Il caso
Il Tribunale di Firenze ha emesso in data 30.09.2021 la sentenza n. 2430, all’esito della causa promossa dai familiari di una donna morta a seguito di una emorragia post-operatoria, non adeguatamente trattata dai medici che avevano operato la donna. Vediamo cosa è stato deciso.
I familiari esponevano al Tribunale che, in data 14.6.10, la donna veniva ricoverata presso la Casa di Cura FRS di Figline Valdarno per sottoporsi ad intervento di “sinoviectomia e lavaggio artroscopico” che terminava alle ore 11,15.
Dopodichè, la paziente accusava ripetuti cali pressori e dalla colorazione bluastra della schiena emergeva una emorragia interna; alle ore 21 circa veniva quindi trasferita presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Serristori di Fi. Va. e da qui, alle ore 22,12, al reparto di terapia Sub-Intensiva Multidisciplinare dello stesso Ospedale; nella notte la Ba. veniva sottoposta a trasfusioni che ristabilivano adeguati valori pressori ed il giorno 16.6.10 era quindi trasferita presso il Reparto di Nefrologia dell’Ospedale Misericordia di Gr.; per i peggioramenti del quadro clinico e l’insorgenza di pancreatite edematosa, in data 9.7.10 veniva eseguito intervento di ERCP ( colangio-pancreatografia retrograda endoscopica).
Infine, la donna decedeva il 14.7.10 e nel certificato di morte veniva affermato: ”CAUSA INIZIALE: pancreatite acuta, colecistite,BAV 3°. grado; CAUSA INTERMEDIA:occlusione intestinale; CAUSA TERMINALE:shock refrattario”.
I familiari accusano la Casa di Cura della morte della donna, per negligenza dei medici della Struttura, in quanto:
La FRS resisteva alla domanda contestando la sussistenza della propria responsabilità.
La consulenza tecnica d’Ufficio
Al fine di accertare la correttezza o meno dei trattamenti sanitari praticati sulla donna presso FRS e per verificare la sussistenza del nesso di causa tra gli stessi e la morte della paziente, il Tribunale di Firenze ha disposto una consulenza tecnica medico legale.
Secondo i CTU l’emorragia non è stata diagnosticata dai sanitari intervenuti presso la FRS nella fase post-operatoria e non è stata quindi adeguatamente trattata.
Inoltre, secondo i CTU i sanitari di FRS non hanno considerato adeguatamente i rischi che l’intervento chirurgico presentava per la paziente in ragione delle molteplici patologie da cui la stessa era affetta:
sottovalutazione che d’altronde aveva portato anche a classificare il rischio anestesiologico-operatorio della paziente quale AS.2, mentre, in ragione delle patologie da cui la predetta era affetta, per i CTU era più appropriata una classificazione di AS. 3; nonché ad eseguire l’intervento, in paziente affetta da insufficienza renale cronica terminale in dialisi trisettimanale, a due giorni di distanza dall’ultima seduta dialitica, mentre, secondo i CTU, sarebbe stato raccomandabile eseguire l’intervento ad un solo giorno di distanza e dopo avere eseguito esami ematici; e non aver proceduto pertanto a programmare un appropriato continuo monitoraggio delle funzioni vitali ( pressione arteriosa, elettrocardiogramma in continuo ,esami ematochimici- ad es. emegasanalisi arteriosa), neppure dopo le crisi ipotensive manifestate dalla paziente, sintomatiche della possibile emorragia in corso.
La rilevanza attribuita dai CTU al mancato svolgimento di esami ematochimici nella fase post intervento implica anche la responsabilità diretta della struttura sanitaria che non aveva a disposizione presso di sé un laboratorio che consentisse di svolgere tali esami, rendendo quindi necessario per la struttura avvalersi di laboratori esterni
La quantificazione del danno da perdita parentale
Quindi il Tribunale ha riconosciuto le seguenti voci di danno.
Per quanto concerne il danno “terminale” sofferto dalla paziente nel periodo di 30 giorni compreso tra l’intervento del 14.6.10 ed il decesso del 14.7.10, anche in ragione delle altre patologie da cui la paziente era affetta, il Tribunale riconosce in via equitativa un danno di € 25.000,00.
Questa somma viene riconosciuta agli eredi in misura pari ad € 12.500,00 ciascuno.
Ma oltre al danno subito dalla paziente nei 30 giorni dal fatto dannoso alla morte, il Tribunale ha anche riconosciuto il danno subito dal marito e dal figlio per perdita della congiunta.
Essi, in ragione dello stretto rapporto di parentela e familiare con la paziente, hanno certamente diritto iure proprio al risarcimento del danno non patrimoniale presumibilmente subito per perdita del rapporto parentale e la conseguente sofferenza interiore.
Il Tribunale ha quindi riconosciuto al marito un danno di € 180.000,00 e al figlio di € 170.000,00.
Alcuni casi di malasanità legati all’emorragia
Caso di emorragia della partoriente poi deceduta: “In tema di colpa medica, deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla”. Cassazione penale, sez. IV, 12/06/2019, n. 39727.
Paziente giunto in ospedale con emorragia: “In tema di responsabilità medica, la struttura ospedaliera che esegua un intervento chirurgico d’urgenza non può invocare lo stato di necessità di cui all’art. 2045 c.c., il quale implica l’elemento dell’imprevedibilità della situazione d’emergenza, la cui programmazione rientra nei compiti di ogni struttura sanitaria e, con riguardo alle risorse ematiche, deve tradursi in un approvvigionamento preventivo o nella predeterminazione delle modalità per un rifornimento aggiuntivo straordinario, sicché grava sulla struttura la prova di aver eseguito, sul sangue pur somministrato in via d’urgenza, tutti i controlli previsti all’epoca dei fatti”. Cassazione civile, sez. III, 07/07/2016, n. 13919.
Medico di base che non prescrive esami che avrebbero scongiurato l’emorragia: “In tema di colpa medica, la Asl non risponde quale responsabile civile dei danni, conseguenza di reato, arrecati da un medico generico convenzionato (cosiddetto medico di base), posto che il rapporto tra essi, pur sostanziandosi nella prestazione di un’opera professionale che ha i connotati della collaborazione coordinata e continuativa, non è caratterizzato dal controllo da parte dell’Asl circa il contenuto o la qualità della prestazione stessa né può essere definito di pubblico impiego”. Cassazione penale, sez. IV, 14/03/2012, n. 41982.
Mancata diagnosi di emorragia: “La posizione di garanzia del capo dell’equipe chirurgica non è limitata all’ambito strettamente operatorio; ma si estende al contesto postoperatorio”. Cassazione penale, sez. IV, 06/03/2012, n. 17222.
Decesso da emorragia per infezione non curata: “In tema di reati colposi la causalità si configura non solo quando il comportamento diligente imposto dalla norma a contenuto cautelare violata avrebbe certamente evitato l’evento antigiuridico che la stessa norma mirava a prevenire, ma anche quando una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno. Detto nesso resta, invece, escluso quando l’evento si sarebbe verificato ugualmente, anche senza la violazione della regola cautelare”. Tribunale di Pisa, 27/05/2011, n. 604.
Emorragia cerebrale non diagnosticata: “Qualora un soggetto per malore si sia recato al pronto soccorso, e solo dopo due giorni per la sopravvenienza di uno stato comatoso gli sia stato praticato un esame TAC dal quale è risultata emorragia cerebrale, con conseguente ricovero in terapia intensiva di altro ospedale, al quale è subentrata la morte dopo circa dieci giorni, ai fini dell’imputazione della responsabilità di tale morte al personale ospedaliero occorre stabilire se “con alta od elevata credibilità razionale” la tempestiva esecuzione di un esame TAC, e di conseguenza un più ravvicinato inizio delle cure specifiche per la patologia dalla quale era affetto il paziente gli avrebbero salvato la vita. Posto che l’emorragia di cui si parla è un sanguinamento causato dalla rottura di un vaso sanguigno, a sua volta determinata da una minore resistenza (aneurisma) o da una malformazione artero-venosa, e che dopo una tale emorragia si ha sempre un vasospasmo, cioè una riduzione del calibro delle arterie, che determina una riduzione dell’afflusso di sangue al cervello, la cui conseguenza naturale è in alta percentuale il decesso del paziente, se ne deduce che alcuna imputabilità a carico del personale ospedaliero”. Tribunale di Roma, sez. XIII, 28/02/2007.
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