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  • Diritto Penale
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  • diffusione immagini
  • revenge porn
revenge porn

Il reato di “Revenge porn” è previsto dall’art. 612 ter del codice penale.

La continua e rapida diffusione dell’utilizzo di applicazioni e social ha portato ad un progressivo incremento del “Revenge porn” previsto dall’art. 612 ter del codice penale, in vigore dal 9 agosto 2019 in virtù della legge 69/2019 detta “Codice Rosso”.

Così recita l’articolo:

[I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, e’ punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

[II]. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

[III]. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

[IV]. La pena è aumentata da un terzo alla meta’ se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità  fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

[V]. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonchè quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

 

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In cosa consiste il reato.

Il testo dell’art. 612 ter c. p. è abbastanza chiaro nella descrizione delle condotte configurabili come “Revenge porn”, ma qualche chiarimento si rende necessario.

Ci sono DUE TIPI DI COMMISSIONE DEL REATO:

  • Quello commesso da chi, DOPO AVER REALIZZATTO O SOTTRATTO immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, LI DIFFONDE SENZA IL CONSENSO delle persone ritratte.

In questi casi il colpevole è quindi colui che ha personalmente effettuato il video o scattato le immagini, ritraendo sé stesso/a o altra persona o entrambi in atteggiamenti sessuali. L’intenzione di chi vi è ripreso è quella di tenere le immagini esclusivamente in ambito privato, ossia che non siano viste da altri.

Ebbene, nonostante l’intenzione suddetta, chi le ha fatte o chi le ha sottratte (si pensi a chi “hackera” uno smartphone o un pc o semplicemente lo ruba, come più volte accaduto a personaggi famosi ma, purtroppo, anche a gente comune) le mette a disposizione di altri.

 

  • Un secondo tipo di commissione del reato riguarda CHI HA RICEVUTO le immagini o video e LI DIFFONDE AD ALTRI, SENZA IL CONSENSO DI CHI VI È RITRATTO E AL FINE DI CREARE LORO “NOCUMENTO”.

 

In questo caso è quindi richiesto, a differenza della prima condotta, che il colpevole diffonda le immagini o video con l’intenzione di creare un danno a chi vi è ritratto (danno che può essere patrimoniale ma anche non, ad esempio un danno all’immagine o alla salute). In questo caso quindi è richiesto il dolo specifico, anziché quello meramente generico di cui alla prima condotta che abbiamo descritto.

Il consenso alla diffusione.

Abbiamo visto che, in entrambi i casi, la diffusione delle immagini o video deve avvenire SENZA IL CONSENSO della/e persona/e ritratte.

C’è da chiedersi in che modo debba essere espresso il dissenso alla diffusione del video. A parere di chi scrive SI DEVE PRESUMERE CHE CHI È RITRATTO NON VOGLIA CHE LE IMMAGINI O VIDEO SIANO DIFFUSE.

Infatti, trattandosi di situazioni a contenuto sessualmente esplicito (ciò non significa necessariamente che debbano essere ritratti rapporti sessuali) e quindi normalmente destinate all’intimità, è logico pensare che si vogliano tenere per sé.

Sarà quindi il soggetto a cui viene contestato il reato che dovrà dimostrare che chi è ritratto nelle immagini o video era d’accordo con la diffusione: o perché ha manifestato espressamente un consenso verbale o scritto, o perché implicitamente era d’accordo (esempio ha pubblicato personalmente il video o le immagini sul proprio profilo o sito), o perché tacitamente era favorevole a farsi riprendere e diffondere.

Le circostanze aggravanti.

La pena prevista per le due condotte di cui abbiamo parlato è la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

Ma l’art. 612 ter c. p. prevede che la pena possa essere aumentata in casi considerati ancor più gravi:

Una prima aggravante si ha nel caso in cui la diffusione avvenga da parte di chi è legato alla persona ritratta da un vincolo coniugale o affettivo o da chi ve lo abbia avuto. Il caso tipico è quello dell’ex che, per vendetta, diffonde immagini o video che possano a dir poco imbarazzare chi vi è ritratto.

Una seconda aggravante è prevista quando i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici, e questo è il caso più frequente di diffusione poiché ormai è facile e veloce l’utilizzo di smartphone e internet.

Una terza aggravante, infine, si ha se la persona ritratta è minorenne o presenta disabilità, nonché nel caso di donne in gravidanza.

La procedura per difendere la vittima e individuare i colpevoli.

Il reato di “Revenge porn” rientra in quelli per cui è necessaria una certa celerità al fine di non aggravare la condizione della vittima, ossia impedire che la diffusione si accresca e con essa il numero di persone che possono vedere le immagini o video.

E’ quindi prevista una procedura c. d. “Codice Rosso” che, come per i reati di maltrattamenti in famiglia, stalcking etc.., prevede che, non appena gli organi di polizia ricevono la notizia di reato devono avvertire il Pubblico Ministero, il quale sentirà la vittima possibilmente entro tre giorni e svolgerà le indagini celermente.

Normalmente le indagini consistono, oltre che nell’escussione delle persone informate dei fatti, in una consulenza tecnica informatica volta a ricostruire i vari passaggi con cui il video o le immagini sono stati diffusi.

Nel caso in cui sia individuato il responsabile o i responsabili, il Pubblico Ministero procederà al sequestro dei loro smartphone e/o computer affinchè siano anch’essi sottoposti a controlli da parte del consulente tecnico.

 

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