L’affidamento condiviso
Nel caso in cui i genitori si separano ed hanno uno o più figli minorenni questi ultimi, di regola, saranno affidati congiuntamente ai genitori, in ossequio all’art. 337 ter comma 2 cod. civ. secondo cui il giudice valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati
L’affidamento condiviso è la modalità con cui si prevede che le scelte di maggiore interesse dei figli (cura, educazione, scuola, salute, residenza abituale etc.) vengano prese di comune accordo tra i genitori, al fine di garantire un principio di bigenitorialità che consenta ai figli di conservare rapporti significativi con entrambi i genitori, gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Se la regola è quella dell’affidamento condiviso, l’eccezione è quella dell’affidamento esclusivo dei figli minori ad uno solo dei genitori.
Inoltre, non si deve confondere l’affidamento dei figli con il loro collocamento, che è la scelta in merito al genitore con cui essi avranno la residenza anagrafica e con cui vivranno prevalentemente.
Se i genitori non sono d’accordo, decide il Giudice
L’art. 337 ter comma 3 cod. civ., che regola i contrasti tra genitori dopo la separazione, espressamente dice che:
La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.
Il caso della scelta della scuola: pubblica o privata?
Il caso di cui ci occupiamo con questo articolo è quello che riguarda contrasti insorti tra genitori separati in merito alla scelta della scuola per i figli, quando uno dei genitori sceglie il pubblico e l’atro il privato.
In questi casi, ai sensi dell’art. 337 ter comma 3 cod. civ., che prevede che tra le decisioni di maggiore interesse per i figli vi è quella relativa all’istruzione, la decisione spetterà al giudice.
La Corte di Cassazione civile sez. I, con sentenza n. 21553 del 27.07.2021, ha proprio affrontato la disputa genitori in merito alla scelta del percorso scolastico per i figli.
Vediamo i fatti della causa e le ragioni della decisione.
Tra genitori separati è insorto contrasto circa le modalità di prosecuzione del percorso scolastico dei minori: la madre intendendo far loro continuare gli studi presso una scuola privata, di “impostazione religiosa cristiana” e da questi già frequentata negli anni precedenti; il padre preferendo, invece, dar loro una educazione di “ispirazione laica e pluralista“, con correlata iscrizione a una scuola pubblica.
Non componendosi il contrasto, il padre ha presentato ricorso ex art. 709 ter c.p.c., avanti al Tribunale di Genova, chiedendo di essere autorizzato a iscrivere autonomamente i figli presso la scuola pubblica ovvero di assumere direttamente il giudice la medesima decisione.
Nel costituirsi per resistere al ricorso, la madre ha anche presentato domanda riconvenzionale, intesa a ottenere l’iscrizione della figlia a un corso di ginnastica artistica e del figlio a una scuola di calcio.
Il Tribunale ha rigettato il ricorso presentato dal padre e dichiarato inammissibili le domande riconvenzionali formulate dalla madre.
Sotto il primo profilo, ha rilevato, in particolare, che la permanenza dei minori presso la scuola privata già frequentata risponde al loro precipuo interesse, specie in ragione dell'”attuale momento di disorientamento” degli stessi, come “legato alla recente separazione dei genitori, nonché dell’inopportunità di un cambiamento repentino di scuola dopo l’inizio dell’anno scolastico”. Sotto il secondo profilo, ha ritenuto che le “iscrizioni possono essere fatte a prescindere dalla opposizione paterna”, al di là della problematica relativa all’eventuale legittimità del rifiuto paterno di concorrere alle spese.
Avverso questo provvedimento il padre ha proposto reclamo avanti alla Corte di Appello di Genova.
Questa, ha respinto il reclamo, ponendo le spese del grado in capo al reclamante (anche in ragione, tra le altre cose, della “prevalente soccombenza del reclamante nell’ambito del primo giudizio”).
Il principio della Corte di Appello:
“E’ certamente rispondente al preminente interesse dei minori”, ha osservato la Corte ligure, “quello di rimanere nell’istituto scolastico frequentato negli anni passati, al fine di
garantire loro – quantomeno sino alla conclusione dei rispettivi cicli scolastici, scuola di infanzia per F. e scuola primaria per L. – la stabilità e la continuità scolastica,
delle quali essi hanno verosimilmente bisogno, tenuto conto anche dei cambiamenti derivati dalla recente separazione dei genitori“.
Avverso questo provvedimento il padre ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi.
Ha resistito, con controricorso, la madre, pure contestando l’ammissibilità del ricorso proposto.
Per la Corte di Cassazione si deve tutelare la stabilità dei figli
Intanto la Corte di Cassazione, con la sentenza citata, precisa che “il tema, che viene qui in specifico esame, riguarda – è opportuno prima di ogni altra cosa osservare – la fattispecie del contrasto tra genitori, entrambi esercenti la responsabilità genitoriale, su una questione di particolare importanza che investe la persona del figlio minore: quale indubbiamente è quella che richiama la scelta delle modalità di svolgimento del percorso scolastico di questi”.
Il caso presentemente in esame fa riferimento a un contrasto insorto dopo l’avvenuta separazione dei genitori. Pertanto, “la norma di riferimento e governo della relativa fattispecie concreta non può che essere quella dettata, dall’art. 337 ter c.c., comma 3 (che, tra gli altri, richiama anche le materie dell'”istruzione e dell’educazione” dei minori) per cui
nell’ipotesi di contrasto insorto tra i genitori su questione di “particolare importanza”
per la persona del minore, “la decisione è rimessa al giudice“.
Ciò precisato, “centrale si manifesta in realtà l’aspetto relativo al senso d’instabilità, di disorientamento, che la recente separazione dei genitori ha provocato nei figli: sì da porre come prioritaria – nel loro preminente interesse – l’esigenza di non introdurre fratture e discontinuità ulteriori, come facilmente seguenti alla frequentazione di una nuova scuola e del diverso ambiente, che inevitabilmente vi si collega.
In una simile situazione, appare senz’altro preferibile – ha opinato la Corte territoriale assicurare ai minori il segno della continuità scolastica: sino alla conclusione dei rispettivi cicli scolastici in essere (per L., la scuola primaria; per F., la scuola di infanzia), salvo per il futuro procedere poi, secondo la normale e (pure nel concreto) presumibile evoluzione delle cose, a una nuova valutazione”.
In merito all’argomento sviluppato dal padre – che assume l’illegittima compressione del diritto, di dignità costituzionale, del genitore di dare ai propri figli un’educazione aconfessionale e pluralista – la Corte di Cassazione afferma che “la giurisprudenza di questa Corte ritiene che, in materia di scelte riguardo ai figli, criterio guida, informante delle decisioni sia – non possa non essere – quello del preminente interesse del minore a una crescita sana ed equilibrata”).
Proprio dando corso e attuazione a detto principio, questa Corte ha stabilito che, “in caso di conflitto genitoriale, il perseguimento dell’interesse del minore può comportare anche l’adozione di provvedimenti, relativi all’educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori, ove la loro esplicazione determinerebbe conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo” (così Cass., 30 agosto 2019, n. 21916; cfr., altresì, sulla medesima falsariga, e sempre in tema di educazione religiosa, già Cass., 4 novembre 2013, n. 24683).
Nel caso qui in esame, la Corte genovese si è conformata ai principi appena richiamati. La scelta così compiuta – è importante puntualizzare – non risponde a una ipotetica predilezione della Corte per una scuola confessionale, a discapito di quella pubblica. Dipende, invece, dall’acuito bisogno dei minori di avere – nel frangente – una continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa.
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