Con una recente sentenza (n. 49016/2017) la Corte di Cassazione Penale si è pronunciata in tema di validità, come prova nel processo penale, delle conversazioni audio/testo avvenute tramite l’applicazione per smartphone “whatsapp”.
Infatti, visto che questa applicazione ha ormai preso il sopravvento sui normali canali telefonici audio e sms, sono sempre più frequenti, sia nei processi penali che civili, le esibizioni di messaggi o registrazioni che le parti intendono introdurre come prova.
Ma siccome è facilmente cancellabile e/o modificabile il contenuto delle conversazioni, soprattutto quelle messaggistiche e fotografiche, c’è da chiedersi se tali prove siano effettivamente genuine e quindi non richiedano un approfondimento da parte dei giudici.
Ecco allora che la Corte ha stabilito che “la registrazione di conversazioni svoltesi sul canale informatico whatsapp, per quanto costituisca una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale si può certamente disporre legittimamente ai fini probatori, trattandosi di una prova documentale, va acquisita in modo corretto ai fini processuali, non potendosi prescindere dall’acquisizione dello stesso supporto telematico o figurativo contenente la menzionata registrazione al fine di verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni sia l’attendibilità di quanto da esse documentato”.
Ciò significa che, a meno che in giudizio non sia prodotto il supporto informatico (smartphone), si dovrà accertare se le stampe dei messaggi o le registrazioni delle conversazioni sono state estratte dal telefono con modalità tecniche tali da non inficiarne la genuinità.
Sarà quindi sempre meno agevole introdurre in causa il contenuto delle conversazioni, seppur ciò non significhi che chi ne è statpo testimone, e in quanto tale sottoposto ad obbligo di dire il vero, potrà comunque riferire in merito a tale contenuto.