Una donna si è rivolta al Tribunale di Lucca rappresentando che si era sottoposta ad una colonscopia di controllo in ospedale, dalla quale era emersa l’esistenza di un polipo intestinale e, di conseguenza, in data (OMISSIS), era stata sottoposta ad un intervento chirurgico di asportazione del polipo e i medici avevano ritenuto di procedere ad una linfoadenectomia estesa e ad una resezione del retto e del sigma, secondo la tecnica chirurgica nota come Total Mesorectal Excision.
Tuttavia, da un lato i sanitari avevano errato nella scelta del tipo di trattamento, poiché, vista la natura benigna del polipo da asportare, non era necessario un intervento ampiamente demolitorio e che espone il paziente ad un maggior rischio di lesione neurologica, dall’altro avevano errato nella modalità concreta di esecuzione dell’intervento, che era stato praticato in difformità rispetto alla buona pratica clinica per quel tipo di operazione.
Il suddetto intervento aveva causato due gravi conseguenze, da ricondursi alla lesione intraoperatoria del nervo pudendo: la totale ritenzione urinaria per incapacità di minzione ed una grave incontinenza fecale, da cui era derivata l’installazione di un catetere urinario permanente ed una grave forma di depressione.
Errata esecuzione dell’intervento
Il Collegio Peritale (per comodità di seguito chiamato CTU) incaricato dal Tribunale ha ritenuto che la Total Mesorecatal Excision era stata la scelta chirurgica giusta, tuttavia era stata mal eseguita.
E’ vero che la disfunzionalità urinaria costituisce una complicanza nota del tipo di intervento praticato, ma, proprio perché vi sono concreti rischi di lesione delle aree innervate, nel praticare la resezione in oggetto l’operatore chirurgo colonrettale deve essere a conoscenza dei riferimenti anatomici e dei rischi di lesioni iatrogene durante la dissecazione, al fine di evitare danni ai nervi e deve operare con lo scopo dedicato di preservare la funzione dei nervi autonomi.
Valutando la condotta dei sanitari, nel caso della paziente non erano presenti fattori specifici che possano giustificare un aumentato rischio di lesione iatrogena delle strutture nervose e tali, dunque, da poter ritenere estranea sul piano causale la condotta dell’operatore rispetto al verificarsi del danno neurologico: la pelvi è quella femminile, meno a rischio perché più ampia, non si operava su un tumore esteso oltre la fascia, ma su un polipo con semplice sospetto di neoplasia maligna, non c’erano gli effetti della radioterapia etc. Pertanto, pur se la vescica neurogena è una complicanza descritta nella chirurgia rettale, il rischio in questo caso era particolarmente basso mentre l’entità del danno è molto grave (catetere a permanenza senza alcun recupero funzionale)“.
Il risarcimento dei danni subiti dalla paziente: 130.000 euro
Alla paziente viene riconosciuto dal Collegio Peritale un danno biologico consistente in una invalidità permanente del 30% e una invalidità temporanea di 6 mesi al 25%.
Oltre al danno biologico, si ritiene comprovato uno stato di sofferenza interiore dell’attrice, per la particolare tipologia di conseguenze subite, che la costringono ad indossare un catetere urinario, che comportano una frequente minzione e che hanno necessariamente inciso sullo stato d’animo della medesima, provocando senz’altro uno stato di prostrazione e vergogna, al cui ristoro deve provvedersi.
Sicché, sulla base delle Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, il Giudice lucchese, con sentenza 757 del 3 settembre 2021, ha condannato l’ASL a risarcire alla paziente danni quantificati in euro 130.000, oltre alle spese legali.
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