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16/08/2021Con Ordinanza 20062 pubblicata il 14 luglio 2021, la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione ha affrontato un caso, assai frequente, vediamo quale.
Due conviventi acquistano con mutuo cointestato una casa in comunione, poi si lasciano e inizia un contenzioso.
In primo grado il Tribunale assegnava la casa all’uomo, con determinazione di un conguaglio a favore della donna, determinato tenendo conto del mutuo gravante su entrambi come comproprietari.
Quest’ultima si rivolgeva però alla Corte di Appello per una revisione in aumento a suo favore del conguaglio, così come l’uomo vi si rivolgeva per far rideterminare in suo favore le quote dell’immobile, avendo lui sostanzialmente apportato più soldi sia al momento dell’acquisto che per il pagamento del mutuo.
La Corte di Appello dava ragione alla donna e torto all’uomo, poiché il bene era in quote indivise e anche se lui aveva versato più soldi per il mutuo, ciò doveva presumersi essere avvenuto a titolo di liberalità.
L’uomo ricorre per Cassazione sostenendo che la prova dei maggiori esborsi siano la prova che gli spetti una quota maggiore dell’immobile e, conseguentemente, alla donna spetti un conguaglio inferiore.
La Corte di Cassazione ribatte che l’immobile, oggetto di divisione, è stato acquistato per quote indivise e paritarie, a prescindere dal rispettivo esborso.
Tuttavia, gli Ermellini danno ragione all’uomo laddove contesta che l’esborso di più soldi rispetto alla donna sia avvenuto per spirito di liberalità, come erroneamente sostenuto dalla Corte di Appello.
Infatti, per la Corte di Cassazione la convivenza non è di per sé idonea a provare che l’uomo ha pagato di più per l’immobile per mero spirito di liberalità, ma tale volontà (animus donandi) deve essere provata.
Diversamente, ove ciò non sia provato, la donna dovrà rimborsargli quanto egli ha sostenuto in più. Per tale motivo il ricorso viene accolto su tale punto e la Corte di Appello dovrà ripronunciarsi.
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LEGGI L’ORDINANZA
Sul ricorso 27229-2016 proposto da: Ciaboco Giancarlo contro Ruggia Rosalia avverso la sentenza n. 2779/2016 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 30/06/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.
FATTI DI CAUSA
Nella presente causa si discute della divisione di un immobile comune fra gli ex conviventi Ciaboco Giancarlo e Ruggia Rosalia, attribuito dal giudice di primo grado al Ciaboco, dietro pagamento del conguaglio, determinato tenuto conto del mutuo gravante su ambedue i comproprietari.
La Corte d’appello di Milano, adita dalla Ruggia, ha modificato il valore del bene e la misura del conguaglio, adottando un diverso criterio di conteggio del mutuo residuo.
La corte di merito ha rigettato il motivo di appello incidentale, con il quale il Ciaboco pretendeva che, nella determinazione delle quote, si tenesse conto del diverso e maggiore apporto da lui fornito per l’acquisto.
La corte d’appello ha così argomentato: «Invero l’acquisto è avvenuto per quota indivise (e paritarie: cfr. sentenza impugnata) nel corso della lunga convivenza tra le parti […]; pertanto, in assenza di elementi contrari (dichiarazione delle parti nell’atto di acquisto al momento della stipula, del pagamento delle rate, etc.) si deve presumere che, quand’anche si ritenesse che gli oneri dell’acquisto (anticipi e rate di mutuo, quantomeno sino al termine della convivenza) siano stati sostenuti in modo maggiore da uno degli acquirenti, per la parte “eccedente” la sua quota siano stati compiuti a titolo di liberalità nei confronti della co-acquirente, intento liberale che trova giustificazione nella stessa situazione di convivenza (in tal caso, more uxorio, della Ruggia)».
Per la cassazione della sentenza Ciaboco Giancarlo ha proposto ricorso affidato a due motivi. Ruggia Rosalia è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si sostiene che era stata acquisita la prova del maggiore esborso sostenuto dal ricorrente per l’acquisto, idonea a superare la presunzione di parità delle quote stabilita dall’art. 1298 c.c. in tema di solidarietà passiva.
Il motivo è infondato. In primo luogo, si deve rilevare l’improprietà del riferimento normativo all’art. 1298 c.c. La presunzione che viene in considerazione è quella posta dall’art. 1101 c.c. A sua volta tale presunzione, di parità delle quote dei partecipanti alla comunione, opera solo in difetto di indicazione del titolo. Nella sentenza impugnata ai assume che l’acquisto dell’immobile, oggetto di divisione, era avvenuto per quota indivise e paritarie. In forza di tale espressa previsione del titolo, il cui richiamo da parte della corte d’appello non ha costituito oggetto di censura, la comunione è a parti uguali, qualunque sia stata la misura del rispettivo esborso. In presenza di un una simile precisazione del titolo, quand’anche dal negozio risultasse dal negozio che uno dei partecipanti ha sborsato una somma maggiore, chi ha pagato di più avrebbe soltanto un diritto di credito verso gli altri.
Il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., propone due diverse censure. Con la prima si sostiene che la Corte d’appello non ha considerato che la liberalità, qualora sussistente, richiedeva la forma scritta.
La censura è infondata. Lo stesso ricorrente riconosce che il denaro utilizzato per l’acquisto e quanto occorrente per il pagamento delle rate di mutuo non fu dato al coniuge, ma al creditore: quindi la fattispecie in ipotesi riscontrabile sarebbe quella dell’adempimento del terzo fatto per spirito di liberalità. Si avrebbe quindi, secondo la stessa prospettazione di parte, una donazione indiretta posta in essere con un negozio per il quale non si richiede la forma scritta (Cass. n. 14197/2013; n. 5333/2004).
Con la seconda censura si rimprovera alla Corte d’appello di avere erroneamente ravvisato, nel maggiore apporto fornito dall’attuale ricorrente all’acquisto dell’immobile, l’adempimento di una obbligazione naturale.
La censura è fondata anche se per una ragione non perfettamente coincidente con quella indicata nel ricorso. La corte d’appello non ha ravvisato l’esistenza di una obbligazione naturale (cfr. Cass. n. 14732/2018), ma ha negato il rimborso, supponendo che il maggiore apporto all’acquisto fosse stato fatto «a titolo di liberalità» di un convivente in favore dell’altro.
La Corte d’appello, però, non ha considerato che l’animus donandi deve essere provato. Si può ammettere che la prova possa essere data per presunzioni, ma deve trattarsi di presunzioni “serie”, in base a un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso (Cass. n. 9379/2020). In contrasto con tale necessità, la corte milanese ha ritenuto la convivenza, per sé stessa, quale elemento idoneo a giustificare il maggiore apporto per spirito di liberalità. In conseguenza di tale sbrigativo approccio ha finito per ritenere a priori superflua la verifica dei fatti dedotti, e cioè del maggiore apporto al momento dell’acquisto e persino del pagamento delle rate di mutuo. E tornano qui appropriati la pluralità dei riferimenti, operati nel ricorso, ai principi in tema di solidarietà passiva. Infatti, l’obbligazione solidale, se non risulta diversamente, si divide nei rapporti interni fra condebitori in parti eguali; pertanto, il coobbligato che abbia pagato l’intero, è titolare, salvo prova contraria a carico dell’altro condebitore, del diritto di ripetere da quest’ultimo la meta di quanto pagato al comune creditore (Cass. n. 188/1966).
Conclusivamente, è infondato il primo motivo, è fondato, nei limiti di cui sopra, il secondo motivo.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà a nuovo esame attenendosi a quanto sopra.
La corte di rinvio liquiderà le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo; accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione.
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2 Comments
Ho un figlio disabile il mio compagno non è il padre ci stiamo lasciando a chi va la casa che abbiamo comprato insieme
Buongiorno Monica, considerato che il suo compagno non è padre del bambino, non sussiste alcun diritto all’assegnazione della casa familiare a favore dell’uno o dell’altro comproprietario. Consiglio di trovare un accordo. Saluti