Quando una coppia con figli minorenni si separa, tra le varie questioni da affrontare c’é quella del collocamento dei bambini: “resteranno a vivere con la madre o il padre”?.
Non c’è una risposta univoca, dipende da caso a caso, ma vediamo se e come i figli possono influire sulla decisione.
CHI DECIDE CON QUALE GENITORE VIVRANNO I FIGLI MINORI?
Come abbiamo già scritto in altri articoli, le decisioni in merito alle condizioni di una separazione o di un divorzio possono essere prese di comune accordo tra i coniugi (cosiddetta separazione consensuale o divorzio congiunto) o essere prese dal Giudice (separazione o divorzio giudiziale). Lo stesso vale per coppie non sposate.
Quando la coppia ha figli minori anche il loro collocamento con la madre o il padre può essere concordato dai genitori o, in caso di disaccordo, deciso dal Giudice. In certi casi, addirittura, il Giudice potrebbe non ritenere idonei gli accordi presi dai genitori e non ratificarli e anzi decidere al posto loro quale è la scelta migliore per i figli.
MEGLIO CON LA MADRE O IL PADRE ?
In via di principio la soluzione migliore per consentire ai figli piccoli di genitori separati di passare pari tempo con il padre e con la madre è quella del collocamento paritario.
Il collocamento paritario prevede che i figli passino metà del tempo con la madre e metà con il padre. Ad esempio una settimana a casa dell’una e una settimana a casa dell’altro. Questa scelta è sicuramente la più “democratica”, ma spesso mal si concilia con l’interesse primario dei bambini che rischierebbero di essere sballottati con la valigia in mano da una casa all’altra.
La prassi è quindi quella del collocamento prevalente con uno dei due genitori: i figli vivranno stabilmente a casa di uno dei due e andranno a casa dell’altro genitore alcuni giorni alla settimana e normalmente a fine settimana alternati.
Coma abbiamo detto, la decisione sul collocamento dei figli può essere presa di comune accordo dai genitori.
Quando invece la decisione é lasciata al Giudice, quest’ultimo valuta l’età dei minori, le condizioni abitative e lavorative dei genitori, dove i figli sono cresciuti, hanno studiato, hanno amici e parenti, il luogo in cui vivranno etc., dovendo decidere nell’interesse prevalente dei bambini.
In certi casi, quando l’ambiente familiare é particolarmente conflittuale o caratterizzato da varie problematiche (ad esempio vi sono problemi di tossicodipendenza o alcolismo), il Giudice puó nominare un Consulente Tecnico di Ufficio affinché valuti la situazione e consigli al Giudice quale possa essere quella piú adatta per i minori. Talvolta il Giudice si rivolge direttamente agli Assistenti Sociali, se già seguivano la famiglia, per avere un quadro della situazione.
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I FIGLI POSSONO DECIDERE CON CHI STARE?
Abbiamo parlato di genitori e giudici. Ma i figli non hanno diritto di decidere?
Vediamo cosa ha recentemente ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1474 del 25.01.2021, sul ricorso di un padre che lamentava il fatto che i figli non fossero stati sentiti nel giudizio di separazione con la moglie, affinché esprimessero una preferenza in merito al loro collocamento.
La Corte ha preliminarmente osservato che “l’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003, nonchè dell’art. 315-bis c.c. (introdotto dalla L. n. 219 del 2012) e degli artt. 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal D.Lgs. n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l’art. 155-sexies c.c.)”.
<< l’ascolto del minore, ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti,
di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato
e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano,
nonchè elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse >>
Costituisce, pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto che non sia sorretto da espressa motivazione sull’assenza di discernimento che ne può giustificare l’omissione, in quanto il minore è portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, in sede di affidamento e diritto di visita e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale (Cass. Sez. U., 21/10/2009, n. 22238; Cass., 26/03/2015, n. 6129; Cass., 07/05/2019, n. 12018; Cass., 30/07/2020, n. 16410).
Ne discende che in tutti i procedimenti previsti dall’art. 337 bis c.c., laddove si assumano provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, in relazione al quale incombe sul giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione, tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto.
E ciò, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora il giudice opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico.
L’ascolto diretto del giudice dà, per vero, spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio (Cass., 24/05/2018, n. 12957; Cass., 29/09/2015, n. 19327).
L’ ART. 336 BIS DEL CODICE CIVILE
Con la decisione della Corte di Cassazione si rafforza e si da centralità all’articolo 336 bis del codice civile, in vigore dal 7.2.2014, che così recita:
Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato.
L’ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento.
Prima di procedere all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto. Dell’adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video.
LE MODALITA’ DI ASCOLTO DEI MINORI
Vari Tribunali italiani hanno disciplinato con protocollo l’ascolto dei minori.
Si segnala quello del Tribunale di Lucca. Clicca sul link per leggerlo: