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  • La legge sull’aborto
  • Il danno da “nascita indesiderata”
  • Il diritto alla autodeterminazione procreativa della gestante
  • Il caso
  • Il reato di interruzione colposa di gravidanza
  • Il reato di interruzione di gravidanza non consensuale
  • Alcune sentenze 
  • Denuncia i responsabili e ottieni il risarcimento

 

La legge sull’aborto

La Legge 194 del 22 maggio 1978 ha introdotto in Italia la possibilità per le donne di abortire volontariamente entro 90 giorni di gestazione. Prima di allora l’aborto era considerato un reato.

Scaduto questo termine, l’interruzione di gravidanza viene concessa solo in casi più rari, per motivi terapeutici, a discrezione del medico ed in presenza di gravi malformazioni del feto o di rischio per la salute della donna.

L’interruzione di gravidanza può avvenire tramite due metodi: farmacologico (dal 2020 è stata introdotta la possibilità di utilizzare la pillola abortiva fino alla nona settimana di gestazione, senza obbligo di ricovero in ospedale) o chirurgico.

 

Il danno da “nascita indesiderata”

L’argomento è delicato e suscettibile di interpretazioni etiche, ma noi avvocati non possiamo far altro che affrontarlo da un punto di vista strettamente giuridico.

Parliamo del c. d. danno da nascita indesiderata che si verifica allorchè la madre, per carenza di informazioni da parte dei medici sulle condizioni del feto, non abbia avuto la possibilità di scegliere se abortire e, quindi, abbia subito un danno.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 25767 del 2015, ha stabilito alcuni principi che di seguito riportiamo.

L’impossibilità della scelta abortiva della madre, imputabile a negligente carenza informativa da parte del medico curante, è fonte di responsabilità civile, ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 6 della l. 22 maggio 1978, n. 194, cioè siano provate le rilevanti anomalie del nascituro e il loro nesso eziologico con un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna nonché la conforme volontà abortiva di quest’ultima.

La responsabilità del sanitario, consultato in ordine ai rischi di malformazione senza aver fatto effettuare i debiti accertamenti, per i dei danni cagionati ai genitori dalla nascita di neonato gravemente malformato, dev’esser provata dalla madre anche in ordine all’opzione abortiva che sarebbe stata da essa intrapresa ove posta a conoscenza dei rischi, dovendo il giudice a tal fine avvalersi anche di presunzioni.

Non è invece configurabile nel nostro ordinamento il diritto del nascituro a richiedere al medico il risarcimento del danno per la nascita malformata, poiché non sussiste un nesso eziologico tra la condotta omissiva del sanitario e le sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della sua vita. Il nato con disabilità non è legittimato ad agire per il danno da “vita ingiusta“, poiché l’ordinamento ignora il “diritto a non nascere se non sano”; il che comporterebbe, quale simmetrico termine del rapporto giuridico, l’obbligo della madre ad abortire.

 

Il diritto alla autodeterminazione procreativa della gestante

In tema di responsabilità medica, l’omessa diagnosi delle malformazioni del feto determina la lesione del diritto all’autodeterminazione procreativa della gestante, consistente non solo nella opportunità di valutare se interrompere o meno la gravidanza, ma altresì nella possibilità di prepararsi, psicologicamente e materialmente, alla nascita di un bambino affetto da gravi patologie e pertanto necessitante di particolare accudimento.

Tale diritto viene leso anche se la madre, ove correttamente informata, non avrebbe comunque interrotto la gravidanza.

 

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Il caso

Sia il Tribunale di Milano che la Corte d’Appello di Milano respingevano la richiesta di due genitori volta ad ottenere la condanna dell’Ospedale al pagamento dei danni derivanti dalla nascita di loro figlia con grave patologia cromosomica accompagnata da deficit immunologico, non diagnosticata dal nosocomio: danni rilevanti tanto sotto il profilo della violazione del diritto all’autodeterminazione quanto sotto quello del danno patito dalla neonata per il ritardo con cui erano state diagnosticate le patologie da cui era affetta: ritardo che ne aveva aggravato la condizione patologica.

In entrambi i casi i Giudici di merito escludevano che la gestante avesse mai manifestato la volontà di ricorrere all’interruzione della gravidanza, ove edotta della ricorrenza delle gravi patologie da cui risultava affetto il feto, e che avesse provato la ricorrenza delle condizioni legittimanti l’interruzione volontaria della gravidanza e negavano che l’omessa informazione in ordine alla coartazione aortica e la conseguente omessa diagnosi prenatale del difetto congenito della bambina avessero cagionato il danno neurologico dalla medesima patito, in considerazione dell’assenza di nesso causale tra la malformazione cardiaca e il ritardo psicomotorio e la intempestività dell’intervento chirurgico.

I genitori ricorrevano in Corte di Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano.

La Corte di Cassazione sezione III Civile, con sentenza n. 7385 del 16.03.2021, ha dato ragione ai genitori, affermando che la richiesta risarcitoria deve essere accolta quando il diritto all’autodeterminazione risulti il presupposto per il compimento di una pluralità di possibili scelte che l’omessa informazione ha impedito venissero assunte, costituendone l’antecedente causale foriero di conseguenze pregiudizievoli, e la cui lesione vada ad incidere oltre al principio di solidarietà nei riguardi della vittima e alla soglia minima di tollerabilità, cagionando un nocumento connotato del requisito della gravità.

E’ stato affermato il principio per cui “incorre in responsabilità civile l’azienda ospedaliera o il medico che, avendo colposamente omesso la diagnosi delle malformazioni del feto, abbiano leso il diritto all’autodeterminazione procreativa della gestante, anche nell’ipotesi in cui dovesse essere successivamente accertato che quest’ultima, ove correttamente informata, non avrebbe comunque interrotto la gravidanza”.

 

Il reato di interruzione colposa di gravidanza

L’art. 593 bis del codice penale così recita:

[I]. Chiunque cagiona a una donna per colpa l’interruzione della gravidanza e’ punito con la reclusione da tre mesi a due anni.

[II]. Chiunque cagiona a una donna per colpa un parto prematuro e’ punito con la pena prevista dal primo comma, diminuita fino alla meta’.

[III]. Nei casi previsti dal primo e dal secondo comma, se il fatto e’ commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena e’ aumentata.

In giurisprudenza è stato ritenuto responsabile il ginecologo che, in presenza di una grave sofferenza fetale, non pratica un parto cesareo per velocizzare il parto ma rinvia il parto per ulteriori esami, con la morte nel mentre del nascituro (Cass. V, n. 44155 del 2008).

E’ stata condannata l’ostetrica che, incaricata di eseguire un tracciato che ha evidenziato un’anomalia cardiaca del feto, omette di informare di ciò il medico di turno, così contribuendo alla morte sopraggiunta dal nascituro (Cass. V, n. 20063/2014).

 

Il reato di interruzione di gravidanza non consensuale

L’art. 593 ter del codice penale così recita

[I]. Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna e’ punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno.

[II]. La stessa pena si applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna.

[III]. Detta pena e’ diminuita fino alla meta’ se da tali lesioni deriva l’acceleramento del parto.

[IV]. Se dai fatti previsti dal primo e dal secondo comma deriva la morte della donna si applica la reclusione da otto a sedici anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da sei a dodici anni; se la lesione personale e’ grave quest’ultima pena e’ diminuita.

[V]. Le pene stabilite dai commi precedenti sono aumentate se la donna e’ minore degli anni diciotto. 

Si tratta di due ipotesi: interruzione di gravidanza non consensuale dolosa (comma I) e preterintenzionale (comma II).

 

Alcune sentenze 

In tema di danno da nascita indesiderata, chi agisce deve dare prova che la gestante, se adeguatamente informata, avrebbe deciso, ricorrendone i presupposti, l’interruzione della gravidanza e che tale prova che può essere ricavata anche mediante presunzioni. Caso relativo alla nascita di un figlio affetto da sindrome di Down (Cassazione civile , sez. III , 25/11/2021 , n. 36645 e Cassazione civile , sez. III , 19/07/2018 , n. 19151).

In tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni, che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della struttura sanitaria all’obbligazione di natura contrattuale gravante sulla stessa, spetta non solo alla madre, ma anche al padre (Cassazione civile , sez. III , 05/02/2018 , n. 2675).

La mancanza di una mano non è una malformazione del nascituro così rilevante da mettere in serio pericolo la salute fisica e psichica della madre. Di conseguenza, non è possibile ottenere il risarcimento del danno da parte dei medici per non aver rilevato l’assenza dell’arto con l’ecografia morfologica, comunque effettuata dopo il novantesimo giorno (Cassazione civile , sez. III , 11/04/2017 , n. 9251).

Rispondono del delitto previsto dall’art. 17, l. n. 194/1978 i medici che, con più azioni colpose indipendenti, cagionino l’interruzione di gravidanza per colpa, omettendo di diagnosticare una patologia dalla quale derivi la morte del feto (Tribunale , Bologna , 27/07/2016 , n. 3080).

 

Denuncia i responsabili e ottieni il risarcimento

Parlare di aborto è quasi un tabù, anche se sono passati più di quarant’anni dalla legge che ha reso legittima l’interruzione volontaria di gravidanza.

L’argomento è delicato perché la scelta è soggettiva e, si presume, non venga mai presa a cuor leggero, non coinvolgendo solo la madre ma anche il feto e, altresì si presume, il padre di quest’ultimo.

In ambito legale la questione che abbiamo trattato viene quindi affrontata, sia dai nostri avvocati, ma anche da medici specialisti che, in ambito psicologico e psichiatrico, sapranno valutare anche le conseguenze che il caso ha comportato per gli interessati.

Se sei stata vittima di mancate o scarse informazioni da parte dei medici sulle condizioni di salute del feto, e ciò ha influenzato la tua scelta sull’aborto, rivolgiti a noi per un parere gratuito, dopodichè valuteremo insieme se denunciare i responsabili e come ottenere il risarcimento dei danni morali subiti da te e la tua famiglia.

 

 

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