Con questo articolo commentiamo un caso di responsabilità medica trattato dal Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 152 del 20.01.2014, con cui ha condannato l’Asl di Firenze a risarcire una bambina con più di 1.000.000 di euro ed i genitori con 200.000 euro ciascuno.
La responsabilità è stata individuata nel ritardo con cui i medici hanno indotto la donna al parto cesareo, nonostante il feto fosse sofferente, tanto che ciò ha determinato la nascita di una bambina con gravi deficit psichici e motori.
L’accusa dei genitori
I genitori della bambina, sia per quest’ultima che per sé stessi, convenivano in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale di Firenze per sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni dai medesimi subiti a seguito del parto della bambina, affetta da una grave menomazione che ne ha ritardato ed impedito lo sviluppo psico-motorio.
Essi rappresentano che nel corso del quinto tracciato era emerso che il feto era tachicardico e il medico aveva ritenuto che l’esame andasse ripetuto dopo una settimana, nonostante le insistenze della madre di ripeterlo il prima possibile. Il medico, comunque, aveva rassicurato la gestante con non vi era alcun pericolo.
Ma, proprio il giorno previsto per il nuovo tracciato, la gestante avvertiva forti dolori e si accorgeva di avere delle perdite di sangue, per tali motivi si recava immediatamente all’Ospedale dove veniva sottoposta ad un altro tracciato per rilevare il battito cardiaco fetale e le contrazioni uterine. Dal tracciato è risultata una tachicardia del nascituro sempre più ingravescente.
Poche ore dopo la gestante veniva accompagnata in sala travaglio ove veniva sottoposta ad un’anestesia epidurale e veniva disattivato l’apparecchio che registrava il battito cardiaco fetale, che non veniva più riattivato.
Nasceva la bambina, subito portata via dai sanitari e di cui la madre non riusciva a sentire il pianto. Alle richieste della madre sullo stato di salute della piccola il ginecologo tranquillizzava la madre dicendole che la neonata stava bene e le stavano solo aspirando l’acqua che aveva ingerito.
Dopo poco le hanno spiegato che si verificato un distacco della placenta e che la piccola oltre al liquido amniotico aveva ingerito anche del sangue e che, pertanto, aveva bisogno di ausilio per respirare. Già nel primo breve contatto con la neonata, dato che subito dopo la piccola veniva portata in rianimazione, la madre si accorgeva che la piccola aveva difficoltà respiratorie.
La bambina sin dalla nascita, soffriva di gravi problemi di salute che ne hanno impedito lo sviluppo psicomotorio, non è in grado di esprimersi compiutamente, non è autosufficiente nelle normali attività quotidiane e soffre di crisi epilettiche.
I numerosi accertamenti sullo stato di salute a cui G. è stata sottoposta hanno evidenziato che le cause dei problemi della bambina sono da ricondursi ad una sofferenza perinatale e che le sue condizioni sono irreversibili e destinate, anzi, a peggiorare.
La difesa dell’Asl
Si costituiva in giudizio l’Asl eccependo che il personale medico abbia tenuto una condotta omissiva negligente o imprudente, sia nel periodo precedente al parto, sia il giorno del parto stesso.
In particolare, si contesta che mai i tracciati fetali documentarono una situazione critica o di allarme, anche l’ultimo eseguito, e di conseguenza il personale medico non ha mancato di assolvere al suo preciso dovere di fornire una corretta informazione alla madre del nascituro, né poteva essere effettuato un intervento di urgenza a fronte di una situazione che appariva imprevedibile e non prevenibile.
Inoltre, in sala parto il comportamento dei sanitari fu ineccepibile, dato che al momento della nascita la bambina presentava bradicardia ed assenza di respiro spontaneo e solo grazie all’intervento dei medici e infermieri riprese a respirare e il ritmo cardiaco si normalizzò. Sia la bradicardia, sia la paralisi respiratoria sono da ritenersi espressione di un problema precedente.
Tali premesse portano alla logica conseguenze che le lesioni riportate dalla bambina non sono conseguenza della condotta dei medici, che al contrario sono riusciti a porre rimedio ad una situazione assai compromessa.
La Consulenza Tecnica d’Ufficio disposta dal Tribunale
Il medico-legale e lo specialista ostetrico – ginecologo incaricati dal Tribunale accertavano che “sono ravvisabili evidenti profili di colpa professionale”.
Fin dai primi tracciati erano infatti ravvisabili segni di importante sofferenza fetale (rappresentati da persistente tachicardia), che avrebbero dovuto far intraprendere una condotta ben diversa da quella -puramente “attendista” – che fu in effetti seguita.
In particolare, la presenza di persistenti segni di sofferenza fetale avrebbe dovuto condurre all’anticipazione del parto, eseguendo un taglio cesareo. Il protrarsi della sofferenza stessa si è associato con grave danno encefalico, ampiamente ed esaurientemente documentato dalle indagini strumentali.
La prolungata permanenza di condizione di sofferenza fetale ha determinato un danno encefalico di natura anossica per le gravi ripercussioni strutturali e funzionali oggi rilevabili, aggravando una patologia preesistente del feto.
La quantificazione dei danni della bambina: 1.000.000 euro
Ci si deve chiedere in che percentuale la condotta dei medici, che hanno ritardato il parto, abbia aggravato le condizioni di salute del feto, già affetto da patologie.
Si tratta del danno iatrogeno che il Tribunale così quantifica: “la valutazione del danno biologico complessivo della bambina è stimata nella misura del 90% della totale e si può ritenere che, ove l’intervento medico fosse stato adeguato e tempestivo, il danno stesso (corrispondente ad una quota derivante dalla patologia spontanea) avrebbe potuto essere contenuto nella misura del 30%. La quota del danno iatrogeno è quindi quella residuo del 60%, da valutarsi in termini di maggior danno ovvero di danno differenziale nella fascia 30-90%“.
Il danno patito dalla minore viene quindi quantificato in € 842.422,00 a cui si deve aggiungere il 25% di personalizzazione.
La quantificazione dei danni dei genitori: 400.000 euro
Ai medici sono addebitabili anche le conseguenze che hanno stravolto le condizioni di vita e le aspettative di serenità dei prossimi congiunti. Il danno in loro favore viene liquidato dal Tribunale in egual misura tra i genitori in € 200.000,00.
Il risarcimento dei danni futuri: 15.000.000 euro all’anno
Data la gravità della patologia della bambina, che le causa una perdita di autonomia personale e che comporta la necessità per la bambina di assistenza continua per lo svolgimento della normale vita quotidiana e di relazione, e tenuto conto che la menomazione accertata determina compromissione futura della capacità di esercitare qualsiasi attività lavorativa, l’Asl viene condannata anche a corrispondere alla bambina € 15.444,000 all’anno, corrispondente al triplo della pensione sociale, a partire dal 20 anno e per tutta la durata della vita della stessa.
© Riproduzione riservata