raccomandazioni contenute nelle linee guida, in grado di offrire indicazioni e punti di riferimento, tanto per il medico nel momento in cui è chiamato ad effettuare la scelta terapeutica adeguata al caso di specie, quanto per il giudice che deve procedere alla valutazione giudiziale di quella condotta.
Il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, ed ha, pertanto, l’obbligo – quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie – di apprestare specifiche cautele.
Quindi, nel caso in cui lo psichiatra commetta negligenza, imprudenza o imperizia nell’espletamento della propria professione, e da ciò derivi un danno al paziente, quest’ultimo e/o i suoi familiari avranno diritto al risarcimento di tutti i danni subiti.
Nel caso in cui lo psichiatra abbia agito in qualità di dipendente del Servizio Sanitario Nazionale, in solido con il medico risponderà anche l’Asl. Diversamente, se il medico ha agito come libero professionista ne risponderà personalmente.
Ma lo psichiatra, come vedremo, potrà rispondere anche penalmente per lesioni colpose o omicidio colposo.
Il suicidio del paziente poteva essere evitato: risarciti i familiari
Riportiamo il caso trattato dalla Corte di Cassazione Penale con la sentenza n. 43476 del 18.05.2017, relativa al caso di un medico psichiatra ospedaliero accusato di omicidio colposo.
I fatti sono stati così ricostruiti dai giudici di merito. La paziente, affetta da schizofrenia paranoide cronica con episodi psicotici acuti, aveva subito diversi ricoveri ospedalieri connessi alla patologia, l’ultimo dei quali a distanza di pochi giorni dalla nascita della secondogenita.
Nel corso dell’ultimo ricovero, la predetta era stata seguita dallo psichiatra che le aveva somministrato cure farmacologiche da eseguire a casa.
Dopo alcuni giorni la paziente si era presentata presso il Servizio Pschiatrico Diagnosi e Cura dell’ospedale, accompagnata dal convivente il quale aveva rappresentato al predetto medico che la donna aveva ingerito un intero flacone di Serenase; il medico, dopo aver constatato che la paziente si presentava tranquilla e con gli occhi aperti, senza manifestare i sintomi tipici di una massiccia assunzione di quel farmaco di tipologia “aloperidolo”, li congedava, consigliando al convivente di non somministrare altro nel corso della giornata e dicendogli di richiamarlo la mattina dopo.
Tornati a casa, secondo quanto riferito dall’uomo, la donna si gettava sul letto, addormentandosi; egli usciva per un breve lasso di tempo e, al ritorno, constatava che la donna si era suicidata lanciandosi dal balcone.
Dunque, allo psichiatra veniva contestato che, in qualità di medico curante, con condotta consistita nell’aver omesso, per negligenza, imprudenza e imperizia di disporre i necessari accertamenti medici, come previsto dai protocolli in caso di sovradosaggio e intossicazione da farmaco aloperidolo, nonchè di prescrivere il necessario ricovero, nonostante fosse stato messo a conoscenza che la persona offesa, oltre ad avere ingerito un intero flacone di Serenase, aveva nei giorni precedenti manifestato propositi suicidari, ometteva di impedire che la donna, rientrata a casa subito dopo l’omesso ricovero, si gettasse dal balcone della propria abitazione.
A seguito di ricorso dell’imputato, condannato sia in primo che in secondo grado, la Corte di Cassazione ribadiva la giusta condanna:
il medico psichiatra è tenuto a conoscere gli effetti e le controindicazioni di un farmaco (nel caso di specie l’aloperidolo) che è strettamente legata alla sensibilità individuale del paziente e, in particolare, a fattori quali la gravità delle affezioni, cronicità dell’uso, tolleranza al prodotto, per cui il dato scientifico avrebbe dovuto essere conosciuto o conoscibile dal medico il quale, proprio in ragione della specializzazione posseduta e della professione esercitata, prescriveva detta tipologia di farmaci e avrebbe dovuto quindi padroneggiarne le caratteristiche essenziali.
Inoltre, lo psichiatra deve ben conoscere la situazione clinica della paziente che abbia avuto in cura, poiché nel caso di specie tutto lasciava presagire un esito infausto.
“lo psichiatra, chiamato a governare il rischio nella gestione della paziente, non ha posto in essere le condotte adeguate a scongiurare il rischio suicidario, e ciò anche tenuto conto del parametro del rischio consentito, atteso il significativo grado di disattenzione manifestata in ordine alla allarmante informazione ricevuta (ingestione massiccia di farmaco)”
Il medico avrebbe dovuto quantomeno disporre, se non un TSO (trattamento sanitario obbligatorio), un ASO (accertamento sanitario obbligatorio), poichè l’assunzione di una quantità di farmaco eccessiva rispetto alla norma, deve costituire un campanello di allarme, e il sanitario si sarebbe dovuto attivare comunque annotando un supplemento diagnostico di indagini e un monitoraggio clinico anche presso una struttura di pronto soccorso.
Quanto alla causalità, la Corte fa buon governo delle indicazioni che provengono dalla nota giurisprudenza delle Sezioni unite (S.U.Franzese) pervenendo ad un giudizio sull’evitabilità dell’evento basato sulle più significative acquisizioni fattuali e scientifiche afferenti al caso concreto, ampiamente argomentato – come si è visto – nella prospettiva dell’attuazione di tutte le misure appropriate.
In particolare, la Corte argomenta che “la condotta negligente dello psichiatra, consistita nel non avere prospettato neppure una possibilità di ricovero, nel non aver tenuto la paziente sotto osservazione per un tempo minimo ragionevole, e, infine, di non aver neppure imposto al marito di attuare sulla moglie una vigilanza costante, hanno sicuramente avuto piena incidenza causale sulla condotta della vittima”; ben potendo detti comportamenti, ove attuati, scongiurare l’evento concretamente verificatosi con probabilità prossima alla certezza
Casi di responsabilità dello psichiatra
Condannato lo psichiatra che non previene il suicidio del paziente: “il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia che comprende un obbligo di controllo e di protezione del paziente, diretto a prevenire il pericolo di commissione di atti lesivi ai danni di terzi e di comportamenti pregiudizievoli per se stesso”. Cassazione penale, sez. IV, 18/05/2017, n. 43476.
Lo psichiatra deve prevenire condotte autolesioniste: “il medico psichiatra deve ritenersi titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente (anche là dove quest’ultimo non sia sottoposto a ricovero coatto), con la conseguenza che lo stesso, quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidarie, è tenuto ad apprestare specifiche cautele”. Cassazione penale, sez. IV, 14/06/2016, n. 33609.
Risarciti i familiari del paziente suicidatosi: “del danno non patrimoniale derivante dalla morte del paziente ricoverato presso una struttura specializzata nel trattamento intensivo di soggetti con disturbi psichiatrici rispondono, ex contractu, la struttura di cura e assistenza interessata, in ragione delle carenze strutturali e organizzative che hanno compromesso l’adeguata vigilanza sul degente, nonché il medico che la dirige, il quale avrebbe dovuto vagliare personalmente tale aspetto, in rapporto di stretta correlazione alla patologia psichiatrica del paziente, sia al momento del ricovero, sia per tutta la durata dello stesso. Analogamente ne risponde lo psichiatra che aveva in cura il malato all’epoca dei fatti, in quanto autore del progetto terapeutico e preposto al controllo circa il suo effettivo decorso”. Tribunale di Rimini, 17/08/2015, n. 1035.
Condannati i medici che non hanno sorvegliato il paziente suicidatosi: “il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, ed ha, pertanto, l’obbligo – quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie – di apprestare specifiche cautele”. Caso di condanna del primario e dei medici del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per omicidio colposo in danno di un paziente che, ricoveratosi volontariamente con divieto di uscita senza autorizzazione, si era allontanato dal reparto dichiarando all’infermiera di volersi recare a prendere un caffè al distributore automatico situato al piano superiore, ed ivi giunto si era suicidato gettandosi da una finestra. Cassazione penale, sez. IV, 27/11/2008, n. 48292.
Tribunale , Bologna , 27/01/2006
Lo psichiatra deve somministrare la giusta cura: “risponde dell’omesso impedimento dell’omicidio di un inserviente di una casa di cura commesso da un paziente lo psichiatra che, sottovalutando la malattia dell’agente, non abbia adottato le necessarie precauzioni per evitare il verificarsi dell’evento. Esiste, in capo al medico psichiatra, un obbligo di garanzia nei confronti del malato di mente, nella forma della posizione di controllo che impone al soggetto obbligato la neutralizzazione di determinate fonti di pericolo in modo da tutelare tutti i beni giuridici che si trovano in contatto con esse e che, per questa ragione, possono versare in una situazione di pericolo. Esiste colpa nella violazione delle regole di condotta dell’attività medico-psichiatrica: 1) per l’avere modificato la terapia farmacologica del paziente, senza valutarne adeguatamente la condizione del momento con riferimento alla recrudescenza dei sintomi di aggressività manifestati; 2) per non avere commisurato, per qualità e quantità, le visite al paziente alla reale necessità e cogenza che la situazione invece richiedeva”. Tribunale di Bologna, 27/01/2006.
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Nel caso di responsabilità medica per responsabilità dello/a psichiatra, ti metteremo a disposizione i nostri consulenti specializzati in psichiatria, affinchè valutino se tu o il tuo caro familiare siete stati adeguatamente trattati.
Se emergessero elementi di responsabilità a carico dei medici, provvederemo a difenderti gratuitamente per richiedere il risarcimento di tutti i danni che hai subito tu e tutta la tua famiglia!
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